PROCESSO ALIMONDA

Richiesta di archiviazione

Procura della Repubblica di Genova

Ufficio del sostituto dott. Silvio Franz - 9° piano , stanza n.2 - & 010/5692484 - Palazzo di Giustizia - Piazza Portoria n.1 - coll. Paolo Pescaglia e Alfredo Santi - & 010/5692852 010/591555

n. RG 13021/01/21

RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE

Art. 408 e 411 cpp

Il sottoscritto Silvio Franz, letti gli atti del procedimento n. RG sopra indicato nei confronti di Placanica Mario n. a Catanzaro il 13.8.80 Cavataio Filippo nato a Carini (Pa) il 3.9.1977

Indagati per il seguente reato:

del reato previsto e punito dall’art 575 cp per aver cagionato la morte di Carlo Giuliani ed in particolare: il Placanica sparando con la pistola di ordinanza Beretta SB “Parabellum” un colpo che raggiungeva al capo la vittima cagionandone il decesso. Ciò avveniva mentre il Placanica, militare dell’Arma appartenente al 12° Battaglione Sicilia, si trovava all’interno della autovettura Land Rover targata CC AE 217 assieme ai commilitoni Cavataio Filippo (autista del mezzo) e Raffone Dario, con lui seduto nel sedile posteriore e in occasione dell’aggressione del mezzo da parte di un gruppo di manifestanti che con spranghe, sassi , travi , lo danneggiavano recando lesioni agli occupanti. Il Giuliani veniva colpito al volto mentre era nell’atto di lanciare un estintore in direzione del lunotto posteriore della Land Rover avente il vetro già in frantumi. Il Cavataio, quale autista del defender, avendo concorso all’evento guidando in retromarcia il mezzo sopra il corpo di Giuliani

in Genova Piazza Alimonda il 20 luglio 2001

alle ore 17.30 circa ritenuto che non si debba procedere per le seguenti considerazioni

 

La giornata del 20 luglio 2001

Il reparto di appartenenza di Placanica

Mario Placanica apparteneva, quale Carabiniere ausiliario; al 12° Battaglione Sicilia dal quale, in occasione del G8, erano stati selezionati circa 200 uomini che andavano a formare una compagnia divisa in 4 plotoni. Il personale fu addestrato prima in sede e poi a Velletri per i compiti specifici previsti in occasione del G8. In particolare il Placanica, con funzioni di granatiere, si esercitò al lancio di lacrimogeni. Responsabile della Compagnia era il ten. Mirante. A Genova la compagnia, denominata Echo, fu affidata al comando del cap. Claudio Cappello e inquadrata con altre 4 compagnie provenienti da altre parti d’Italia, nel contingente IRR (intervento rapido risolutivo) diretto dal ten. Col. Giovanni Truglio. La ricostruzione dei movimenti e delle attività svolte nella giornata del 20 luglio dal reparto di Placanica si basano sulle dichiarazioni del sottotenente Giuseppe Zappia, del capitano Claudio Cappello, del ten. Col. Giovanni Truglio e del funzionario della Polizia di Stato dott. Adriano Lauro oltre che sulle relazioni di servizio redatte subito dopo i fatti. Vi sono delle differenze di carattere secondario riguardanti la tempistica che trovano una comprensibile giustificazione nella concitazione dei momenti. Inoltre non può essere sottaciuto il fatto che l’organizzazione delle operazioni fu profondamente modificata nella notte tra il 19 e 20 luglio e da ciò derivò parte dei disservizi palesatisi nella giornata del 20. A questo punto giova riassumere a grandi linee i passaggi che portarono il reparto di Placanica al tragico appuntamento in Piazza Alimonda.

  • · Alle ore 6.00 circa il reparto riceve l’ordine di servizio e tre plotoni vanno a posizionarsi in prossimità della Questura. Dopo alcune ore il contingente viene smembrato e rimangono 2 plotoni.
  • · Verso tarda mattinata il contingente viene mandato in Piazza Tommaseo dove arriva dopo che gli scontri coi manifestanti si erano conclusi.

Il dott. Lauro prende in carico il reparto.

  • · Il personale viene posizionato in via Rimassa in prossimità dei giardini M.L. King dove viene fatto oggetto di lanci di vari oggetti contundenti.
  • · Intorno alle ore 14.00, in un momento di calma, vi è una breve pausa per mangiare.
  • · Dalle ore 15.00 il reparto viene impiegato in corso Torino e zone limitrofe in cariche di alleggerimento.
  • · Verso le ore 17.00 il reparto, inseguendo i manifestanti, percorre via Invrea e arriva in piazza Alimonda dove, in un momento di relativa calma, ormai ridotto a una cinquantina di uomini, viene riorganizzato.
  • · In tale circostanza sono presenti anche due defender utilizzati per i collegamenti fra i reparti. In uno vengono fatti salire i Carabinieri Placanica e Raffone in quanto intossicati dai lacrimogeni.
  • · A questo punto, su concorde decisione del funzionario PS e del capitano Cappello (o su disposizione del solo dott. Lauro) ([1]), il reparto viene schierato su via Caffa in direzione via Tolemaide per fronteggiare un gruppo di manifestanti che aveva formato una barricata con i cassonetti ([2]).
  • · Il gruppo di Carabinieri viene fatto oggetto di un fitto lancio di pietre e bottiglie fino a quando la pressione si fa insostenibile anche perché parte dei manifestanti stava effettuando una manovra di accerchiamento in via Odessa. Improvvisamente vi è un ripiegamento disordinato da parte dei militi a piedi che lascia scoperti i due defender che si trovano alle spalle del reparto.
  • · Nella concitazione del momento i guidatori dei mezzi cercano di ripiegare velocemente verso Piazza Tommaseo. Si assiste ad un tentativo di invertire la marcia su un terreno cosparso di oggetti (pietre, cassonetti della spazzatura e altro); i mezzi si ostacolano a vicenda e l’inversione non riesce a quello guidato dal Carabiniere Cavataio che va ad incastrarsi contro un cassonetto.
  • · Il mezzo viene in pochi attimi raggiunto dai manifestanti provenienti da via Tolemaide e via Odessa.

Piazza Alimonda

I manifestanti raggiungono di slancio il defender con a bordo i Carabinieri Cavataio, Raffone e Placanica. Inizia una fitta sassaiola, i vetri laterali vengono sfondati con spranghe e bastoni, il vetro posteriore viene infranto ([3]).

Massimiliano Monai, a torso nudo e con una maschera protettiva da pugilato, partecipa all’aggressione: “il rumore era assordante ed io trovata a terra una trave, ([4]) cominciai a colpire il tetto del mezzo; l’ultimo colpo lo diressi all’interno del mezzo il cui finestrino posteriore destro era già frantumato ([5]). Vidi per un attimo il volto del carabiniere che era posizionato nella mia direzione ne colpii la sagoma ([6]), poi lo vidi accucciarsi. Mentre avveniva tutto ciò la gente intorno urlava frasi di disprezzo e minaccia nei confronti dei CC quali “bastardi, vi ammazziamo” ([7]). Non ho udito frasi provenienti dall’interno della camionetta ma in quel trambusto non posso escludere che siano state proferite”. I manifestanti colpiscono gli occupanti del mezzo con pietre ed altro ([8]); probabilmente si cerca anche di trascinare fuori dal mezzo i Carabinieri trascinandoli per le gambe ([9]). Nella parte posteriore del mezzo Raffone, colpito al volto e al costato, si accuccia mentre Placanica cerca di proteggerlo e urla “finitela, andatevene!”. Mentre Cavataio fa retromarcia e forse gli si spegne il motore ([10]). Dopo essere stato colpito al capo Placanica estrae la pistola e urla “andatevene o vi ammazzo”. Dai video agli atti si percepisce che alcuni manifestanti vedono la pistola e si allontanano. La circostanza è confermata dallo stesso Predonzani: “Ad un certo punto mi accorsi che uno dei CC all’interno del mezzo stava brandendo una pistola e diedi l’allarme. Nella confusione penso di essere stato sentito da alcune delle persone che mi circondavano”. A questo punto Carlo Giuliani, che in inizialmente si trova sul lato del mezzo a fianco di Predonzani e Monai, si porta sul retro del mezzo e raccoglie da terra l’estintore (già lanciato almeno una prima volta contro il Defender da altro aggressore). Viene colpito nel mentre ha sollevato l’ estintore sopra la testa ed è nell’atto di lanciarlo (più precisamente nel momento in cui lo lancia) ([11]). Al primo sparo ne segue uno in rapida successione. Cavataio riesce ad ingranare la retromarcia e, passando sopra il corpo di Giuliani, si allontana in direzione Piazza Tommaseo. Fatti pochi metri, salgono sul mezzo il mar. Amatori (che si pone alla guida in quanto il Cavataio è in stato confusionale) e il carabiniere Orazio Rando il quale vede il Placanica con in mano la pistola e la testa sanguinante che ripete la frase” mi volevano ammazzare, io non voglio morire”. Nel mentre intervengono reparti della polizia e dei Carabinieri e, successivamente, personale della Sezione Omicidi della Squadra Mobile della Questura di Genova.


