COMMISSIONE D'INDAGINE

Seduta 04 - 28 Agosto 2001

Audizione del Prefetto Ansoino Andreassi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del prefetto Ansoino Andreassi.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.


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La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta. La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico che il prefetto dottor Ansoino Andreassi chiede di essere accompagnato dal dottor Giovanni Costantino, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, in servizio presso la segreteria del prefetto. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
Dottor Andreassi, nel ringraziarla, devo anche farle presente che noi, purtroppo, essendo ormai le 19.30, abbiamo ritenuto di chiederle se cortesemente di limitarsi a leggere per questa sera o se preferisce a darci conto della sua relazione. Rinvieremo poi a domani mattina alle 9, se le è possibile, il prosieguo dell'audizione, che consisterà nelle domande da parte dei componenti il Comitato e nelle sue risposte, cercando di concludere il tutto verso le 11,30. La ringrazio ancora, anche a nome di tutti i componenti il Comitato.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Ringrazio lei, signor presidente, e tutti i membri del Comitato per l'opportunità offertami di relazionare sui fatti di Genova, avuto riguardo all'incarico di vicecapo della polizia vicario che ricoprivo in quel periodo ed ai particolari compiti che mi vennero affidati per la circostanza. Tenevo molto a questo appuntamento per esprimere le mie valutazioni e le mie idee su temi così gravi e allo stesso tempo così coinvolgenti e per offrire ogni possibile


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contributo alla comprensione di quella che si delinea sempre più come una fase fortemente significativa del nostro tempo, non solo sotto il profilo della sicurezza, ma sotto quello delle dinamiche sociali di maggiore rilevanza. Mi sembra allora necessario per prima cosa spiegare bene quali incarichi mi furono conferiti in relazione al G8 ed in quali tempi. Tutto ciò non nell'ottica di assumere subito un atteggiamento difensivo ma per una questione di metodo e per mettere il Comitato al corrente di particolari, credo, finora non acquisiti, utili a formare giudizi, i più completi e documentati possibili, sui meccanismi della gestione dell'ordine pubblico. Non mi limiterò certamente a ciò, ma, dopo aver spiegato sinteticamente cosa ho fatto in concreto a Genova, sottoporrò al Comitato alcune mie considerazioni sull'impostazione dei servizi e soprattutto sui comportamenti dei manifestanti ed anche delle forze di polizia. Spero mi consentirete, infine, di fare delle valutazioni, anche in prospettiva, come del resto hanno fatto i miei colleghi, sulle componenti radicali del movimento antiglobalizzazione. In ciò, forse, sarò un po' ripetitivo rispetto a quanto detto dai miei colleghi ma il taglio sarà leggermente diverso...
MARCO BOATO. Poi ci lascia la relazione...
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Certamente, anche con alcuni allegati.
Come cercherò di spiegare, riferirò sulla infiltrazione - oserei definirla in molti casi parassitaria - di gruppi violenti e di formazioni eversive in quel movimento e ciò sulla base anche della mia lunga esperienza nella lotta all'eversione e al terrorismo iniziata a Padova nel 1977 e culminata poi nella direzione dell'UCIGOS dal 1997 allo scorso gennaio.


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Riprendo allora il discorso dall'inizio per ricordare che, nominato vicecapo della polizia vicario e quindi vicedirettore generale della PS questo gennaio, venni poi - dirò fra poco quando - incaricato, in aggiunta ovviamente ai compiti che di regola il vicecapo della polizia svolge, di sovrintendere (e questo lo troverete virgolettato nella mia relazione) all'intero dispositivo dell'ordine pubblico per il G8, interloquendo con le autorità locali, anche in merito ai limiti ed alle prescrizioni da imporre ai promotori delle molte iniziative che erano state programmate, con l'obiettivo primario che si svolgessero senza incidere sui lavori del vertice.
Questo era l'ambito del mio mandato, come delineato in un appunto al ministro in data 12 giugno - e lo allegherò alla relazione - con il quale il capo della Polizia lo informava della costituzione di uno staff che egli aveva ideato per farsi affiancare, nella gestione del più grave e delicato dei suoi impegni, da alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
Lo staff, oltre che da me, era composto da altri quattro colleghi del Dipartimento che erano stati incaricati, rispettivamente, di sovrintendere alle attività info-investigative e di sicurezza nella zona rossa, alla intensificazione del controllo del territorio ad ampio raggio (avete visto che era stata delineata anche una zona verde), all'addestramento, all'equipaggiamento e all'acquartieramento dei reparti mobili, alle investigazioni preventive a fronte delle minacce di tipo eversivo-terroristico e di quelle all'ordine pubblico ed, infine, al dispositivo di controllo delle frontiere e alla gestione dell'evento in ambito aeroportuale e alla neutralizzazione di interferenze nelle comunicazioni.
I tempi di tale iniziativa si coniugano del resto perfettamente con quelli del provvedimento adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri che mi comandava dal


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1o luglio presso la struttura di missione, istituita per l'organizzazione della presidenza italiana del G8, in sostituzione di un collega, il prefetto Aldo Gianni, che in quei giorni era stato collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età.
Il compito che quest'ultimo aveva svolto dal febbraio precedente e che, quindi, io avrei dovuto rilevare, avrebbe dovuto essere - come si evince da un appunto al ministro che non poteva forse illustrare sufficientemente quale fosse il ruolo che già mi era stato assegnato - quello di coordinare gli aspetti relativi all'ordine e alla sicurezza pubblica connessi all'organizzazione dell'evento. In pratica, concorrere alla soluzione dei problemi che riguardavano la sicurezza dei trasferimenti dei delegati, dei Capi di Stato, del loro alloggiamento, del soggiorno delle delegazioni, la sicurezza dei lavori e quella degli incontri ufficiali: vale a dire, avrei potuto ed anzi dovuto interessarmi, in stretta intesa con gli altri componenti della struttura di missione e in collegamento con le autorità locali di pubblica sicurezza e con il Dipartimento, di situazioni strettamente insistenti sulla zona rossa.
Mi permetto di richiamare ancora l'attenzione dei parlamentari sull'evidenza che, in fin dei conti, era questo provvedimento del Consiglio dei ministri la vera fonte di legittimazione del mandato, che io avrei dovuto svolgere nei termini relativamente impegnativi indicati nell'appunto al ministro. Dunque, se avessi voluto speculare sulla lettera dei provvedimenti mi sarebbe stato facile stemperare l'incarico più gravoso che il capo della Polizia mi aveva affidato qualche settimana prima, rifugiandomi nelle funzioni di collegamento e di sostanziale consulenza, per me previste in seno alla struttura di missione.
Per amore di completezza, desidero aggiungere che vi era stata una precedente circolare interna datata 9 aprile, nella


