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UN ANTIEROE ONESTO E SCOMODO

U.F., 30 AGOSTO 1991

PALERMO Non gli piaceva la parte dell' eroe. Quando lo chiamavano "manager-coraggio", l' imprenditore che aveva osato sfidare le regole inviolabili del racket, nei suoi occhi s' accendeva quel lampo di ironia che gli amici conoscevano bene: "Non mi sento un Don Chisciotte. Non sono nemmeno un moralista né un apostolo. Voglio soltanto andare avanti per la mia strada". E sorrideva: "Sì, non ho pagato e non pagherò mai il pizzo ai mafiosi. Perché, da quarant' anni, faccio il mercante. E un mercante non affida ad altri la sua merce...". Un uomo tranquillo in mezzo alla bufera, un anti-eroe a tutti i costi, l' industriale che difende i suoi principii e le sue regole mentre tutt' attorno vale la legge del più forte e della lupara. Uno che "cuce pigiami", come ora con gli occhi asciutti ripete amaramente il figlio Davide, che motivo aveva per diventare un simbolo? E rifiuta la scorta. Ma Libero Grassi, 67 anni, che da quella sua piccola fabbrica di camicie messa su negli anni Sessanta era diventato uno dei più importanti imprenditori tessili siciliani, suo malgrado era diventato l' immagine stessa dell' isola che si ribella. L' uomo che aveva aperto la prima breccia nel muro delle estorsioni e del silenzio. Da ieri mattina, dopo l' echeggiare di quattro colpi calibro 38, è un "martire" della violenza mafiosa. Oppure, come con rabbia e dolore dicono gli amici più cari raccolti nella casa arredata senza pretese in via D' Annunzio, "un uomo mandato al macello dallo Stato, abbandonato, dopo gli applausi e i complimenti per l' alto senso civico delle sue denunce. Lo sapevano tutti che sarebbe finita così. "Lui per primo". Palermo piange, una volta di più, una morte annunciata. E si mettono insieme i ricordi, i flash che ripercorrono la storia di un personaggio scomodo, di un uomo onesto che aveva sempre "remato" controcorrente. La sua prima battaglia, esattamente trent' anni fa, in una città dominata dal comitato d' affari di Ciancimino. Allora, era il 1962, era da "pazzi" denunciare malgoverno e clientele. Libero Grassi, nel consiglio d' amministrazione dell' azienda municipale del gas, nominato dal Partito repubblicano, firmò il suo primo esposto-denuncia, arrivato sulla scrivania del giudice Rocco Chinnici: "L' appalto è truccato. C' è una conduttura fantasma per il quartiere popolare di Borgo Nuovo...". Un amore-odio, quello con i repubblicani, anche se Grassi contemporaneamente appoggiava le battaglie dei radicali. Solo da poco, dopo il tramonto della lunga stagione Gunnella, era rientrato nel partito, eletto nel consiglio regionale. Il mese scorso, con La Malfa al fianco, era salito alla tribuna del congresso che segnò appunto il tramonto definitivo del "ras" Aristide. Per raccontare, ma sempre con grande discrezione, con disincanto, la sua "avventura" nella città di Cosa Nostra. Una battaglia durissima che, filtrata dal suo modo garbato e raccontata con quella sua erre arrotata, poteva perfino apparire una cosa da niente. Paura? "La mia vita continua come sempre. Non sono un uomo particolarmente coraggioso. Ma uno che vuole difendere i propri interessi. E' stupido pagare il pizzo, versare la tangente alle cosche. Si spendono quattrini e quelli poi tornano alla carica, si ripresentano. E allora tanto vale rivolgersi alle forze dell' ordine". Così come aveva fatto la mattina del 10 gennaio scorso. Una denuncia alla stazione dei carabinieri del quartiere di San Lorenzo, e nello stesso tempo una lettera aperta ai giornali: "Uomini della mafia, risparmiate i vostri soldi per i proiettili: non vi pagherò mai... ". Una pubblica, clamorosa denuncia che scuote le coscienze di una città abituata a sopportare in silenzio. Al telefono della sua azienda, la "Sigma", a due passi dagli uffici amministrativi della prefettura, erano arrivate le richieste del racket. "Sono lo zio Stefano, abbiamo bisogno di 50 milioni per i picciotti dell' Ucciardone...", "sono il geometra Anzalone, avremmo bisogno di un contributo, così la sua azienda potrà lavorare senza più problemi". Grassi non paga. Il cane di guardia, in fabbrica, muore con una polpetta avvelenata. Entrano in azione i "banditi" che, guarda caso, rubano esattamente 50 milioni che gli emissari del racket chiedevano. L' imprenditore non cede, arrestano i sette uomini della banda. C' è anche Ciccio Spina, uomo del clan Madonia, la cosca che teneva il libro mastro delle estorsioni, con dentro seicento nomi: praticamente tutti i commercianti della città. Grassi sa perfettamente che, adesso, gli può accadere qualsiasi cosa. L' assicurazione che ha stipulato sulla sua vita sale da 300 milioni a un miliardo. "E' chiaro che il racket deve reagire, deve risolvere un problema di recupero di credibilità...". Nelle interviste ripete: "Ci sono abituato. Sono ormai passati quattro anni da quando ho ricevuto i primi tentativi di estorsione. Ricevo una valanga di telefonate, a tutte le ore del giorno e della notte, con minacce di ogni tipo. Adesso è chiaro che si sono inferociti contro di me, dopo l' arresto degli estortori altri commercianti stanno seguendo il mio esempio". Una vita d' inferno ma la famiglia Grassi va avanti come sempre: sono al fianco di Libero la moglie Pina Maisano, politicamente impegnata con i Verdi, e i due figli Davide, 34 anni, "vice" del padre in fabbrica, e Alice, 30 anni. Una famiglia "liberal", buone letture e impegno politico, che vuol cambiare le regole di Palermo senza protagonismi e senza urlare. Ma Libero è solo. Per uno che si ribella gli altri, anche i suoi colleghi più vicini, lo scaricano. E' la sua amarezza più grande, ma anche in questo caso lo denuncia apertamente: "L' associazione degli industriali di Palermo non ha mai assunto una posizione chiara sulla questione delle estorsioni. Anzi, il presidente dice che la mafia è invincibile. Dice che il signor Libero Grassi è una specie di mitomane...". u r