Si rinviene e si provvede a sequestrare il seguente materiale:

  • · Un estintore di colore rosso marca SIMA Italiana srl con una scritta di colore nero “Q8 ITALIANA PETROLI”. Si tratta dell’oggetto che Giuliani aveva in mano nel momento in cui fu colpito. L’estintore è stato riconosciuto in data 23.7.01 dalla titolare del distributore Q8 in via Tolemaide 13 Ernesta Neri la quale ha dichiarato che “verso le ore 16.00, mentre transitava il corteo dei manifestanti alcuni giovani, molti col volto coperto, cominciavano a sradicare i paletti di ferro che circondavano il distributore. Poco dopo vedevo un giovane con il passamontagna scuro, una canottiera bianca ed i pantaloni scuri, che si allontanava dalla porta del distributore con un estintore nelle mani. Scaricava il contenuto dell’ estintore dopo di che girava l’angolo di via Caffa quindi lo perdevo di vista”.
  • · Un bossolo cal. 9 rinvenuto dal giornalista Giuseppe Filetto a pochi metri dal cadavere di Carlo Giuliani e consegnato agli operatori. In particolare il Filetto ha dichiarato che “il dr. Cremonesi mi faceva notare un bossolo in terra che si trovava a circa 3 metri di distanza dal cadavere e precisamente nelle vicinanze del bar sito all’angolo tra via Caffa e p.zza Alimonda “circostanza confermata dal Cremonesi, responsabile dell’automedica intervenuta sul posto “mentre io e l’infermiere tornavamo verso la vettura, ho notato in un avvallamento dell’asfalto, un bossolo presumibilmente da arma, che raccoglievo e cercavo di consegnarlo ad un Carabiniere. Il militare riferiva che si trattava di un bossolo da lacrimogeni non prendendolo in consegna. A questo punto interveniva il Filetto che prendeva il bossolo assicurandomi che lo avrebbe consegnato alle forze dell’ordine. Subito dopo, infatti, sopraggiungeva la dr.ssa Bucci e l’Isp Bottaio, che conosco personalmente, i quali prendevano in consegna il bossolo da Filetto. Il bossolo che ho raccolto era rispetto alla testa della vittima ad una distanza dai 3 ai 5 metri circa”.
  • · una pietra sporca di sangue.
  • · gli oggetti trovati indosso a Carlo Giuliani ([12]); in particolare un cutter con lama (rinvenuto all’altezza dell’inguine tra il costume e i pantaloni della tuta), un accendino (rinvenuto a cm. 30 dal capo di Giuliani) e, sul braccio destro, un rotolo adesivo da imballaggio.

Successivamente, presso la Caserma dei Carabinieri di San Giuliano veniva sequestrata l’arma Beretta in dotazione a Placanica nonché il defender targato AE 217 con relativo contenuto ed in particolare il bossolo di un proiettile di pistola cal. 9.

Il ruolo di Predonzani e Monai nell’aggressione al Defender

Dalle immagini video fotografiche emerge evidente il coinvolgimento di Predonzani e Monai nell’aggressione del Defender. In particolare, mentre il Monai colpiva il mezzo e i suoi occupanti con una trave, il Predonzani raggiungeva con i primi manifestanti il mezzo dei Carabinieri e lo faceva oggetto, a suo dire, solo di lancio di pietre ([13]). In realtà, esaminando il video filmato da Massimiliano Franceschini ([14]), si intravede Predonzani colpire ripetutamente con una spranga (o un bastone) il lato sinistro del Defender. Al suo fianco, intento a colpire il mezzo vi è anche Carlo Giuliani.

I movimenti di Giuliani, Monai e Predonzani nella giornata del 20 luglio

La morte di Carlo Giuliani in Piazza Alimonda è un episodio specifico ma la ricostruzione dello stesso sarebbe carente se non vi fosse uno sforzo per accertare come i protagonisti, almeno quelli identificati, siano arrivati a tale appuntamento. L’imponente materiale videofotografico ha permesso di ricostruire a grandi linee come Giuliani, Monai e Predonzani abbiano vissuto le ore precedenti. In generale è assodato che si conoscessero e che frequentassero gli stessi luoghi e ambienti ([15]). Dai video agli atti i soggetti sono stati riconosciuti nelle seguenti occasioni nel pomeriggio del 20 luglio: 

  • · Predonzani presso lo stadio Carlini prima della partenza del corteo delle tute bianche;
  • · Predonzani e Monai attorno al blindato dei Carabinieri poi incendiato in corso Torino mentre lanciano pietre; in particolare si vede il Monai che danneggia il blindato;
  • · Predonzani con a fianco Giuliani che lanciano pietre all’imbocco di via Caffa;
  • · Monai con una trave e Giuliani con un bastone in prima fila negli scontri in via Tolemaide;
  • · Giuliani che trascina in via Tolemaide una campana per la raccolta del vetro;
  • · Giuliani che raccoglie pietre, rompendo il selciato, presso il distributore IP ubicato all’incrocio tra Piazza Giusti e via Archimede ([16]);
  • · Monai con pietre in mano nell’ atto di lanciarle in via Tolemaide

 

Accertamenti tecnici

Autopsia sul corpo di Carlo Giuliani

Nelle ore successive alla morte di Giuliani venivano incaricati dell’autopsia il Prof. Marcello Canale e il Dott. Marco Salvi . Ultimati gli accertamenti, il corpo veniva messo a disposizione dei familiari che ne disponevano la cremazione. L’ esame autoptico ha dato i seguenti risultati:

“La morte di Carlo Giuliani fu prodotta da lesioni cranio-encefaliche secondarie ad un colpo d’arma da fuoco a proiettile singolo, trapassante. Il colpo è stato esploso ad una distanza superiore ai 40-50 cm. ed ha attinto il soggetto in regione orbitaria sinistra. Il proiettile ha avuto un tramite intracranico dal davanti all’indietro, da destra verso sinistra e dall’alto verso il basso, fuoriuscendo dal corpo in regione occipitale sinistra. ([17]) II feritore si trovava di fronte alla vittima e leggermente spostato verso destra”.

Le lesioni riportate da Placanica e Raffone

Per quanto interessa nel presente procedimento, si riportano le conclusioni dei consulenti:

“Placanica Mario il 20/7/2001 a seguito di traumatismi contusivi vari riportò un trauma cranico con ferita lacero-contusa al vertice, una contusione semplice all’avambraccio destro, ed una forte contusione alla gamba destra con edema diffuso a tutta la gamba. La ferita lacero-contusa al vertice è del tutto compatibile con una pietrata. Le altre lesioni non hanno avuto caratteristiche tali da consentire un’identificazione precisa del mezzo contundente”.

“Raffone Dario il 20/7/2001, a seguito di traumatismi contusivi vari riportò una contusione escoriata alla metà destra del viso, una contusione escoriata in sede scapolare destra, nonché contusioni varie agli arti superiori. La lesione al viso aveva caratteristiche tali da renderla compatibile con una pietrata, mentre quella in sede scapolare destra appare compatibile con un colpo di un corpo dotato di uno spigolo ad angolo retto quale, verosimilmente, una tavola. Le altre contusioni non presentavano caratteristiche tali da consentire ipotesi per precisare il mezzo contundente”.

Le conclusioni alle quali sono giunti i consulenti dott. Canale e Salvi sono compatibili con le versioni fornite da Raffone e Placanica.

Le condizioni del Defender

Con la annotazione del 25.7.01 del Reparto Operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Genova - Regione Liguria è stata trasmessa la repertazione dei defender e di quanto negli stessi contenuto. In particolare dai rilievi fotografici e dalle videoriprese risultano sul defender occupato da Placanica, Cavataio e Raffone:

  • · numerose ammaccatura esterne al mezzo dovute ad oggetti contundenti;
  • · la rottura dei vetri laterali e di quello posteriore;
  • · la presenza all’interno del mezzo, di numerose pietre di varie dimensioni, alcune sporche di sangue;
  • · tracce ematiche sul poggiatesta del guidatore nella parte posteriore.

Le consulenze balistiche

Inizialmente questo PM ritenne di dovere accertare se i due bossoli rinvenuti uno all’interno del defender tg AE C.C. 217 (reperto B) e l’altro in prossimità del corpo di Giuliani (reperto A) fossero stati utilizzati dalla stessa arma e se tale arma fosse la Beretta in dotazione a Mario Placanica.

Il consulente Valerio Cantarella utilizzava quasi 3 mesi per rispondere al quesito nei seguenti termini:

“In considerazione di quanto esposto ritengo di poter motivatamente rispondere, ai quesiti posti, nel seguente modo: I confronti comparativi eseguiti tra i bossoli a reperto e quelli sperimentali hanno permesso di stabilire (considerati tutti i particolari coincidenti e quelli non coincidenti), relativamente all’arma che li esplose (pistola Beretta mod 92 SB matr. U45249Z in dotazione al Carabiniere Placanica Mario), delle diverse percentuali di probabilità. Relativamente al repèrto “A”, presentando delle coincidenze limitate a circa il 10 % di compatibilità con la pistola in sequestro, vi sono scarse probabilità che sia stato esploso da questa. Relativamente al reperto “B” avendo rilevato parecchie coincidenze, circa 80 % di compatibilità con la pistola in sequestro, vi sono molte probabilità (si potrebbe dire la quasi certezza) che sia stato esploso da questa”.

