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IL PROCESSO ALLA MAFIA

GUIDO NEPPI MODONA, 18 novembre 1987

A META' DELLA scorsa settimana i due giudici togati ed i sei giudici popolari della Corte di assise di Palermo sono entrati in camera di consiglio per emettere la sentenza nei confronti degli oltre 450 imputati del più grande processo contro la mafia mai celebrato in Italia. Il dibattimento è durato ventun mesi era incominciato il 10 febbraio 1986 e la camera di consiglio si protrarrà presumibilmente sino a dicembre inoltrato. Al di là dell' esito finale in termini di condanne e di assoluzioni l' essere riusciti a portare a termine il dibattimento è di per sé un grande successo, paragonabile ai primi processi contro il terrorismo rosso negli anni Settanta. Basti pensare alle vivacissime polemiche contro i pentiti ed i maxi-processi imbastite dalla cultura mafiosa ancora prima che il processo avesse inizio, alle proteste degli avvocati difensori, alla mina vagante della richiesta della lettura di tutti gli atti istruttori, che avrebbe di per sé occupato sette-otto mesi, per rendersi conto che questo era un processo fuori del comune, e non solo per il numero degli imputati. In questo processo si è misurata la capacità della magistratura di riuscire a giudicare in un colpo solo più di quattrocento mafiosi nel rispetto delle regole della legalità e delle garanzie dei diritti della difesa. Il clima disteso con cui si è concluso il dibattimento dimostra che questo primo obiettivo è stato raggiunto: gli avvocati difensori hanno riconosciuto che il dibattimento non è stato una inutile e formale ripetizione dell' attività istruttoria, ma ha effettivamente consentito di assumere le prove con le garanzie della pubblicità e del contraddittorio, cioè di verificare punto per punto i risultati cui era giunto il giudice istruttore Falcone nella sua monumentale ordinanza di rinvio a giudizio. Il lavoro di verifica dell' istruttoria scritta ed in parte segreta (alle deposizioni testimoniali non sono ad esempio ammessi i difensori) è stato inoltre condotto e non faccio dell' ironia in termini ragionevolmente brevi. Il confronto con il processo della cosiddetta pizza connection conclusosi la scorsa primavera a New York gioca a tutto vantaggio della giustizia italiana. MALGRADO negli Stati Uniti si sia parlato tra l' inorridito e lo scandalizzato di un processo di massa, là gli imputati erano solo diciannove, e ci sono tuttavia voluti ben diciassette mesi per portare a termine il dibattimento. E' vero che nel processo americano le prove vengono assunte e si formano per la prima volta davanti alla giuria popolare, con il sistema dell' esame incrociato tra accusa e difesa, il che richiede un dispendio di tempo di gran lunga maggiore, non fosse altro perché non vi è un canovaccio scritto l' ordinanza di rinvio a giudizio ed i verbali degli atti raccolti in istruttoria al quale i giurati possano rifarsi. E' vero inoltre che negli Stati Uniti il verdetto viene pronunciato esclusivamente dai giudici popolari, per cui maggiore è l' onere che grava sull' accusa e sulla difesa nel cercare di rendere pienamente comprensibili le prove ad un corpo di giudici laici; ma queste constatazioni non elidono il dato di fondo che in Italia in soli quattro mesi di più si è celebrato un dibattimento che aveva un numero di imputati venticinque volte superiore a quelli della pizza connection. Sia chiaro che non voglio qui fare una esaltazione dei processi di massa, né del nostro sistema processuale, che tra l' altro ci apprestiamo finalmente ad abbandonare per aderire ad un modello accusatorio che in parte ricalca lo schema americano. Voglio solo dire che lo sforzo e l' impegno eccezionali profusi nell' organizzare e poi nel gestire il processo di Palermo sono un segno di vitalità della magistratura e, più in generale, una conferma della volontà politica di combattere il fenomeno mafioso attraverso gli strumenti della legalità costituzionale. Ma, appunto, si è trattato di uno sforzo e di un impegno eccezionali (basti pensare alla costruzione di un' apposita aula di giustizia). Da fatto di ordinaria amministrazione il processo si è trasformato in una sorta di sfida, in cui si misurava la capacità dello Stato di rispondere alla minaccia mafiosa; la vicenda processuale è stata caricata di un significato emblematico, su cui si giocava l' immagine dei giudici (e quindi dello Stato) da una parte, del potere mafioso dall' altra. Nello stesso momento in cui si deve dare atto ai giudici di Palermo di essere riusciti a fare ciò che mai si era riusciti a fare nella storia giudiziaria italiana nei processi di mafia, bisogna realisticamente rendersi conto che s' è trattato di una esperienza probabilmente irripetibile e comunque tendenzialmente da non ripetere, perché troppi sono i rischi giudiziari e politici connessi ad un processo di tali dimensioni. Il giudice Pierre Leval, che ha presieduto la Corte di New York davanti alla quale si è celebrato il processo della pizza connection, mi diceva che solo grazie ad una serie di fortunate circostanze era stato possibile portare a termine il dibattimento, in cui era richiesta la presenza contemporanea di un numero così alto di imputati, di difensori, di giurati. Lo stesso evidentemente vale, ma moltiplicato alla millesima potenza, per il processo di Palermo, che rimarrà un esempio storico, da citare nei manuali di diritto processuale. IL NUOVO Codice di procedura penale, destinato ad entrare in vigore (crisi di governo e durata della legislatura permettendo) entro il 1989 precluderà infatti la possibilità di celebrare processi contro centinaia di imputati, perché incompatibili con il modello accusatorio. Il maxi-processo di Palermo, quelli che lo seguiranno nei prossimi mesi e l' hanno preceduto negli anni passati, sono dunque destinati a divenire testimonianza storica di un periodo particolare della nostra vicenda giudiziaria. Appartengono ormai al passato e tutti, a partire dai giudici che l' hanno condotto, debbono abituarsi all' idea di un nuovo modello processuale, che obbligherà a giudicare anche fenomeni di massa come la mafia, il terrorismo o la criminalità economica parcellizzando in piccoli tronconi gli imputati appartenenti alle organizzazioni criminali ed i reati da loro commessi. Solo la storia potrà dire se l' epoca dei processi di massa sarà ricordata con rimpianto e ammirazione ovvero giudicata con incredulità e disagio, come un momento anomalo del modo di operare della giustizia penale. - di GUIDO NEPPI MODONA