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quale si faceva carico ai vari uffici del Dipartimento della pubblica sicurezza di portare anche a mia conoscenza qualsiasi iniziativa adottata in merito al G8, ma essa non contemplava ancora una mia responsabilità nella gestione dell'ordine pubblico ed era, invece, dettata dall'esigenza - come si rileva dal testo della circolare (e tutti questi atti li allegherò) - di assicurare il necessario coordinamento a livello centrale della vasta gamma di attività tecniche alle quali ho fatto riferimento poco fa: cioè, da quelle più strettamente concernenti la sicurezza a quelle di natura logistico-amministrativa connesse al massiccio impiego di uomini e di risorse delle forze di polizia.
Tutto questo per precisare, ripeto senza voler accampare alcuna scusa, che la mia concreta applicazione ai problemi dell'ordine pubblico per il G8 non risale, comunque, molto indietro nel tempo ed è solo dai primi di luglio, dopo alcune brevi missioni fatte a Genova nel periodo fine maggio inizio giugno per verificare in generale lo stato dell'arte, che la mia presenza nella città acquista carattere di continuità.
Sempre per dovere di cronaca, mi sembra opportuno evidenziare che, comunque, non ho partecipato, perché non convocato, ad alcuna delle riunioni del Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica che si sono tenute sul problema del G8. I provvedimenti di natura amministrativa che ho elencato potrebbero essere utilizzati in maniera causidica - ed altri credo che lo farebbero - per circoscrivere le responsabilità: non ho affatto intenzione di farlo e li ho ricordati perché mi sembra indispensabile sotto il profilo logico e storico, non certo per avvalermene come esimente ora, così come non pensai di usarle per defilarmi allora.
Nei fatti e sia pure con un anticipo piuttosto limitato rispetto all'evento, io - ero del resto vicecapo della polizia -


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mi sono, invece, fatto carico di una situazione complessa, ben determinato a immedesimarmi nei problemi in essa insiti, semplicemente perché ritenevo, e ritengo, che questo fosse il dovere di quanti avevano a cuore le istituzioni del paese e rivestivano pertinenti incarichi di alta responsabilità.
Era anche scontato per me - e l'ho più volte ribadito negli incontri di servizio - che la mia funzione e quella dei colleghi dello staff era di supportare le autorità locali e non certo di commissariarle, come si evince anche da alcuni articoli di stampa che riportano una mia specifica dichiarazione al riguardo in occasione della seconda missione breve che feci a Genova i primi di giugno.
Credo che su questo punto non mi debba dilungare oltre perché ho sentito che il questore di Genova, in effetti, ha riferito di non essersi mai ritenuto commissariato. Sono sicuro di essermi comportato conseguentemente intervenendo, con i miei colleghi e con le direttive che spiegherò meglio in seguito, lì ove ritenevo fosse necessario e tenendo sempre comunque costantemente informato il capo della Polizia.
In ogni caso, nella mia iniziale veste di coordinatore generale delle attività di sicurezza non avevo trascurato fin dalla fine di aprile scorso di seguire i programmi di preparazione ed addestramento dei reparti mobili della Polizia di Stato e dei battaglioni dei carabinieri, di assistere alle loro esercitazioni e, soprattutto, di intervenire ad alcuni seminari riservati ai comandanti di detti reparti ed a selezionati dirigenti della Polizia di Stato che avrebbero avuto la responsabilità dei servizi di ordine pubblico a Genova.
In questo contesto, mi sono premurato di suggerire personalmente i temi da trattare, assicurandomi che venissero posti a disposizione dei partecipanti ai seminari anche la documentazione e il materiale audiovisivo che erano stati


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acquisiti su analoghe e precedenti manifestazioni in altri paesi, così da trarre il massimo vantaggio dall'esperienza altrui.
Mi premeva ancora di più che nulla venisse trascurato per creare un sapere comune, per uniformare le dotazioni e i moduli di intervento, per stabilire, infine, una forte intesa tra i responsabili dei servizi di ordine pubblico e i comandanti dei contingenti.
Nella convinzione poi, che si andava in me sempre più rafforzando, che la contestazione al summit di Genova - per le ragioni che indicherò in seguito e che anche i miei colleghi hanno espresso - avrebbe assunto toni ben più aspri che in altri paesi, ho approfittato di quelle prime occasioni anche per iniziare a trasmettere alcuni messaggi che ho insistentemente ripetuto fino all'ultimo per tentare di scongiurare quelli che mi sembravano tra i rischi più rilevanti sotto il profilo della condotta dei reparti e della tutela del personale e cioè le reazioni velleitarie e punitive verso i manifestanti e l'insorgere di situazioni di isolamento - e quindi di pericolo - per i singoli operatori oppure di stress o di panico tali da indurli a gesti disperati per salvare la propria incolumità.
Da allora ho quindi iniziato a sollecitare comandanti e dirigenti perché si facessero costantemente carico di informare responsabilmente gli uomini sulle situazioni molto impegnative che avrebbero dovuto fronteggiare, ma, nello stesso tempo, di stemperare le tensioni che vedevo montare in seguito alla diffusione di notizie allarmistiche che avrebbero potuto portarli a ritenere ogni dimostrante un potenziale nemico, nonché di non frazionare eccessivamente i contingenti o di non dissolverne la compattezza in azioni avventate, così da creare le premesse per quelle situazioni rischiose alle quali ho fatto riferimento.