A fronte di un simile risultato, questo PM riteneva necessario approfondire ulteriormente la questione. Infatti era fuori discussione, in base ai dati raccolti, che in occasione della morte di Giuliani erano stati esplosi due colpi di arma da fuoco in rapida successione. Veniva quindi nominato altro consulente, l’ispettore superiore Biagio Manetto del Gabinetto Regionale per la Sicilia del Servizio di Polizia Scientifica presso la Questura di Palermo, al quale veniva richiesto di prendere in esame anche le altre pistole di ordinanza utilizzate il giorno 20.7.01 oltre a quelle in dotazione ai Carabinieri Cavataio, Raffone e Placanica:

“dica il consulente, prese in esame le pistole Beretta in dotazione in data 20.7.01 ai Carabinieri Placanica Mario, Raffone Dario, Cavataio Filippo, Casentino Claudio e, Re Marco e Errichiello Massimiliano, se le stesse siano compatibili con i due bossoli rinvenuti uno all’interno del Defender AE CC 217 e l’altro in prossimità del corpo di Carlo Giuliani. Inoltre dica il consulente, presa visione del materiale video fotografico agli atti e dell’esame autoptico eseguito sul corpo di Carlo Giuliani, se la posizione dell’arma che si vede all’interno del defender al momento dello sparo nel suddetto materiale fosse compatibile con la traiettoria del proiettile che ha attinto il Giuliani”.

La risposta al quesito era opposta a quella del consulente Cantarella. Secondo Manetto i due bossoli rinvenuti erano stati esplosi dalla stessa arma che si identificava nella Beretta in dotazione al Placanica.

Successivamente il consulente Cantarella, esaminate le conclusioni dell’isp. Manetto, chiedeva di potere prendere nuovamente in esame i due bossoli e in data 7.2.02 depositava una integrazione della propria consulenza rettificando in parte la stessa. In particolare giungeva alla conclusione che anche il bossolo trovato accanto al corpo di Giuliani era compatibile al 60% (e non più al 10%) con l’arma in uso al Placanica.

II materiale video fotografico

E’ stato scritto che le giornate del G8 sono state l’evento più ripreso nella storia. Le ragioni sono molteplici e non necessariamente convergenti. Sicuramente il salto qualitativo della tecnologia nel settore audiovisivo ha permesso una disponibilità di massa di strumenti sofisticati e allo stesso tempo maneggevoli. Inoltre sia le forze dell’ordine che i contestatori dell’evento hanno percepito l’importanza e le potenzialità dello strumento e si sono attrezzati. In sostanza il materiale video (e sonoro) e fotografico è stato prodotto da varie fonti:

  • · gli organi di informazione presenti a Genova in numero elevato;
  • · i videocineoperatori e i report appartenenti alle varie organizzazioni no global;
  • · le forze dell’ordine;
  • · i privati cittadini i quali, spesso forniti di strumentazione digitale, si sono sentiti testimoni di un evento importante ed hanno deciso di immortalarlo.

Il reperimento del materiale attinente i fatti di Piazza Alimonda non è stato agevole per una serie di ragioni. In particolare:

  • · gli organi di informazione, pur collaborativi , non sono stati sempre in grado di garantire la completezza del materiale fornito (il recupero del materiale “girato” integrale - più ampio del “montato” che è stato mandato in onda - non è stato agevole);
  • · si è riscontrata a volte della ritrosia da parte dei privati cittadini a fornire il materiale dagli stessi ripreso;
  • · nel caso di qualche reporter vi è stato un fraintendimento del ruolo rivestito (in particolare il Martinez della Reuters si è trincerato dietro la propria professione rifiutandosi di rispondere alle domande di questo PM in qualità di persona informata sui fatti ai quali aveva assistito in prima persona);
  • · è convinzione di questo PM che non tutto il materiale videofotografìco ripreso da appartenenti al movimento no global sia confluito nel presente procedimento, e ciò lo si ricava dalla riprese dei fatti di Piazza Alimonda dove tra i manifestanti si notano diverse persone fomite di videocamera (o fotocamera).

Nonostante la probabile incompletezza del materiale raccolto, è però ragionevole ritenere che gran parte dei video e delle fotografie idonei a ricostruire i fatti culminati con la morte di Carlo Giuliani siano stati acquisiti al presente procedimento.

La consulenza collegiale ex 360 cpp

Anche in seguito alle perplessità sollevate dalle parti (in particolare i legali e i consulenti delle persone offese manifestavano dubbi sulla dinamica del fatto e sulla distanza di Giuliani dal Defender al momento in cui era stato colpito), questo PM riteneva necessario un ulteriore approfondimento tecnico. Onde garantire il contraddittorio si sceglieva di utilizzare lo strumento dell’ accertamento tecnico irripetibile. Per la delicatezza della scelta adottata questo PM consultò i legali delle parti i quali condivisero lo strumento giuridico utilizzato, il quesito proposto e la scelta dei consulenti del PM considerandoli dotati di assoluto valore tecnico e indiscussa indipendenza. Vale ricordare che i legali avrebbero potuto, qualora in disaccordo con quanto sopra, formulare riserva di promuovere incidente probatorio, cosa che esclusero senza manifestare alcun dubbio ([18]).

In data 12 febbraio 2002 questo PM , alla presenza dei legali delle parti, incaricava della consulenza Romanini Paolo, Torre Carlo e Benedetti Pietro e formulava il seguente quesito:

“presa visione del materiale video, fotografico e planimetrico agli atti, del materiale sequestrato, delle consulenze fino ad ora effettuate, ricostruiscano i consulenti, anche in forma virtuale, la condotta di Mario Placanica e di Carlo Giuliani nel periodo immediatamente antecedente e successivo a quello in cui il Giuliani è stato colpito. In particolare andranno ricostruite le distanze tra i due, i rispettivi angoli di visuale e, per quanto riguarda il Placanica, lo spettro visivo che lo stesso aveva all’intemo del defender nel momento in cui lo stesso ha sparato”.

La necessità di un esperto in informatica applicata al materiale audiovisivo portava alla nomina di Nello Balossino in data 6 marzo 2202.

Problemi tecnici e organizzativi (a loro volta le parti avevano provveduto a nominare dei consulenti) determinavano la dilatazione dei tempi . In particolare si rendevano necessario alcune attività:

  • · prove tecniche di sparo con diverse armi;
  • · sopralluogo in Piazza Alimonda in data 21 aprile 2002 in modo da ricostruire più esattamente possibile le posizioni del Defender e di Giuliani e la dinamica dei fatti confrontando i rilievi con il materiale agli atti. Va rilevato che in tale occasione si trovò la traccia che il secondo colpo esploso lasciò sull’intonaco della chiesa;
  • · prove tecniche di sparo effettuate a Fidenza il 20.7.02 onde verificare la possibilità che il colpo che raggiunse Giuliani fosse stato deviato da un calcinaccio.

In data 10 giugno 2002 i consulenti del PM depositavano i risultati che sintetizzavano nelle seguenti conclusioni:

  • 1. Carlo GIULIANI morì per una ferita da arma da fuoco alla testa. Egli fu colpito da un solo proiettile, che penetrò alla regione dell’orbita sinistra e procedette secondo un tramite diretto sostanzialmente dall’avanti all’indietro, interessante lo scheletro della faccia, l’osso sfenoide, la rocca petrosa dell’osso temporale, la squama dell’osso occipitale. Lungo il suo percorso intracranico il proiettile determinò lesioni dirette degli involucri meningei (e dei loro dispositivi vascolari), del lobo temporale sinistro del cervello, dell’arteria carotidea interna, dell’emisfero cerebellare sinistro. La ferita causò emorragie interne (intracraniche ed inondanti le vie aeree) e profuso sanguinamento esterno, prevalentemente anteriore (dalla ferita di ingresso e dagli orifizi del volto).
  • 2. Le lesioni cranio - encefaliche patite sono da giudicare, per la loro gravità, incompatibili con il compimento, dopo la loro produzione, di atti volontari finalizzati da parte di Carlo GIULIANI.
  • 3. Il proiettile non uscì intero dalla testa della vittima: l’esame delle pellicole TAC acquisite consente di individuare, in prossimità della ferita di uscita occipitale, un corpo di opacità metallica le cui caratteristiche radiologiche sono compatibili con un frammento di camiciatura di ottone del proiettile.
  • 4. Sul fuoristrada Land Rover, modello Defender, targato CCAE217, non sono state rilevate tracce di impatto attribuibili a colpi sparati con armi da fuoco.
  • 5. Le comparazioni eseguite sui due bossoli repertati hanno evidenziato che gli stessi sono stati certamente sparati dalla stessa arma.
  • 6. Le comparazioni tra i due bossoli repertati ed i bossoli sperimentali sparati con la pistola semiautomatica Beretta, modello 92SB, calibro 9 mm Parabellum, matricola n. U45249Z, in dotazione al carabiniere ausiliario PLACANICA Mario, hanno dato esito positivo, significando che i due reperti appartenevano a cartucce ambedue sparate dall’arma in questione.
  • 7. Nell’involucro contenente il passamontagna indossato da Carlo GIULIANI è stato rinvenuto un frammentino metallico. All’esame con microscopio elettronico a scansione esso risulta di piombo in assenza di rilevabili tracce di antimonio (analogamente al nucleo dei proiettili montati sulle cartucce Fiocchi cal. 9 mm Parabellum dello stesso lotto di quelle che erano inserite nel caricatore dell’arma in dotazione al PLACANICA). Sulla sua superficie sono infisse minute schegge ossee; vi sono inoltre diffuse tracce di elementi originariamente non presenti nelle cartucce ed invece di frequente osservazione in comuni manufatti ed in particolare nei materiali per edilizia e nelle vernici. Sulla superficie profonda del passamontagna, attorno al foro di uscita, sono stati individuati microscopici frammentini di piombo e di osso “sporco” di piombo; si osservano altresì fibre tessili imbrattate (“spalmate”) di piombo. Microscopici frammentini di piombo sono stati individuati anche sulla superficie profonda del passamontagna, nelle porzioni anteriori, dove l’indumento è molto imbrattato di sangue secco, frammisto a minute schegge ossee. Tutti questi rilievi sono armonici con l’ipotesi che il proiettile prima di raggiungere il volto di Carlo GIULIANI sia entrato in rapporto con un oggetto idoneo a danneggiarne la camiciatura ed a cedere tracce di propri elementi al nucleo di piombo. Depongono in tal senso anche le caratteristiche della lesione di egresso, fessuriforme, frazionata, tipica delle fuoriuscite a bassa velocità relativa.
  • 8. Non è stato possibile determinare la traiettoria del proiettile che ha attinto il GIULIANI, poiché l’impatto contro un oggetto idoneo a danneggiare strutturalmente il proiettile non può non aver modificato, in modo peraltro non quantificabile, l’originaria direzione.
  • 9. Nel corso del sopralluogo è stata individuata una traccia prodotta dall’impatto di un proiettile a carico del muro perimetrale della chiesa. Detta traccia, sita a circa 5,2 metri di altezza dal suolo (rispetto all’area occupata dal Defender), reca una canalizzazione compatibile con la traiettoria di un colpo sparato dal punto in cui si trovava l’autovettura stessa, caratterizzato da un’angolazione verticale di circa 10 gradi e da un’angolazione orizzontale destrorsa di circa 9,5 gradi rispetto all’asse del fuoristrada. A riguardo di tale sparo (il secondo n.d.r.) è solo possibile rilevare che la traiettoria in questione è diretta all’incirca nella zona centrale delle fronde dell’albero (si veda foto di pag. 23) e il suo angolo orizzontale è destrorso di circa 9,5 gradi rispetto l’asse principale longitudinale del Defender. Ciò indica che il colpo in oggetto è stato sparato con angolazione orizzontale opposta rispetto a lato di provenienza di Carlo Giuliani. L’entità e le caratteristiche della traccia sono compatibili con le peculiarità statico-dinamiche del proiettile di cartuccia cal. 9 mm Parabellum sparato in arma corta. Sulla base degli elementi a disposizione si ritiene che questa sia la traccia dovuta all’impatto del secondo colpo sparato dall’arma del PLACANICA.
  • 10. La ricostruzione della dinamica dell’evento si è basata su simulazioni di tipo sia video, con figurante, sia software, mediante rappresentazioni 3D e animazioni. La determinazione della distanza di Carlo GIULIANI dal Defender dei Carabinieri è stata condotta prendendo in considerazione due immagini fotografiche corrispondenti a due diversi punti di vista della scena nello stesso intervallo temporale, desumibile dalla postura assunta da Carlo GIULIANI. Si tratta dei fotogrammi indicati con il n° 22 e il n° 20 dell’album indicato agli atti, redatto dalla Squadra Mobile 3^Sezione, contenente n° 34 fotografie. Il primo ha permesso il posizionamento spaziale assoluto non solo del Defender ma anche del figurante in quanto è visibile la posizione assunta dai piedi di GIULIANI. Il secondo fotogramma ha convalidato la correttezza del posizionamento/del Defender e della vittima. La misurazione della distanza del baricentro valutato nel punto di mezzo dell’appoggio dei piedi (GIULIANI ha comunque il piede sinistro sollevato nell’atto di compiere un avanzamento) rispetto alla vettura ha prodotto il valore di circa 300 cm. Le elaborazioni di post produzione condotte sul filmato girato durante il sopralluogo e le immagine suddette, nonché elaborazioni basate su filtri di esaltazione hanno convalidato la correttezza del posizionamento e quindi dei valori metrici relativi alla distanza di GIULIANI rispetto al Defender.
  • 11. Il materiale fotografico e video a disposizione ha permesso inoltre di formulare una valutazione dello spostamento compiuto da GIULIANI prima di essere colpito. A tal fine valgono considerazioni sulla evoluzione del percorso effettuato da GIULIANI sulla base della foto sopra indicata con il n° 22; si può infatti osservare come la vittima assuma una postura protesa in avanti con la gamba sinistra flessa in posizione di avanzamento; se ne deduce che GIULIANI debba aver posato il piede sinistro a terra e per naturale evoluzione (convalidata anche da videofotogrammi) successivamente anche il piede destro, coprendo così uno spazio di circa 150 cm, dimezzando in tal modo la distanza dal Defender. Le sequenze video permettono inoltre di valutare il numero di fotogrammi che intercorrono dal posizionamento assunto da GIULIANI nel fotogramma n° 22 e lo sparo. Sono stati contati 23 frame corrispondenti ad un lasso di tempo compatibile per compiere uno spostamento di oltre 100 cm.
  • 12. La ricerca di effetti secondari del colpo d’arma da fuoco esploso a distanza ravvicinata e di tracce dello sparo sulla superficie esterna del passamontagna, eseguita con microscopio elettronico a scansione, ha avuto esito negativo. Il dato indica (a meno che tra la bocca dell’arma ed il bersaglio non fosse interposta un’idonea “schermatura”) una distanza di sparo superiore (il valore è approssimativo e da assumere con cautela) a circa 50-100 centimetri.
  • 13. L’angolo di visuale di GIULIANI non può che essere valutabile nel naturale campo visivo umano che .copre nella visione centrale un angolo di 80/90 gradi che gli permetteva di vedere la parte posteriore della vettura, non avendo alcun ostacolo significativo interposto (fotogramma n° 20).
  • 14. Per quanto riguarda Mario PLACANICA, il suo sistema visivo può essere simulato con una telecamera posta a un’altezza variabile da 100 cm dal pianale del Defender (posizione ritta del tronco con appoggio sui sedili, poco verosimile) a circa 80 cm (posizione di traguardamento al limite della sagoma della ruota di scorta); la posizione laterale è valutabile nello spazio che intercorre fra il montante sinistro del lunotto posteriore e il montante del vetro del portellone. Da questa posizione, intesa come di partenza di GIULIANI nella foto n° 20. PLACANICA poteva intravedere la sagoma di GIULIANI che è poi risultata in evidenza a seguito dell’ipotizzato avanzamento.
  • 15. Si è inoltre proceduto a indagini antropomeiriche sul volto che appare all’interno del Defender nel fotogramma n° 27. Il confronto è avvenuto sulla base dei rilievi fotografici effettuati su Mario PLACANICA e Dario Agatino RAFFONE; ne è emerso che il volto del fotogramma è identificabile con quello di RAFFONE.
  • 16. Si è operato il confronto delle mani che appaiono nei fotogrammi n° 20 e n° 32; la comparazione ha evidenziato che la mano destra che impugna la pistola e quella sinistra, in posizione quasi chiusa, sono altamente attribuibili a PLACANICA.

Durante l’incontro veniva visionato un CD contenente la riproposizione in forma rallentata (frame by frame) dello spezzone di video ripreso da Vincenzo Rizzo per conto di Luna Rossa Cinematografica ([19]). L’utilizzo del sistema denominato over-scan aveva permesso di recuperare i contorni del video in modo tale da visualizzare una pietra/calcinaccio che si “spappolava” in apparente concomitanza con il primo sparo. Tale circostanza richiedeva un approfondimento al fine di verifìcare se l’oggetto che il primo proiettile aveva colpito prima di raggiungere Giuliani (si veda il punto 7 delle conclusioni) potesse essere la suddetta pietra. In data 5 agosto 2002 i consulenti del PM depositavano 2 elaborati integrativi che riportavano le seguenti conclusioni:

  • · Le prove eseguite hanno consentito di identificare il solido colpito dal proiettile prima di attingere al volto Carlo Giuliani in un calcinaccio lanciato in direzione del Defender . In tal senso concordano e convergono tutti gli elementi a nostra disposizione.
  • · La posizione del calcinaccio (quando fu intercettato dal proiettile si trovava interposto tra il Defender e Carlo Giuliani, ad una altezza dal suolo di circa m. 1,9) indica che il colpo fu esploso verso l’alto, secondo una traiettoria che escludeva (per essere più elevata) la sagoma di Carlo Giuliani; il proiettile ne raggiunse il volto perché deviato (verso il basso) dall’urto contro il calcinaccio
  • · Le caratteristiche sperimentali di impatto con proiettili e i relativi fenomeni fisici, sono aderenti a quanto appare nei frame del filmato di piazza Alimonda, realizzato da “Luna Rossa”
  • · Ciò che è visibile nel filmato di cui sopra corrisponde pertanto all’impatto di un proiettile contro un calcinaccio scagliato verso il Defender.
  • · Il proiettile che ha colpito il calcinaccio è il primo che è stato sparato.

