COMMISSIONE D'INDAGINE

Seduta 08 - 05 Settembre 2001

BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA

 

Seduta di mercoledì 5 settembre 2001


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La seduta comincia alle 9,50.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, dovendo rendere alcune comunicazioni al Comitato.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Do lettura di una lettera inviatami ieri dall'ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato: «Caro Presidente, ho letto con sorpresa della testimonianza resa stamane dalla dottoressa Paolini in sede di indagine conoscitiva sui fatti di Genova, secondo cui, nel mese precedente alle elezioni, il mio Governo avrebbe di fatto cessato di avere rapporti con le Organizzazioni non governative. Spero di aver letto un resoconto non esatto, perché quei rapporti erano invece in corso, tanto in corso da aver avuto poi la loro conclusione ben al di là delle elezioni.
Mi riferisco alla rete che avevamo costituito con le ONG interessate a discutere dei contenuti del G8. Da molti mesi era al lavoro quella che avevamo battezzato «Genoa non governmental initiative», retta da un comitato rappresentativo appunto delle ONG, compresi alcuni dei promotori del Genoa social forum: Arci, Campagna Sdebitarsi, WWF, Rete Lilliput, oltre alla presidenza italiana delle ONG. In questo ambito si erano svolti seminari in Italia e in altri paesi (io stesso avevo


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partecipato a quello tenuto a Firenze in Palazzo Vecchio il 3 aprile) e il tutto doveva portare alla stesura di un documento, che mi fu consegnato a Palazzo Chigi da un folto numero di rappresentanti delle ONG il 5 giugno, cioè alla vigilia dello scambio delle consegne tra me ed il Presidente Berlusconi. Di tale incontro mi permetto di allegarti il resoconto, attraverso il comunicato stampa allora diffuso.
Ti sarò grato se renderai partecipi di questa mia i colleghi che concorrono all'indagine. Non ha grande importanza rispetto ai fatti su cui state indagando. Ma la verità è sempre importante«.
Comunico, inoltre, che la RAI, con lettera datata 4 settembre, informa di aver consegnato tutto il materiale che avevamo richiesto e specifica quanto segue: «Con l'occasione, ed in esito alla nuova richiesta del 30 agosto ultimo scorso, indirizzata al professor Roberto Zaccaria, si conferma quanto già telefonicamente anticipato circa il fatto che allo stato, »le trascrizioni« dei giornali radio e dei GR Parlamento non sono disponibili, dal momento che i servizi sul G8 sono tutti andati in onda in diretta e quindi per la quasi totalità senza un vero e proprio testo scritto già predisposto».
Audizione del dottor Francesco Gratteri, direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Francesco Gratteri, direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol, il quale ha chiesto di essere accompagnato dal dottor Andrea Grassi, funzionario del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato.


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Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, confermo l'attivazione dell'impianto visivo a circuito chiuso.
Ringrazio il dottor Gratteri e lo invito a riferire al Comitato.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Onorevole Presidente, onorevoli membri del Comitato, sono qui per fornire il mio contributo informativo in ordine ai fatti accaduti in occasione del vertice G8 di Genova. Vorrei, quindi, dare lettura della relazione da me predisposta in merito e consegnata al Comitato. Sono a vostra disposizione per gli eventuali approfondimenti sull'attività svolta a Genova dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e dalla mia persona in qualità di direttore dell'ufficio, carica che ricopro dal giugno 2000.
Mi corre l'obbligo di ricordare che, al riguardo, ho già reso testimonianza all'autorità giudiziaria di Genova: sono stato infatti audito nella qualità di persona informata sui fatti ed ho reso dichiarazioni ai dirigenti incaricati dell'ispezione ministeriale.
Il Servizio centrale operativo, costituito nel 1991, opera all'interno del dipartimento di pubblica sicurezza ed è uno dei