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Su questi punti tornerò in seguito con maggiore dovizia di particolari, ma approfitto di questo passaggio per fornire in un certo senso un cenno di risposta alle molte domande sul coordinamento che sono state poste nelle precedenti audizioni, evidenziando che iniziative del genere dimostrano con chiarezza gli sforzi che il dipartimento della Polizia di Stato ha fatto per garantire un'adeguata preparazione di quegli uomini delle forze dell'ordine più direttamente impegnati nell'ordine pubblico, in un clima di fattivo e concreto spirito interforze. Spirito interforze che ho testualmente indicato come una nuova meta da raggiungere, un valore aggiunto e complementare rispetto allo spirito di corpo.
Vorrei anche sottolineare come l'attenzione prestata alla qualità dell'acquartieramento ed al benessere del personale, persino nel tempo libero, fosse non solo un atto dovuto nei confronti di chi andava a prestare un servizio gravoso e rischioso, ma mirasse a garantire durante la permanenza a Genova una serenità necessaria alla buona riuscita dei servizi.
Quando poi sono state meglio definite le mie responsabilità in fatto di servizi di ordine pubblico, ho presieduto a Roma e a Genova a riunioni dello staff creato dal capo della polizia; ho incontrato ripetutamente il prefetto e il questore del capoluogo ligure, esaminando con loro i problemi che via via si ponevano, da quelli riguardanti la protezione della zona rossa a quelli prioritari sotto il profilo operativo - e, tuttavia, risolti soltanto nell'imminenza del G8 - circa l'alloggiamento dei capi di Stato e di Governo con le rispettive delegazioni. Ho incontrato insieme al prefetto e al questore gli amministratori locali per individuare le migliori soluzioni per lo svolgimento delle manifestazioni e per la scelta degli spazi di accoglienza. Ho illustrato in una conferenza generale dei prefetti della Liguria, che mi sembra sia stata qui ricordata, i rischi della


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gestione dell'ordine pubblico, soffermandomi in particolare sulla complessità dell'impegno di fronteggiare manifestazioni in cui sarebbero confluite realtà affatto diverse di dissenso, che andavano dal pacifismo più schietto al radicalismo più violento. La stessa cosa ho fatto in occasione di conferenze di servizio con i comandanti regionali e provinciali delle forze di polizia e con i comandanti dei contingenti delle forze armate chiamate a concorrere al dispositivo di sicurezza. Ho verificato sul territorio, insieme al questore e ai suoi più qualificati collaboratori, tutti quei dettagli sui quali mi sembrava necessario richiamare la loro attenzione per indirizzare nel migliore dei modi l'impostazione dei servizi di prevenzione e di ordine pubblico.
Fin dalle prime fasi del mio coinvolgimento in questi problemi, a me, come ad altri colleghi che avevano seguito l'evoluzione del movimento antiglobalizzazione da Seattle in poi, era chiaro che, pur dovendosi riporre la massima attenzione alle minacce di tipo terroristico, esse erano da riguardarsi come eventuali, mentre certi sarebbero stati i disordini di cui, immancabilmente, si sarebbero resi protagonisti i movimenti cosiddetti antagonisti e, in particolare, i gruppi a prevalente connotazione anarchico-insurrezionalista, ormai ampiamente noti come black bloc. Espressi questo convincimento - ovvio, del resto, per quello che era successo da ultimo a Quebec City e poi ancora quando sopravvennero gli incidenti di Göteborg - anche nel corso di incontri ufficiali con i responsabili delle forze armate delle strutture di missione, nelle fasi finali della messa a punto dei dispositivi di sicurezza, sostenendo che la difesa dell'ordine pubblico doveva considerarsi l'argomento preminente. Come ho avuto occasione di accennare poc'anzi, l'appuntamento di Genova si andava sempre più delineando come l'attacco più duro che i movimenti


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antiglobalizzazione avrebbero portato a questo tipo di summit, non solo con una partecipazione massiccia di tutte le componenti nazionali e internazionali del dissenso non violento, ma anche con la mobilitazione straordinaria delle formazioni radicali ed antagoniste.
Ad accrescere le preoccupazioni valeva la consapevolezza che nel nostro paese quest'area, sopravvissuta a forti crisi di vocazione e di identità, seguitava ad essere tuttavia consistente ed anzi aveva trovato nuovi stimoli nelle campagne anti-NATO e anti-Usa durante la guerra nella ex Iugoslavia, nella lotta alle nuove forme di lavoro precario ed interinale e nella condivisione o sostegno delle lotte di alcune minoranze etniche, per esempio la questione curda. Ma si constatava anche negli incontri di servizio che sulla scena dell'antagonismo nazionale l'elemento forse di maggiore novità, tale da collegare la realtà italiana a quella di paesi europei e non, era l'espandersi di gruppi di stampo anarcoide che, dopo avere esordito anni or sono con i vandalismi degli squatter, nel corso di pubbliche manifestazioni si erano dati una maggiore consistenza organizzativa ed avevano stabilito collegamenti internazionali tutt'altro che superficiali ed episodici.
Mi sia consentito approfittare della valenza di questo consesso per far presente di essere stato tra i primi, tre o quattro anni or sono, a porre l'accento, quale direttore dell'Ucigos, anche innanzi alla Commissione stragi, sulla crescente minaccia delle formazioni anarchico-insurrezionaliste, a sottolinearne l'insidia e la portata, sia sotto il profilo dell'ordine pubblico che sotto quello terroristico, evidenziandone i collegamenti internazionali e la capacità offensiva anche attraverso la pratica di attentati dinamitardi ed incendiari con ordigni spesso sofisticati. Esiste agli atti dell'Ucigos, più correttamente della Direzione centrale della polizia di prevenzione,