In data 9 agosto 2002 i consulenti delle persone offese depositavano un elaborato nel quale contestavano parzialmente le conclusioni formulate dai consulenti del PM ([20]).

Comparazione tra le consulenze

Schematicamente si riportano i punti sui quali non vi è sostanziale contestazione:

  • · la pistola in dotazione a Mario Placanica ha sparato in rapida successione due colpi il primo dei quali ha colpito a morte Carlo Giuliani;
  • · Mario Placanica è il soggetto che ha premuto il grilletto;
  • · il proiettile, prima di colpire Giuliani, ha incontrato sulla sua traiettoria un oggetto che ne ha determinato la parziale frammentazione ([21]);
  • · nella fotografìa D’ Auria ([22]) la distanza tra il Defender e Giuliani è di circa m. 3.00 ([23]);
  • · il secondo colpo sparato da Placanica ha impattato sul muro perimetrale della chiesa ad una altezza dal suolo di m. 5,2;
  • · la strumentazione video utilizzata sia da Rizzo che da Franceschini è standard. I suddetti hanno utilizzato videocamere di tipo digitale i cui fotogrammi si susseguono al ritmo di 1/25 al secondo.

I contrasti riguardano i seguenti punti:

Accertamento

Consulenti PM

Consulenti famiglia Giuliani

Distanza dell’operatore Rizzo

m. 35/40

m. 50 circa

Distanza dal defender di Giuliani al momento in cui è stato colpito

m. 1,75 circa

m. 3.30

Posizione spaziale del calcinaccio nel fotogramma n. 5 allegato alla relazione consulenti PM del 5.8.02

Altezza circa m. 190 e distanza dal defender di n. 1,00 - 1,30

Il calcinaccio si sta per sbriciolare colpendo lo spigolo del tetto del Defender

Distanza temporale tra la foto D’Auria e lo sparo

90/100 di secondo circa

72/100 di secondo

Ritardo tra evento sonoro e fotogramma

Il ritardo è quantificabile in circa 10-12/100 di secondo ( due frames e mezzo)

Il ritardo è quantificabile in circa 14/100 di secondo (tre frames e mezzo)

Presenza di macchie rosse nei filmati della Polizia in prossimità della testa di Giuliani

Si tratta di effetti cromatici presenti in più parti dei fotogrammi e non riconducibili alla fuoriuscita di sostanza ematica

Si tratta con ogni probabilità del sangue di Giuliani

 

In sostanza i consulenti della famiglia Giuliani sostengono che la pallottola non può essere stata deviata dal calcinaccio inquadrato dalla telecamera in quanto ciò è incompatibile con la tempistica ricavata dal filmato Rizzo ed in particolare dalle tracce audiovisive.

A parere dello scrivente la ricostruzione effettuata dai propri consulenti è in assoluto la più convincente in quanto permette l’armonizzazione di tutti i dati oggettivi a disposizione. Si rinvia alla lettura degli elaborati per ricostruire il percorso logico-scientifìco che ha portato alle conclusioni. Si rilevano soltanto alcuni punti:

  • · è evidente dalla visione della foto D’ Auria e dei filmati contrassegnati dalle lettere A, B, e C della cassetta VHS numerata 53 ([24]) che Giuliani, prima di essere colpito, si è ulteriormente avvicinato al Defender di almeno un metro rispetto ai m. 3 iniziali ( foto D’Auria);
  • · le caratteristiche della “esplosione” del calcinaccio sono chiaramente riconducibili all’impatto con un proiettile (o comunque con un oggetto che impatta ad alta velocità) e non allo sbriciolamento su una superficie dura ma immobile quale il tettuccio del Defender ([25]);
  • · l’impatto del proiettile con il calcinaccio e la successiva deviazione sul corpo di Giuliani sono compatibili con le tracce audio video del filmato (tenuto conto dei parametri: velocità del suono, velocità della luce, tempi di captazione dell’immagine e del suono, velocità media di un sasso/calcinaccio lanciato, velocità media delle polveri e detriti determinati dall’impatto) sia nel caso in cui la distanza di ripresa fosse di m. 40 (consulenti PM) che la stessa fosse di m. 50 (consulenti famiglia Giuliani);
  • · l’impatto intermedio con il calcinaccio è l’ipotesi più compatibile con i risultati ( non contestati) delle analisi effettuate dal consulente Torre sul passamontagna e sul materiale raccolto in sede di autopsia;
  • · ogni altra ipotesi alternativa all’impatto del proiettile con un corpo intermedio prima di colpire Giuliani è considerata, dagli stessi consulenti della famiglia Giuliani, assai improbabile ([26]).

 

Conduzione delle indagini

Si ritiene di fare alcune precisazioni in merito alla conduzione delle indagini da parte di questo PM. Da subito si è cercato di ricostruire nella maniera più aderente la dinamica dei fatti posticipando , come doveroso , ad un momento successivo la valutazione giuridica degli stessi . Inoltre il sottoscritto ha ritenuto che, nel caso specifico , la ricostruzione fosse un interesse comune alle parti tanto che la prima consulenza balistica fu effettuata dopo avere tentato la strada dell’incidente probatorio in contraddittorio (richiesta respinta dal GIP) e la consulenza collegiale è stata disposta utilizzando (e forzando) la norma dell’ art. 360 cpp. Inoltre è stata effettuata una discovery anticipata degli atti con avviso dato ai legali delle parti in data 18 aprile 2002.

Sulla tempistica dell’indagine, a mio avviso, hanno influito negativamente i seguenti fattori:

  • · il ritardo nel deposito dell’elaborato ed una certa superficialità dell’esame autoptico;
  • · l’errata valutazione (poi riconosciuta) nella prima consulenza balistica;
  • · la difficoltà a individuare e contattare i testimoni del fatto per il comprensibile motivo che spesso si trattava, allo stesso tempo, di potenziali indagati nel procedimento a carico degli aggressori del Defender;
  • · la necessità di chiarire particolari o elementi, a volte fantasiosi, che emergevano non tanto dalle indagini quanto da dichiarazioni rilasciate a organi di informazione.

A questo punto ritengo che le indagini siano state completate e che ogni spunto investigativo (rilevante per la ricostruzione) sia stato approfondito. In sintesi : da tutti gli elementi raccolti la ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Giuliani più aderente alla realtà va considerata quella visualizzata nell’allegato n. 12 del fascicolo 2 - Aspetti di elaborazione d’immagini - integrazione depositata dai consulenti del PM il 5.8.02 ([27]). Placanica spara il primo colpo verso l’alto; il proiettile ad una altezza approssimativa di m. 1.9 impatta su un calcinaccio lanciato nella direzione del Defender; l’impatto determina lo scamiciamento del proiettile e la deviazione dello stesso verso il basso; il proiettile deviato colpisce Giuliani in avvicinamento determinandone la morte.

 

Valutazioni giuridiche

Legittima difesa ed eccesso colposo

La Suprema Corte ha delineato con chiarezza il percorso logico che deve essere seguito per valutare l’applicabilità dell’ art. 52 o dell’art. 55:

“I presupposti essenziali della legittima difesa - scriminante ammessa nei confronti di tutti i diritti, personali e patrimoniali - sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima; mentre la prima deve concretarsi in un pericolo, attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo ed alla proporzione tra difesa ed offesa. L’eccesso colposo sottintende, a sua volta, i presupposti della scriminante col superamento dei limiti a quest’ultima collegati; per stabilire se nel commettere il fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa - legittima, bisogna prima identificare i requisiti comuni alle due figure giuridiche, poi il requisito che le differenzia: accertata la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio - temporale e personale, occorre procedere ad un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole, e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod.pen., mentre il secondo consiste in una scelta reattiva volontaria, la quale certamente comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante. SEZ. 1 SENT. 08999 DEL 03/10/1997 (UD.24/09/1997)

Nella motivazione della suddetta decisione si afferma inoltre “Ai fini della confìgurabilità dell’esimente della legittima difesa l’apprezzamento della proporzione tra offesa e difesa, che postula un rapporto di corrispondenza valutativa tra due termini, formulato con giudizio ex ante in riferimento sia ai mezzi usati ed a quelli a disposizione dell’aggredito che ai beni giuridici in conflitto , non può non essere qualitativo e relativistico” ([28]).

In particolare , sul requisito della proporzione, la Suprema Corte ha affermato che:

“In tema di legittima difesa, l’eccesso colposo si verifica allorché per un errore di valutazione si apprestano o si usano mezzi eccessivi di difesa in rapporto all’entità del pericolo; in tal caso la colpa è, invero, identificabile nella sopravalutazione erronea dell’entità del pericolo e quindi nell’errore sulla necessità di una reazione sproporzionata. Si deve, perciò, ritenere l’eccesso colposo invece della legittima difesa soltanto ove si dimostri che i mezzi adoperati potevano essere evitati o sostituiti da altri più proporzionati al pericolo di modo che la reazione, iniziatasi in condizioni che giustificano la legittima difesa diventa in seguito eccessiva per colpa sopraggiunta SEZ. 1 SENT. 02099 DEL 03/03/1993 (UD. 11/11/1992).

In conclusione, si possono enucleare i seguenti orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità ([29]):

  • · la legittima difesa e l’eccesso colposo si differenziano unicamente in ordine all’elemento della adeguatezza della reazione;
  • · è da ritenere l’eccesso colposo invece della legittima difesa soltanto ove si dimostri che i mezzi adoperati potevano essere evitati e sostituiti da altri più proporzionati al pericolo.

 

Esame del fatto specifico e condotta del Placanica

Nella loro tragicità i fatti di Piazza Alimonda sono inquadrabili nei seguenti termini. Non vi è dubbio che sussistano i requisiti della offesa ingiusta portata ad un bene (l’incolumità personale) di cui gli occupanti del defender erano titolari. Altrettanto pacifico è che la condotta difensiva è stata posta in essere quando il pericolo era attuale.

Secondo la più autorevole dottrina la reazione dell’offeso deve presentare tre requisiti: la costrizione, la necessità, la proporzione. Si ha costrizione quando l’agente (colui che si difende) subisce l’alternativa tra il reagire o il tollerare l’attacco esterno senza esserne l’artefice. Inoltre la condotta dell’aggredito deve essere necessaria per la difesa del diritto (“il limite della necessità va intesa come inevitabilità - relativa alle risorse effettive dell’aggredito - della reazione difensiva adottata” ([30]). Nel caso in oggetto l’esistenza di entrambi i suddetti requisiti non può essere, a mio avviso, messa in dubbio.

Più delicato è il problema della sussistenza della proporzione tra offesa e difesa. Secondo la dottrina “non v’è dubbio che il raffronto tra i beni in conflitto costituisca il punto di partenza ineludibile da cui deve prendere le mosse il giudizio di proporzione”; ciò va integrato con la valutazione sui mezzi a disposizione dell’offeso, criterio preminente nella giurisprudenza ([31]). In realtà, “un giudizio a vasto raggio è immanente al concetto di proporzione tra “difesa” e “offesa”, dato che questi due termini di riferimento non si limitano a indicare l’oggetto conclusivo dell’aggressione e della difesa, ma richiamano il complesso della situazione aggressiva ed il complesso della reazione difensiva” ([32]). “La necessità, la inevitabilità e la proporzione vanno valutate nella reale situazione concreta, attraverso un giudizio ex ante, che deve essere non meccanico-quantitativo, ma relativistico e qualitativo. Ciò sia perché non va dimenticato che il raffronto è pur sempre tra il bene di un aggressore ed il bene di un aggredito” ([33]).

Se quanto sopra è condivisibile, la vicenda va valutata non immaginando uno scontro tra Giuliani e Placanica, ma contestualizzando le condotte di entrambi.

Placanica nei due interrogatori del 20.7.01 e del 11.9.02 non è stato in grado di fornire precisazioni in merito agli istanti che hanno preceduto l’esplosione dei colpi. Poche ore dopo egli ha affermato: “II lancio di pietre è continuato ed io ho sentito la mia mano centrarsi e partire dalla mia pistola 2 colpi di arma da fuoco; io ero in posizione accucciata con la mano alzata ed armata, la mia mano con la pistola era quello che spuntava dalla camionetta”. In settembre ha ribadito: “Mi misi ad urlare “Andatevene o vi ammazzo” e lo dissi almeno tre o quattro volte. L’aggressione stava continuando e fu allora che esplosi un colpo; il successivo seguì in quasi di riflesso trattandosi di arma semiautomatica”. Volendo ritenere le versioni fomite all’epoca più genuine rispetto alle versioni successive rilasciate agli organi di stampa ([34]), si deve arguire che il Placanica abbia sparato senza mirare direttamente a Giuliani dopo avere visto che l’aggressione continuava. Placanica non sostiene, nei primi interrogatori, neppure di avere sparato volontariamente in aria. Sta di fatto che entrambi i colpi, in base agli accertamenti sopra richiamati, furono sparati con una inclinazione verso l’alto Placanica nel momento in cui spara e terrorizzato ed è attendibile quando non riesce a ricostruire il processo mentale che l’ha portato a premere il grilletto. Forse sparando voleva solo impaurire gli aggressori ai quali non erano bastate le minacce verbali e l’estrazione dell’arma per desistere (ipotesi che trova conforto nella direzione verso l’alto dei colpi); forse, invece, era sua intenzione porre fine all’aggressione sparando nella direzione degli aggressori tramite quel ristretto specchio visivo costituto dal lunotto posteriore del defender e accettando anche il rischio di colpirne qualcuno. Ritengo che questo dubbio non troverà mai una risposta prima di tutto nella mente di Placanica. Infine nella catena causale si inserisce anche un elemento assolutamente imprevedibile e improbabile (la deviazione del calcinaccio) che amplifica enormemente la gravita dei fatti determinando la morte di Giuliani.

Si prospettano tre possibilità:

  • 1- Placanica ha sparato i due colpi il più in alto possibile (considerando la posizione in cui si trovava) con l’intento non di colpire ma di impaurire gli aggressori. In tal caso la norma applicabile sarebbe l’art. 586 cp e il reato addebitabile sarebbe l’omicidio colposo.
  • 2- Placanica ha sparato i due colpi senza mirare specificamente a qualcosa o a qualcuno ma con l’intento di fermare l’aggressione; i colpi sono partiti con una traiettoria verso l’alto. In tal caso la norma applicabile sarebbe l’art. 585 cp (omicidio colposo) in quanto il Placanica avrebbe accettato il rischio di colpire qualcuno degli aggressori (dolo eventuale)
  • 3- Placanica ha sparato il primo colpo mirando a colpire Giuliani.

Le risultanze degli accertamenti effettuati ci portano con certezza ad escludere la terza ipotesi. Inoltre va precisato che la deviazione del proiettile sul calcinaccio non è idonea a interrompere il nesso di causalità ai sensi dell’art. 41 cp ([35]). Infatti l’intenzione di Placanica era comunque quella di sparare e l’impatto della pallottola sul calcinaccio (fattore eccezionale e imprevedibile) non ha costituito una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento e perciò idonea a interrompere il processo causale originato dalla condotta dell’ agente ( Placanica).

Per le due ipotesi rimanenti va affrontato il problema se Placanica abbia agito in stato di legittima difesa e se , in caso positivo , sia rinvenibile nella sua condotta un eccesso colposo.

Va data risposta ai quesiti se Placanica avesse delle alternative e se fosse giuridicamente esigibile una condotta diversa da quella tenuta. In base ai parametri sopra indicati la risposta è ragionevolmente negativa. Il defender era circondato e l’aggressione fisica agli occupanti era evidente e virulenta ([36]). In quei momenti Placanica aveva la giustificata ([37]) percezione di essere in pericolo di vita. Vi erano altri strumenti di difesa? La pistola era mezzo idoneo a fermare l’aggressione e non si può certo addebitare a Placanica considerazioni in merito all’equipaggiamento fornitogli. Certamente Placanica poteva evitare di usare l’arma così come poteva decidere di soccombere e subire l’aggressione in atto ma tale condotta non era esigibile. Nel nostro ordinamento la messa in pericolo di un bene fondamentale come la integrità fisica giustifica una reazione nei termini previsti dall’art. 52 cp.

Tornando alle due ipotesi residuali fatte in precedenza si ritiene che in entrambi i casi la scriminante sia integralmente applicabile alla condotta del Placanica e che la stessa non sia censurabile ai sensi dell’art. 55 cp.

Ciò impone a questo Pubblico Ministero di chiedere l’archiviazione.

 

Il potere-dovere del PM di chiedere l’archiviazione

 

La modifica dell’art. 425 cpp ha armonizzato i parametri della sentenza di non luogo a procedere con quelli che il PM deve utilizzare per la richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 125 disp. Att. Cpp. Anche in dottrina si è osservato che la nozione di infondatezza debba coincidere con quella posta a base dell’art. 425, dovendo pertanto il pubblico ministero chiedere l’archiviazione in tutte le ipotesi in cui all’esito dell’udienza preliminare il giudice sia tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere (A. BERNARDI, in Commento Chiavario, vol. IV, p. 580; Conti-Macchia, Nuovo processo, p. 190 e s.). Si è inoltre sostenuto che la regola di giudizio che deve presiedere all’archiviazione debba essere la stessa dettata dall’art. 530 per la sentenza di proscioglimento nel merito, perché solo valutando con esito a lui favorevole l’applicazione della detta regola, il p.m. può convincersi della sostenibilità in giudizio dell’accusa con gli elementi raccolti (NAPPI, Guida..., p. 313 S.; M. Bilancetti, Le funzioni del giudice nella fase delle indagini preliminari, in Giust. Pen. 1989, III, c. 309 s.).

Sul punto la Suprema Corte recentemente ha affermato che “dopo la modifica dell’art. 425 cod. proc. pen., che ha ampliato decisamente la sfera cognitiva e valutativa del giudice della udienza preliminare, l’avvenuto rinvio a giudizio implica un apprezzamento in termini di elevata serietà e fondatezza della proposizione accusatoria e di prevedibilità di una futura affermazione di condanna” SEZ. 1 SENT. 01026 DEL 12/03/96 (CC. 15/02/96).