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una documentata analisi che io feci svolgere su questi argomenti - soprattutto dopo l'invio di plichi esplosivi nell'estate del 1999 e alcuni attentati dinamitardi a Milano - per sollecitare gli organi territoriali ed intraprendere tutte quelle iniziative necessarie a fronteggiare il fenomeno e ad aggredirlo sotto il profilo giudiziario, configurando l'ipotesi di associazione sovversiva. Mi ha fatto piacere sentir dire dal prefetto La Barbera che i frutti di questi lavori stanno ormai venendo a maturazione. Tuttavia, l'approfondimento di tale argomento, pur nella sua rilevanza anche ai fini dei lavori di questo Comitato, finirebbe per distogliere l'attenzione sulle responsabilità della gestione dell'ordine pubblico, argomento sul quale dunque mi conviene ritornare.
Una volta fatti confluire a Genova gli oltre 10 mila uomini destinati all'impiego di ordine pubblico ed aver provveduto, con uno sforzo che non ha precedenti, al loro acquartieramento e agli altri complessi problemi di tipo logistico in una città fortemente carente sotto questo profilo, si trattava di proseguire quelle attività di informazione e di indirizzo, che avevano coinvolto nei mesi precedenti i responsabili dei servizi ritenuti fondamentali, e di estendere questo sapere ai circa duecentocinquanta funzionari di Polizia di Stato provenienti da altri sedi che avrebbero collaborato alla gestione dell'ordine pubblico.
Ho quindi seguito con attenzione le diverse iniziative che il questore assumeva al riguardo (riunioni di lavoro, sopralluoghi nella città, eccetera), rilevando la necessità di intervenire a suo sostegno nella giornata del 13, che egli aveva fissato per illustrare a tutti funzionari di pubblica sicurezza e agli ufficiali delle altre Forze di polizia e delle forze armate il contenuto dell'ordinanza di base, acquisita agli atti del Comitato, e cioè per illustrare i criteri di impostazione dei servizi


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a fronte delle situazioni che si erano andate delineando e la distribuzione degli incarichi. Pensai, infatti, in quella circostanza, che fosse importante anche fare intervenire lo staff costituito dal capo della Polizia ed intervenire quindi, io stesso, per illustrare a tutti i convenuti che cosa avevamo fatto per assicurare il sostegno del dipartimento della pubblica sicurezza alle autorità locali e per richiamare l'attenzione sugli aspetti più delicati dell'evento ormai imminente. La riunione avvenne, in effetti, nell'auditorium della fiera di Genova nei termini da me fissati che comprendevano anche riunioni settoriali di contenuto più specificamente operativo e di verifica del lavoro svolto e da svolgere e la riunione fu conclusa dagli interventi del ministro dell'interno e del capo della Polizia sopraggiunti al termine di questo incontro insieme al comandante generale dell'Arma dei carabinieri, all'ambasciatore Vattani ed al prefetto.
MARCO BOATO. In che data?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il 13 luglio. Per quanto mi concerne, avevo colto l'occasione per illustrare i criteri generali ai quali improntare i servizi di ordine pubblico delineando un quadro di situazione più schematico, forse eccessivamente schematico, ma più funzionale ai fini operativi di quello diffuso anche dagli organi di informazione e basato sulla divisione dei manifestanti in blocchi di vario colore, ed ho presentato, così, i possibili scenari e le indicazioni pratiche.
La parte preponderante dei manifestanti apparteneva a movimenti non violenti, alcuni dei quali avrebbero compiuto azioni dimostrative anche a ridosso della zona rossa per simboleggiare l'invasione o l'accerchiamento. Nei confronti di costoro occorreva limitarsi ad un cauto controllo per impedire che certe iniziative potessero debordare. In linea generale, se


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non se ne fosse riscontrata la stretta necessità, sarebbe stato meglio evitare anche il contatto tra reparti e manifestanti di questo tipo per il possibile insorgere di situazioni di tensione.
La seconda componente dei manifestanti era costituita da una consistente presenza di tute bianche i cui leader avevano più volte detto, pubblicamente, che avrebbero tentato di violare la zona rossa usando la forza necessaria a vincere la resistenza dei reparti delle forze dell'ordine e delle barriere fisiche, asseritamente senza ricorrere a forme di violenza più aggressiva come l'utilizzo di bastoni, il lancio di pietre eccetera. Verso costoro gli uomini dovevano porre decisa resistenza e ove questa fosse risultata insufficiente a respingerli passare alle manovre di attacco con gli strumenti previsti: idranti, lacrimogeni, sfollagente, eccetera.
Contro la componente più violenta, che senz'altro sarebbe stata presente ed avrebbe tentato di aggredire le forze dell'ordine e di compiere in più punti della città con i modi tipici della guerriglia urbana azioni di devastazione, non vi era altra soluzione che lo scontro, privilegiando, per quanto possibile, l'accerchiamento con rapide manovre rispetto alla dispersione perché essa non sarebbe servita a bloccare le scorribande. Queste indicazioni di massima erano ovviamente orientative ed applicabili nel caso in cui la situazione si fosse presentata nei termini ipotizzati, mentre ulteriori problemi sarebbero certamente insorti, come poi è accaduto, in caso di sovrapposizioni o infiltrazioni di una componente nell'altra.
Completai queste direttive rinnovando, in una sorta di decalogo, le indicazioni che avevo più volte ripetuto e dalle quali erano state tratte alcune delle regole contenute in un vademecum, ormai ampiamente noto, distribuito a tutto il personale, circa i comportamenti che gli uomini dei reparti inquadrati avrebbero dovuto tenere nei confronti dei manifestanti,


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anche in caso di ricorso all'uso legittimo della forza, sottolineando, con insistenza, che mai l'intervento del reparto o dei singoli operatori doveva essere condotto con modalità punitive o con brutalità, tanto meno se rivolto a dimostranti singoli anche se violenti. In allegato alla relazione, che depositerò presso la segreteria del Comitato le signorie loro, onorevoli, troveranno anche il decalogo in questione che, in aggiunta, contiene suggerimenti su come migliorare l'intesa tra i dirigenti dei servizi di ordine pubblico e i comandanti di reparto o di battaglione così da garantire chiarezza ed univocità di indirizzo agli uomini.
Non credo di dovermi dilungare ancora sull'argomento, tenuto conto che il decalogo al quale ho fatto riferimento è stato commentato favorevolmente anche da alcuni organi di stampa e costituisce, di per sé, una prova di quale sia stata l'attenzione del dipartimento sul delicato problema del rispetto della persona umana pure quando è necessario usare, contro di essa, la forza.
Approssimandosi ormai i giorni del summit ritenni di dover vigilare, accanto al prefetto ed al questore ed in costante collegamento col capo della Polizia, sullo sviluppo dei contatti con i responsabili locali del Genoa social forum per mettere a punto le questioni relative alla individuazione dei luoghi di accoglienza e alle modalità di svolgimento delle diverse manifestazioni, poi risolte nei modi ampiamente noti al Comitato.
Particolare attenzione rivolsi poi alla collocazione delle famigerate, ma quanto utili, devo dire, barriere, da porre a protezione della zona rossa, trattandosi di una operazione alquanto complessa e delicata sia con riferimento all'impatto sulla città, sia sul piano dell'ordine pubblico, e devo rimarcare


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che, se non si fosse agito con la prudenza e la tempestività usate, gli incidenti avrebbero potuto iniziare ben prima ed avvelenare, in anticipo, il clima del summit.
Come loro ricorderanno, le barriere che sono state, a Genova, oggetto di polemica, erano state già adottate a Quebec City e, secondo quanto riferiscono gli organi di stampa, potrebbero essere utilizzate anche per l'imminente riunione di Washington del 29 e 30 settembre.
Esaminai infine la pianificazione dei servizi disposti dal questore suggerendo, nel corso di incontri con i responsabili dei diversi uffici della questura e con i funzionari più esperti provenienti da altre sedi, di prevedere, oltre alla scontata difesa della zona rossa, la dislocazione in punti strategici della città, da individuare a seconda dei giorni e delle manifestazioni programmate o paventate, robusti contingenti di reparti mobili della Polizia di Stato e dei battaglioni dei carabinieri in grado di accorrere ovunque i black bloc avessero tentato le temute scorribande.
In proposito, sempre per rispondere ad alcune delle domande poste nelle precedenti audizioni, vorrei evidenziare che una ragionevole consistenza dei contingenti non mi parve problema da sottovalutare se si aveva a cuore, da un lato, l'incolumità del personale e, dall'altro, la predisposizione di un efficace contrasto alla violenza. I fatti hanno dimostrato che in taluni casi anche contingenti di 40 uomini non hanno retto alle aggressioni, come è accaduto, ad esempio, davanti al carcere di Marassi. In particolare per la giornata del 20 suggerii una revisione dei servizi nella vasta zona tra la stazione di Brignole e la questura per impedire che si creassero, colà, pericolose sovrapposizioni fra le tute bianche, intenzionate a forzare la zona rossa, il black bloc e formazioni dell'ultrasinistra confluenti nel concentramento che i Cobas


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network avevano programmato in piazza Da Novi. In questa prospettiva, nella notte tra il 19 il 20, furono costituiti sbarramenti a mezzo di container - ne ha parlato diffusamente anche il questore stamattina - per impedire che si verificassero le temute aggregazioni delle componenti più violente e che venisse attaccato lo Star Hotel ove alloggiava una folta delegazione di giornalisti statunitensi, e l'attiguo centro commerciale. Non solo. Con quegli sbarramenti e con la conseguente revisione dei servizi si è impedito, da una parte, che i reparti rimanessero compressi fra la massa dei dimostranti provenienti da diverse direzioni, dall'altra, si è assicurata la via di fuga a quanti venivano dispersi degli interventi della polizia senza che si creassero situazioni di rischio per l'incolumità dei manifestanti.
Pur consapevole di essere ripetitivo nelle riunioni tornai - non solo adesso, anche allora - a sottolineare che la tattica da praticare non tanto quella di caricare e disperdere i violenti, quanto quella di accerchiarli per impedire che potessero dilagare in altre zone della città.
Adesso viene la domanda che è stata giustamente posta più volte durante le precedenti audizioni. Come mai, nonostante la diffusa consapevolezza che a Genova l'attacco del black bloc sarebbe stato non solo scontato, ma anche più violento che nelle precedenti occasioni e nonostante un'accurata conseguente pianificazione dei servizi DOP, non si è riusciti nell'intento di neutralizzare o circoscrivere la minaccia?
Da parte mia non c'è alcuna intenzione di minimizzare o banalizzare i fatti perché c'è poco da minimizzare quando la violenza infierisce sulla città come è accaduto a Genova. Soprattutto quando, in conseguenza di essa, si sono create situazioni quali quella in cui ha perso la vita il giovane Carlo Giuliani. Dire che è stato fatto tutto il possibile non solo non


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può soddisfare il Parlamento, il Governo e l'opinione pubblica ma non soddisfa neppure quanti, dal questore fino all'ultimo agente della Polizia di Stato, carabiniere o finanziere, si sono impegnati molto, con grandi sacrifici e rischi, affinché le cose andassero bene e l'Italia ben figurasse agli occhi del mondo.
Non sarebbe di certo lecito, per chi come me era in posizione di responsabilità, tentare di alleggerirsene rimandandole ad altri o sostenere che a rispondere al paese di certi fatti non devono essere soltanto le forze di polizia perché il loro operato rimane comunque uno dei nodi della questione ed occorre renderne conto; ad altri tocca il resto.
Va però anche detto che prima di andare alla ricerca di singole responsabilità per carenze od inadeguatezze nella gestione dell'ordine pubblico, occorrerebbe tentare una lettura la più oggettiva possibile di quanto è accaduto per non correre il rischio di guardare ad un evento emergente dei nostri giorni da un angolo visuale inappropriato o riduttivo.
A Genova è successo qualcosa che, pur ricomprendendole, trascende le responsabilità tecniche della gestione dell'ordine pubblico e che non può essere giudicato solo alla luce di quei parametri. Un evento estremamente complesso che, nell'interesse della comunità nazionale e forse internazionale, va analizzato con serenità ed obiettività inquadrandolo nel contesto del fenomeno dell'antiglobalizzazione, nelle sue implicazioni, con le tensioni interne al nostro paese.
Come ho già accennato, in quei giorni sulle piazze non ci sono state solo violenze funzionali a forme di dissenso al summit, ma vi è stata invece la mobilitazione straordinaria delle più diverse componenti dell'antagonismo nazionale che hanno trovato spunto nell'annunciata comparsa - per la prima volta così massiccia in Italia - di tutti i segmenti del