“Ai fini della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425, comma 1, c.p.p., nella parte in cui questo fa riferimento all’ipotesi che il fatto non sussista o che l’imputato non lo abbia commesso, non è necessario che vi sia la prova dell’innocenza dell’imputato o che riscontri una totale mancanza di elementi a suo carico, essendo sufficiente anche la presenza di una situazione in cui la inidoneità degli elementi probatori già acquisiti a dimostrare la responsabilità dell’imputato si accompagni alla ragionevole previsione della impossibilità che in sede dibattimentale ai suddetti elementi se ne possano aggiungere di ulteriori”. SEZ. 1 SENT. 00687 DEL 13/03/98 (CC. 05/02/98)

In sostanza non siamo molto distanti dal progetto preliminare delle norme di attuazione; all’art. 115, si leggeva per la prima volta una definizione di infondatezza: “Il pubblico ministero presenta al giudice le richiesta di archiviazione quando ritiene che gli elementi di prova acquisiti nelle indagini preliminari non sarebbero sufficienti al fine della condanna dell’imputato”; e, ad illustrazione del testo, si poteva leggere quanto segue: “la disposizione mira a introdurre la regola di giudizio che dovrebbe essere applicata dal p.m. per scegliere tra archiviazione e richiesta di rinvio a giudizio. Essa va fissata assumendo come parametro il quantum di prove indispensabile per sostenere l’accusa nel dibattimento: è infatti da escludere che il p.m. possa richiedere il rinvio a giudizio... quando sa di non poter assolvere l’onere probatorio che grava su di lui nel dibattimento”.

In dottrina, si è osservato che nei casi in cui “il quadro probatorio risulti insufficiente o contraddittorio e quindi potenzialmente inidoneo a provare il fatto di reato o la responsabilità dell’imputato” il PM, conformando le sue valutazioni in chiave prognostica al paradigma decisorio del giudice, deve astenersi dall’esercitare l’azione penale, in quanto “ne deriverebbe il rischio di una inflazione di dibattimenti superflui, perché già segnati sin dall’inizio da una sorte ineluttabile e ne risulterebbe scoraggiato il ricorso ai riti speciali” (V. Grevi, Archiviazione per idoneità probatoria ed obbligatorietà dell’azione penale in Riv. Dir. Proc. pen. 1990, p. 1310 e s.).

A coloro che hanno ritenuto tale lettura della norma lesiva del principio della obbligatorietà dell’azione penale è stato obiettato che è inevitabile che il pubblico ministero, nel valutare l’idoneità del materiale probatorio complessivo, porti una propria ineliminabile discrezionalità nei cui confronti il sistema ha comunque previsto meccanismi di controllo e garanzia.

Compatibilità della richiesta di archiviazione con l’accertamento di una causa di giustificazione.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che “Qualora nel corso delle indagini preliminari si ritenga dal pubblico ministero la esistenza di una causa di giustificazione del reato che valga a rendere non punibile l’autore del reato, lo stesso pubblico ministero deve richiedere al giudice per le indagini preliminari il decreto di archiviazione, dovendo ritenersi la accertata presenza di una causa di giustificazione come un elemento che osta al sostenimento della accusa nel giudizio”. (Cass. Sez. 1 n. 3869 del 11/11/91).

Causa di giustificazione e quantum probatorio.

L’art. 530 comma 3 cpp prevede l’assoluzione non solo nell’ipotesi di accertata sussistenza di una causa di giustificazione ma anche qualora vi sia il dubbio sull’esistenza della stessa. La giurisprudenza di legittimità ha precisato cosa si debba intendere con tale espressione.

In tema di cause di giustificazione, in forza del disposto di cui al terzo comma dell’art. 530 cod. proc. pen. il giudice pronuncia sentenza di assoluzione quando vi sia anche il semplice dubbio sulle esistenza si una causa di giustificazione. Il concetto di dubbio contenuto in tale disposizione deve essere ricondotto a quello di “insufficienza” o “contraddittorietà” della prova in cui al secondo comma dell’art. 529 c.p.p. ed al secondo comma dello stesso art. 530 c.p.p., sicchè, quando la configurabilità di cause di giustificazione sia stata allegata dall’imputato, è necessario procedere ad un’indagine sulla probabilità della sussistenza di tali esimenti: la presenza di un principio di prova o di una prova incompleta porterà all’assoluzione, mentre l’assoluta mancanza di prove a riguardo, o la esistenza della prova contraria, comporterà la condanna. Allorquando, nonostante tale indagine, non si sia trovata alcuna prova che consenta di escludere la esistenza di una causa di giustificazione, il giudizio sarà parimenti di condanna, qualora non siano stati individuati elementi che facciano ritenere come probabile la esistenza di essa o inducano comunque il giudice a dubitare seriamente della configurabilità o meno di una scriminante. SEZ. 1 SENT. 08983 DEL 03/10/1997 (UD. 08/07/1997).

In tema di legittima difesa, il disposto dell’art. 530, comma terzo, cod. proc. pen. impone la pronuncia di sentenza assolutoria anche nel caso in cui vi sia una “semipiena probativo” in ordine alla sussistenza dell’esimente (Fattispecie relativa ad un omicidio volontario che si assumeva commesso per la legittima difesa). SEZ 1 SENT. 09708 DEL 08/10/1992 (UD. 07/07/1992).

La posizione di Cavataio.

Cavataio, come sopra richiamato, era l’autista del defender. Allo stesso non è imputabile l’omicidio sia per mancanza dell’elemento soggettivo (facendo retromarcia egli passò sopra il corpo di Giuliani ma essendo assolutamente ignaro della circostanza) sia perché tale condotta (si vedano i risultati della autopsia e le considerazioni sulle cause e i tempi della morte di Giuliani fatti dal consulente prof. Torre) è stata ininfluente sull’evento.

 

Visto l’art. 408 e 411 cpp.

CHIEDE

al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Genova l’archiviazione del procedimento nei confronti degli indagati e la conseguente restituzione degli atti al proprio ufficio.

Prima della trasmissione al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Genova l’avviso del presente atto va comunicato alle persone offese (prossimi congiunti di Carlo Giuliani) ai sensi dell’art. 408 cpp.

Manda alla segreteria per gli adempimenti.

Genova 2 dicembre 2002.

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

(dott. Silvio Franz – sostituto)

 



[1] Sulla iniziativa di posizionarsi in via Caffa per arginare i manifestanti presenti su via Tolemaide, le versioni dei due sono in parte discordanti: mentre Lauro parla di decisione concordata con il cap. Cappello sostiene che il posizionamento avvenne su disposizione del primo nonostante i rischi che tale decisione poteva comportare (esiguità e stanchezza del reparto).

[2] Si vedano anche le dichiarazioni di Marco D’Auria: “subito dopo vidi gli stessi che avanzavano approntando una barricata al termine di via Caffa angolo via Tolemaide. Fu a questo punto che il drappello di carabinieri si spostò verso via Caffa aggirando l’aiuola sulla sinistra e seguiti dai due mezzi. Quando i manifestanti si avvidero della presenza dei Carabinieri, cominciò una fitta sassaiola e nel giro di pochi secondi vidi i carabinieri arretrare”.

[3] Si leggano le dichiarazioni rese dagli abitanti della zona. Si riporta quanto detto da Luciano Salvati: “vi era un gran frastuono, sulla camionetta della forza dell’ordine arrivava di tutto, presumibilmente pietre, e tutto intorno vi era gente che urlava inveendo contro gli occupanti , sembrava un assalto organizzato nei confronti del mezzo che purtroppo era rimasto isolato dagli altri.”

[4] In realtà Monai non ha trovato a terra la trave ma la sta brandendo perlomeno da quando ha imboccato via Caffa provenendo da via Tolemaide (si vedano foto e filmati).

[5] A frantumare il finestrino in realtà era stato lo stesso Monai con la trave:”la nostra attenzione era concentrarta su di un giovane che con un’ asse di legno aveva sfondato un finestrino del lato destro della camionetta “(dichiarazioni di Albities Hartmann 11.8.01).

[6] La circostanza è confermata dalla consulenza medica sulle lesioni riportate da Raffone: “per quanto riguarda le altre sedi corporee in cui si sono verificate lesioni di tipo contusivo semplice, si deve ancora ammettere una compatibilità con la riferita azione contundente di pietrate, eccetto per la contusione escoriata di forma triangolare in sede scapolare destra. Quest ‘ultima lesione in effetti appare riferibile all’azione contundente esercitata da un oggetto dotato di una forma regolare con due spigoli ad angolo retto, corrispondenti alle caratteristiche di una tavola”.

[7] tale circostanza è confermata indirettamente anche da quanto riferito da James Matthews la sera stessa durante una riunione di cui agli atti vi è la registrazione del suo intervento. In tale circostanza il suddetto cerca, a suo dire , di dissuadere i manifestanti dalla aggressione dicendo “io corsi davanti alle persone che lanciavano oggetti contro il furgone e dissi loro di smettere .Se la polizia (quelli sul furgone) volevano ritirarsi doveva esserle permesso. Era il motivo per il quale eravamo lì non per uccidere dei poliziotti.”

[8] Si veda il risultato della consulenza sulle lesioni riportate da Placanica e Raffone.

[9] Dichiarazioni del Placanica del 20.7.01 che trovano conferma in quanto detto da Roberta Di Consiglio “notai che alcuni ragazzi cercavano di aprire il portellone posteriore della Jeep”.