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movimento antiglobalizzazione, non solo per sferrare un attacco alle politiche del G8, ma per rilanciare anche una campagna di aggressione alle istituzioni.
Permettetemi a questo punto di aggiungere qualche altra notazione su questo fenomeno emergente del black bloc, sintetizzando ed interpretando notizie diffuse dagli stessi interessati, specie attraverso Internet. Con tale sigla si fa riferimento ad un'aggregazione tattica e mobile su base spontanea, ma non per questo incapace di trovare al momento giusto l'organizzazione necessaria per il conseguimento di obiettivi di più gruppi anarchici o di organizzazioni autonome che si mobilitano in occasione di manifestazioni pubbliche che vertono su temi contro i quali il ribellismo di questa marca è sempre stato attivo: capitale, lavoro, guerra, ogni forma di asserito autoritarismo, NATO, Fondo monetario internazionale, sfruttamento dei popoli, eccetera.
La linea guida - del resto tradizionale per le organizzazioni anarcoidi - è quella dell'azione diretta, cioè l'attacco e la distruzione di tutto ciò che rappresenta la proprietà privata o i valori del mondo borghese ai quali si è fatto riferimento prima.
Pur in assenza di una struttura gerarchica, i gruppi che confluiscono nel black bloc elaborano progetti comuni che portano a compimento utilizzando metodi di guerriglia urbana. Gruppi, più o meno consistenti a seconda delle circostanze, hanno raggiunto nel tempo la capacità di mimetizzarsi nella massa dei manifestanti, sortirne travisati e muniti di armi improprie e bottiglie incendiarie, rientrarvi a conclusione delle loro azioni.
Ci si è chiesti se il black bloc, costituisca o meno un'associazione a delinquere. Dai fatti di Genova e dagli eventi analoghi che li hanno preceduti emerge un dato oggettivo:


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nessuno può negare l'intelaiatura organizzativa in cui essi si muovono e che è funzionale agli scopi, squisitamente politici, che perseguono. Quindi, così come ho sostenuto che si dovesse fare per le aggregazioni anarco-insurrezionaliste italiane, non esiterei a sposare la tesi che il black bloc nel suo complesso possa essere aggredito come associazione sovversiva.
Spaccare tutto ciò si trovi sul proprio cammino e attaccare la polizia sono stati dunque, fin dall'inizio, i modi di esprimersi del black block, che nei propri documenti - mi preme farlo risaltare - non manca di prevedere la prassi dell'infiltrazione tra i manifestanti pacifici e di raccomandare di stabilire con essi rapporti di forte solidarietà.
Il rapporto tra black bloc, e altre componenti del movimento antiglobalizzazione non consiste in una semplice contiguità, ma nell'innesto di una minoranza nella massa, secondo un disegno tutt'altro che episodico od improvvisato e basato invece sulla strumentale ostentazione da parte del black bloc di affinità col movimento per poi attrarre nella violenza le componenti più estreme e fluttuanti.
A Quebec City ad esempio è accaduto che il black bloc è riuscito a coinvolgere nei disordini circa quattromila dimostranti che sono stati poi travolti anch'essi dagli interventi della polizia impossibilitata a distinguere.
È interessante scorrere in proposito il provvedimento del Tribunale del riesame di Genova risalente al 9 agosto, attraverso il quale sono stati respinti i ricorsi presentati da alcuni degli arrestati; in esso vengono indicate anche le tattiche seguite dal black bloc in alcune delle precedenti occasioni. A Seattle nel novembre del 1999 l'obiettivo principale che gli appena duecento militanti in tale formazione vollero perseguire fu la conquista di porzioni del territorio cittadino, creando zone autonome e temporanee sottratte al controllo


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della polizia. Ciò non impedì le consuete devastazioni contro banche, esercizi commerciali ed arredi urbani, con danni stimati intorno ai 7 milioni di dollari; si possono fare anche delle proporzioni. Come è noto, il vertice fu interrotto.
A Washington nell'aprile del 2000, in occasione di una riunione del Fondo monetario internazionale, circa mille aderenti al black bloc, anziché devastare la città preferirono attaccare la polizia nel tentativo di forzare i blocchi a difesa della sicurezza del vertice.
A Genova questa orda transnazionale che seguiterà a vagare per il mondo ad ogni ghiotta occasione ha potuto contare non solo su una componente italiana piuttosto agguerrita ed autorevole, ma anche sul concorso di diversi segmenti della sinistra rivoluzionaria da cui erano provenuti i segnali di rilancio di mobilitazioni di massa e di prassi eversive alle quali ho fatto riferimento.
Gli attentati con ordigni esplosivi ed incendiari che hanno preceduto e seguito fino ad oggi l'omicidio D'Antona, la ricomparsa di sigle e di documentazione eversiva sono la riprova che purtroppo nel nostro paese è tornato a risuonare sinistramente il discorso della politica delle armi.
In un contesto siffatto i temi dell'antiglobalizzazione ben possono sopperire alla mancanza di vocazione conseguente al crollo degli ideali e dei regimi del socialismo reale ed essere strumentalizzati per ridare vigore a varie forme di antagonismo radicale.
A Genova io credo che tutto ciò abbia portato ad uno scatenamento dell'orda ribellista e violenta più tumultuosa rispetto ad analoghe situazioni precedenti, in un clima di esaltazione indirettamente creato da manifestazioni imponenti entro le quali, comunque, ed a dispetto delle componenti moderate e maggioritarie del Genoa social forum, essa ha