[10] “Il muso della macchina ha urtato il cassonetto, ho cercato di fare retromarcia ma il Rover dei colleghi, mi bloccava da dietro; ho spinto il cassonetto più di una volta senza riuscire a spostarlo in quanto era pieno; nel frattempo mi si era spento anche il motore della vettura ; il collega Placanica ha urlato di essere stato colpito alla testa, mentre l’altro collega urlava invocando aiuto , intorno era tutto un lancio di blocchi di marmo. A questo punto ho pensato solo a fare una manovra che mi allontanasse dal contatto con questi manifestanti”. Dichiarazioni di Cavataio del 20.7.01.

[11] Si vedano in particolare i filmati della polizia catalogati 21 e 22 e inseriti nel vhs n.53.

[12] Si veda nota della Gabinetto Regionale per la Liguria del Servizio di Polizia scientifica presso la Questura di Genova del 25.8.01.

[13] Per la posizione del Monai e Predonzani si richiamano le considerazioni fatte nella richiesta di misura cautelare per entrambi e dal Tribunale del riesame per Predonzani.

[14] Il filmato è stato inizialmente catalogato col n.52 e acquisito da Luna Rossa Cinematografica con riversamento su supporto VHS; successivamente è stato inserito nel montaggio n.53 che raccoglie tutti gli spezzoni di Piazza Alimonda contrassegnato con la lettera D. infine è stato acquisito sul supporto originale mini DV ed è stato contrassegnato col n.58.

[15] Oltre che dalle stesse ammissioni di Predonzani e Monai , lo si ricava da quanto riferito dai testi Borghetti “so per certo che Carlo Giuliani frequentava il bar Fly di questa via Chiabrera e conosceva il Monai Massimiliano, titolare del predetto esercizio che successivamente ho saputo esser stato arrestato per l’assalto alla jeep dei Carabinieri; A.D.R. sono venuto anche a conoscenza che Eurialo, l’altro ragazzo indagato per i fatti suindicati e Carlo si conoscevano perché probabilmente frequentavano le stesse zone.” E Sedda “ ho conosciuto Eurialo circa 5 anni fa, ai tempi del liceo. Siamo usciti parecchie volte insieme, unitamente ad altri amici. Frequentiamo i locali nel centro storico cittadino ed in particolare quelli adiacenti a piazza delle Erbe. Andavamo spesso anche al bar Fly, senza peraltro conoscere chi ci lavorasse ne i proprietari dell’esercizio pubblico in parola... ... Con Carlo Giuliani sono stato amico ai tempi del liceo ma negli ultimi anni non ci siamo più frequentati, qualche volta ci siamo incontrati a p.zza delle Erbe parlando del più e del meno”.

[16] Si veda l’annotazione dei Carabinieri del 7.8.01 ed in particolare la foto n. 15 allegata.

[17] Il tramite intracranico risulta pertanto essere stato dal davanti all’indietro, da destra verso sinistra con angolo di circa 15° rispetto alla sezione sagittale del corpo, e dall’alto verso il basso con un’inclinazione di circa 10° rispetto ad un piano orizzontale passante per i condili occipitali (senza ipotizzare flessioni del rachide cervicale ovvero rotazioni dello stesso).

[18] Anche all’ incontro del 10.6.02 fissato per il deposito delle consulenze “gli avvocati Vinci e Pruzzo sentiti i loro consulenti dichiarano di non aver niente da eccepire in merito alla procedura in contraddittorio dell’accertamento effettuato ai sensi dell’ari 360 c.p.p.” ( estratto dal verbale ).

[19] Il filmato è stato inizialmente catalogato con il n. 35 A/B e acquisito da Mediaset con riversamento su supporto VHS; successivamente è stato inserito nel montaggio n. 53 che raccoglie tutti gli spezzoni di Piazza Alimonda contrassegnato con la lettera A. Infine è stato acquisito sul supporto originale mini DV ed è stato contrassegnato dal n. 57.

[20] Si veda il DVD-2 allegato alla consulenza depositata il 10.6.02 ed in particolare i frames n. 23 e ss.

[21] A p. 13 della consulenza del 10.6.02 il consulente Torre afferma “Tutti gli elementi a disposizione, in sintesi, ci dicono che il proiettile, prima di raggiungere il volto di Cario GIULIANI, entrò in rapporto con un oggetto duro (bersaglio intermedio) idoneo a rallentarlo significativamente, a danneggiarne la blindatura favorendone la scomposizione, a cedere tracce di sé al nucleo di piombo”. Il consulente Gentile della famiglia Giuliani afferma nella consulenza depositata il 9.8.02 a p. 2 “Non possiamo che condividere la valutazione del prof. Torre circa il fatto che un proiettile di tal calibro, in allestimento NATO, non (il “non” è stato inserito in data 5.10.02 dallo stesso dott. Gentile durante il confronto tra i consulenti ) si possa essere frammentato in seguito al solo impatto finale con la vittima”.

[22] Tale fotografia è rinvenibile in diversi atti del procedimento. Tra l’altro la si trova quale allegato foto n. 4 alla consulenza PM ( fascicolo, 3) depositata il 10.6.02. La fotografia è contenuta in formato digitale nel plico n. 50 - il CD fu consegnato dallo stesso D’Auria al PM in occasione della audizione.

[23] I consulenti della famiglia Giuliani ritengono trattasi di m. 3.07 senza però specificare quale sia il punto esatto di misurazione ( trattandosi di un corpo in posizione dinamica e inclinato in avanti), comunque tale differenza con i consulenti del PM non è apprezzabile né significativa.

[24] La cassetta 53 raccoglie tutti gli spezzoni di Piazza Alimonda. Si vedano in particolare i fotoprint estratti dalla ripresa della Polizia catalogata con il n. 21 e contenuti nell’allegato alla Comunicazione della Squadra Mobile della Questura di Genova del 1.2.02 (f. 40011).

[25] Si vedono i risultati degli esperimenti fatti a Faenza il 20.7.02

[26] Su specifica domanda di questo PM fatta all’esperto balistico dott. Gentile all’incontro del 5.10.02 lo stesso ha risposto G ( Gentile ) = II proiettile che ha colpito Giuliani, indubbiamente era traumatizzato, la frase che ha usato il professore e che usiamo tutti ormai. La traumatizzazione può essere dovuta ed è qui che ho fatto una distinzione, può essere dovuta o per impatto con un qualche cosa, possibilissimo, ma non ho obiettività in questo momento; oppure potrebbe essere dovuto, ipotesi più remota probabilmente, a un intrinseco difetto del proiettile. F(Franz)=e questa è un’ipotesi molto più remota. G = Molto più remota sì, ma lo dico qui la devo esplorare.

[27] Nella TAV. 5 depositata dai consulenti del PM il 5.8.02 vi è una ricostruzione nella quale vengono indicate le probabili distanze al momento dell’impatto del proiettile . In particolare si è ipotizzata una distanza di Giuliani (alto m. 1,65) dal Defender di circa m. 1,75; l’altezza del calcinaccio dal suolo al momento dell’impatto con il proiettile di m. 1,90 circa; la distanza del calcinaccio, al momento dell’impatto del proiettile, dal Defender di m. 1,30 circa. Inoltre, in sede di precisazioni all’udienza del 5 ottobre 2002, i consulenti del PM hanno precisato che ragionevolmente la pistola di Placanica , al momento dei due spari , si trovava ad una altezza dal suolo di circa m. 1,60 (tenendo presente che la parte più alta della ruota di scorta è situata a circa m. 1,40).

[28] La sentenza è pubblicata in La giustizia penale, 1998, II, 261

[29] Si veda per i riferimenti la nota alla sentenza sopra richiamata.

[30] Voce Difesa legittima, T. Padovani, Digesto – discipline penalistiche, UTET, III. p. 512

[31] T. Padovani, op.cit., 513. A conforto di tale affermazione si veda altresì l’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dopo avere sancito il diritto di ciascuno alla vita, esso precisa che “la morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo nel caso in cui essa deriva dal ricorso alla forza reso assolutamente necessario: a) per assicurare la difesa di ogni persona contro la violenza illegale...”

[32] T. Padovani op. cit, 513.

[33] F. Mantovani Diritto penale, 1992, CEDAM, 272.

[34] Agli atti sono state acquisite integralmente le due interviste rilasciate alla RAI e a MEDIASET su supporto VHS e numerate 63 e 64.

[35] In sostanza, il nesso causale viene interrotto soltanto quando un fattore eccezionale interferisce in una serie causale antecedente che non aveva alcuna capacità di cagionare l’evento. Solo in tal caso il fattore eccezionale sopravvenuto può considerarsi da solo sufficiente a determinare l’evento, ossia vera causa dello stesso, mentre il fattore antecedente posto in essere dal soggetto attivo, siccome inidoneo, agisce come mera condizione, cioè come antecedente necessario ma inidoneo e inadeguato rispetto all’evento in concreto verificatosi.

[36] Si richiamano le risultanze in merito ai danni subiti dal defender, ai mezzi di aggressione utilizzati e alle lesioni riportate da Placanica e Baffone in parti vitali del corpo.

[37] Si veda la ricostruzione del fatto riportata in precedenza.