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potuto agevolmente muoversi utilizzando i cortei ed i presidi come porto franco per le sue sortite. A Genova l'aspirazione dei black bloc era quella di risucchiare i reparti di polizia per indebolire la difesa della zona rossa e consentire ad altre componenti del movimento di penetrarvi. Nella impossibilità di conseguire questo risultato è stata ritenuta appagante la devastazione della città. Si è trattato di una violenza cieca e senza obiettivi prevedibili, così da rendere oggettivamente impraticabili quelle misure di prevenzione che in altre circostanze sono servite ad anticipare e scongiurare attacchi finalizzati ad una strategia intellegibile. Che cosa proteggere nella città se il black bloc ha avuto la forza e l'ardire di attaccare le carceri e le caserme delle forze dell'ordine? Ci si è anche chiesti come mai la polizia non sia riuscita ad isolare i gruppi violenti così come ha fatto con successo in altri casi. Mi sembra che i motivi che hanno reso impossibile adottare sistemi in altre occasioni attuabili siano da me già stati sufficientemente indicati e consistano prevalentemente nella sostanziale incapacità o nella insufficiente determinazione da parte dei promotori della manifestazione di massa di precludere spazi a minoranze criminali. Quando le componenti anarcoidi e delle autonomie di classe sono state emarginate dai cortei ufficiali, come nella manifestazione dei migranti del 19 ed in quella del CUB del 20, il controllo delle forze dell'ordine ha sortito il suo effetto. I dati che ho in precedenza fornito e le considerazioni che ho fatto mi inducono a far riemergere in tutta la sua evidenza un elemento che, pur nella sua oggettività, è stato forse dimenticato o smarrito nel dibattito sui fatti di Genova. Gli incidenti non sono mai derivati da comportamenti malaccorti, provocatori o aggressivi delle forze di polizia, ma sempre e comunque dagli attacchi del black bloc, che così si è finora comportato ovunque sia comparso.


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FILIPPO ASCIERTO. Non solo black bloc...
MARCO BOATO. Abbiamo una integrazione da parte del maresciallo...
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego....!
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Riportando le cose alla loro dimensione reale, le forze di polizia hanno garantito egregiamente la sicurezza del vertice e dei delegati, riuscendo dove le polizie di altri paesi avevano fallito.
Anche su questo punto il Comitato è stato ampiamente ragguagliato nel corso delle altre audizioni. Anch'io desidero sottolineare che la difesa della zona rossa non è stata impresa facile perché i tentativi di violarla sono stati tutt'altro che virtuali o simbolici. E su questo intento vi è stata la convergenza di tutte le anime del Genoa social forum o di gran parte delle anime del Genoa social forum. Non solo l'imponente massa delle tute bianche ha sferrato un massiccio attacco con strumenti di ogni tipo agli sbarramenti di via XX settembre con l'inserimento di gruppi dei black bloc ed altre componenti dell'ultra sinistra, ma vi sono stati ripetuti tentativi di abbattimento e superamento delle barriere da parte di altre migliaia di manifestanti in piazza Dante e in piazza Corvetto, che erano state occupate da aggregazioni prevalentemente pacifiche. Solo il comportamento di grande professionalità delle forze dell'ordine, la fermezza ed il senso di responsabilità dei dirigenti dei servizi hanno evitato che i dimostranti dilagassero nella zona rossa, respingendoli con decisione, ma senza eccessi nell'uso della forza. E, ancora, le forze dell'ordine, nonostante le pressioni descritte, hanno assicurato il diritto di manifestare il dissenso con iniziative contestuali, quelle delle manifestazioni di dissenso ovviamente, interferenti e spesso provocatorie,


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e tutto ciò ad una moltitudine imponente ed eterogenea. Che cosa avrebbero dovuto fare per impedire o ridurre i danni delle devastazioni dei black bloc?
In diversi dei quesiti posti dagli onorevoli parlamentari, in occasione delle precedenti audizioni, si lamentano proprio la asserita inerzia o i ritardi dei reparti contro i black bloc e, di converso, la durezza del tutto ingiustificata contro manifestanti pacifici. Così come si vanno ripetendo in questi summit internazionali gli incidenti, altrettanto si vanno ripetendo le critiche sul comportamento della polizia. A Seattle essa venne accusata esattamente delle stesse cose, cioè di aver assistito passivamente alla violenza dei black bloc contro le proprietà private e contro gli stessi mezzi della polizia (diverse auto della polizia infatti furono date anche lì alle fiamme), e al contrario di non aver mostrato alcuna pietà contro quanti manifestavano pacificamente il dissenso, tanto da provocare ad alcuni di loro gravi lesioni. Da fonti aperte, prevalentemente di area militante, si apprende che per i fatti di Nizza il prefetto delle Alpi marittime è stato accusato di aver scatenato contro i manifestanti una azione repressiva estrema. Anche in quel caso la polizia avrebbe commesso brutalità. In precedenza a Praga il movimento antiglobalizzazione, evidentemente secondo un clichè di manipolazione ed enfatizzazione delle notizie, aveva accusato la polizia di essere intervenuta con arresti a caso al termine delle manifestazioni e di aver sottoposto i fermati a violenze ed abusi di ogni tipo nelle caserme e nelle carceri.
Di certo non si può non convenire in via di principio con gran parte dell'opinione pubblica che invocava maggiore determinazione delle forze dell'ordine contro i devastatori e si deve anche ammettere che vi sono stati talora ritardi o lentezze nella movimentazione dei reparti, dovuti però anche a situazioni oggettive come la più volte evidenziata tortuosità


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della rete viaria della città. Ma c'è anche da chiedersi quali sarebbero state le conseguenze di una azione più aggressiva. Valeva veramente la pena di creare situazioni di grave rischio per l'incolumità dei manifestanti in genere ed anche degli appartenenti alle forze dell'ordine per salvare dei beni materiali?
Del resto, gli incidenti di Göteborg avevano dimostrato che questi timori non erano infondati: la polizia di un paese tollerante e democratico è stata a tal punto frastornata dalla violenza da far ricorso all'uso delle armi da fuoco in situazioni di pericolo non certamente assimilabili, per quanto è possibile vedere, a quelle di piazza Alimonda. Mentre in quei giorni le immagini scorrevano sul monitor, grande è stato il mio rammarico di vicecapo della polizia e di cittadino nel vedere imperversare sui beni della nostra collettività la furia dei black bloc, e forte il mio dispetto per il mancato successo di certe manovre; mi ha anche consolato constatare che, forse, per la prima volta in Italia i reparti delle forze dell'ordine non erano vittime di certi meccanismi di reattività rabbiosa ed incosciente. Non venivano risucchiati nel vortice, ma intervenivano compatti con ordine e lucidità e dosando l'uso della forza anche nei movimenti difficili degli assalti di massa alla zona rossa. Se non fosse stato così, Genova avrebbe potuto essere teatro di ben più gravi incidenti.
Nonostante tutto, Genova ha dimostrato che la polizia italiana, grazie all'impegno del dipartimento in tema di addestramento del personale ed aggiornamento delle risorse, ha fatto passi in avanti, nel contenimento di un fenomeno che ha messo (e seguirà a mettere) a dura prova le polizie di altri paesi di avanzata democrazia come il nostro e, se i progetti avviati potranno essere portati a compimento, le prossime occasioni vedranno senz'altro superare le lacune evidenziate.


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La polizia di Stato, infatti, come ha ampiamente dimostrato la storia recente del nostro paese, possiede, in virtù del proprio status e della formazione dei propri quadri dirigenti, la capacità e la duttilità necessarie per interpretare le nuove dinamiche sociali e per adeguare le risposte sotto il profilo del mantenimento dell'ordine pubblico.
Per quanto riguarda i lamentati eccessi da parte di singoli operatori ai margini negli interventi dei reparti, non solo me ne dolgo, personalmente, per gli sforzi fatti per evitarli, ma auspico che, se saranno accertate responsabilità, esse vengano perseguite. Trovo, però, quanto meno irragionevole che vengano prese a pretesto per mortificare le forze dell'ordine nel loro complesso. Fatti episodici non legittimano, poi, a trarre l'altra facile conclusione che sia solo la polizia italiana, tra quelle dei paesi civili e democratici, a macchiarsi di tali colpe. Anche appartenenti ad altre polizie, che vantano tradizioni di professionalità e tolleranza, hanno avuto ed hanno problemi di questo tipo, senza che nessuno abbia osato generalizzare, nella pur giusta condanna dei colpevoli, con il rischio grave di incrinare quel rapporto di fiducia che, nei paesi come il nostro, deve intercorrere tra società civile e forze dell'ordine.
Sulla perquisizione alla scuola Diaz, desidero precisare, anche in questa sede, di non avere né sollecitato né promosso alcuna iniziativa al riguardo, né, tanto meno, di aver dato direttive sulle modalità dell'intervento. Ho condiviso, però, sia pure con qualche timore e perplessità, la considerazione che essa non potesse essere dilazionata. Qualcuno, forse, ricorderà che il giorno dopo rilasciai un'intervista al TG1 e al TG2, dando l'impressione di assumermi in toto la paternità delle operazioni. Le interviste non furono, ovviamente, una mia iniziativa, ma rispondevano all'avvertita esigenza di difendere


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l'operato delle forze dell'ordine, rispetto all'accusa di aver fatto una perquisizione illegale, come in quelle ore si sosteneva.
È ovvio, però, che seguii la vicenda preoccupato, non solo per l'operazione in sé, ma anche per i riflessi che essa avrebbe potuto avere sull'ordine pubblico, considerato che alcune migliaia di manifestanti, i quali sostavano ancora nei pressi della stazione di Brignole per lasciare la città, avrebbero ben potuto accorrere alla scuola e dar luogo ad incidenti, come era accaduto a Goteborg. Per questo motivo, mi sentii, in primo luogo, di consigliare al questore di ricorrere - sono stato io - all'unità speciale del reparto mobile di Roma, che dava maggiori garanzie di tenuta e professionalità sul piano dell'ordine pubblico, tenuto conto che i suoi componenti, oltre ad aver avuto un accurato addestramento, erano stati selezionati anche sulla base di doti di equilibrio emotivo e capacità di controllo della propria impulsività. In secondo luogo, richiesi al funzionario di pubblica sicurezza, incaricato nell'ordinanza del questore di coordinare i servizi di ordine pubblico nella «zona rossa», di recarsi sul posto, per informarmi tempestivamente nel caso in cui l'operazione avesse suscitato le temute reazioni.
Signor Presidente ed onorevoli membri del Comitato, nonostante l'amarezza per il provvedimento che mi ha colpito (ma certo di uscire da questa situazione per poter ancora servire), sento, come ex vice capo della Polizia, di dovere testimoniare con forza, ancora una volta, i meriti della Polizia di Stato e di dovere esaltare il contributo che essa ha dato alla crescita di questo paese, quale insostituibile presidio dei valori della democrazia e della civile convivenza. Per i fatti di Genova, non ho alcuna esitazione a ribadire la mia piena assunzione di responsabilità per il comportamento complessivo degli uomini delle forze dell'ordine, che è stato - ripeto -


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meritevole di apprezzamento. Molta gratitudine esprimo ai componenti il Comitato per avermi dato questa opportunità e per avermi ascoltato.
PRESIDENTE. La ringraziamo molto. Abbiamo chiesto una copia della relazione al suo collaboratore insieme agli allegati, che immagino non abbiano carattere di riservatezza.
Il seguito dell'audizione è rinviato alla seduta di domani, mercoledì 29 agosto, alle 9.
La seduta termina alle 20,30.