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servizi della direzione centrale della polizia criminale. I profili funzionali e strutturali del servizio, mutati nel corso del tempo a fronte di mirati interventi normativi, ne delineano una struttura centrale di analisi, di raccordo informativo, di supporto tecnico logistico in ordine alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali di polizia giudiziaria. Si tratta, quindi, di una struttura analoga a quella dell'Arma dei carabinieri - Raggruppamento operativo speciale (ROS) - e della Guardia di finanza - Servizio centrale investigativo criminalità organizzata (GICO).
Al servizio è quindi attribuita la funzione di organo centrale di riferimento per tutte le strutture investigative operanti sul territorio, nonché di investigazione specialistica a supporto delle stesse in tema di attività sotto copertura, nel settore del traffico di armi, stupefacenti e riciclaggio, e dei delitti indicati dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, per le operazioni particolarmente complesse e che impongono di accertare il possibile collegamento tra criminalità di tipo diverso, comune, organizzata, transnazionale, operanti sul territorio. Si avvale pertanto di personale della struttura centrale e del personale delle squadre mobili e delle sezioni appositamente istituite presso le squadre mobili di ogni distretto di corte di appello.
Reputo quindi che la flessibilità, l'agilità e specialità della struttura hanno costituito in questa occasione, e non soltanto, il motivo determinante che ha indotto il dipartimento ad avvalersi del Servizio centrale operativo per le attività di cui parlerò.
Quanto ai tempi e alle modalità di impiego, il ricorso alla struttura del Servizio centrale operativo non è stato emergenziale, bensì calibrato ed elaborato ai fini della pianificazione, predisposizione ed attuazione di un adeguato sistema di


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controlli ed investigazione preventiva, così come da direttive del Capo della Polizia e del direttore centrale della polizia criminale.
Al servizio centrale operativo della Polizia di Stato sono stati infatti affidati compiti ed incarichi formali e precisi, quali quelli di procedere alla attività di preventiva bonifica della zona rossa e dei carrugi. Si tratta di un'azione intesa come capillare controllo degli immobili e dei residenti nell'area interessata, da attuarsi attraverso perquisizioni domiciliari e personali, ricognizioni ed ispezioni dei luoghi, servizi di controllo e di identificazione delle persone, servizi di osservazione. Tale compito è stato svolto prima e durante il vertice in una zona estesa per 8 chilometri e con una densità di 30 mila residenti, per individuare e rimuovere ogni possibile forma di insidia, di rischio, di allarme, nonché possibili e indebite intrusioni idonee in qualunque modo a compromettere l'inviolabilità della zona, a scapito del regolare svolgimento del summit.
Nelle direttive del direttore centrale della polizia criminale, pertanto, è evidenziata la necessità di svolgere una capillare ed ininterrotta azione di controllo del territorio, al fine di prevenire o neutralizzare - e comunque segnalare a chi era preposto ai servizi di ordine pubblico - l'insorgere di situazioni che potessero in qualunque modo costituire fonte di pericolo o turbativa per il vertice. Il direttore centrale dispose quindi che, nella mia qualità, pianificassi gli interventi e mi avvalessi, oltre che di funzionari e personale del Servizio centrale operativo, anche di funzionari e personale delle squadre mobili e dei reparti di prevenzione crimine.
Per dare attuazione ai compiti impartitimi, non sostenibili per qualità e quantità soltanto con le risorse della questura di Genova, il cui contributo è stato comunque imprescindibile,


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attesa anche la loro competenza e conoscenza territoriale, il 30 giugno 2001 feci pervenire al direttore centrale un appunto relativo alle modalità di attuazione dell'incarico affidatomi, sottolineando, in particolare, che mi sarei avvalso, secondo quanto consentitomi dalla normativa, oltre che dalle direttive, e con la gradualità ritenuta opportuna, di personale particolarmente qualificato delle squadre mobili e dei reparti di prevenzione crimine per un complessivo numero di 400 unità, di cui 13 funzionari, così suddivise: 57 della squadra mobile, 12 della Digos di Genova, 300 di altre squadre mobili, 100 prelevati dai reparti di prevenzione crimine, 13 del Servizio centrale operativo.
Le operazioni svolte nella zona rossa sono state quindi condotte avendo cura di impiegare il personale nell'arco delle ventiquattro ore, diviso in squadre, distribuito in settori operativi prestabiliti, specie in prossimità di obiettivi sensibili, secondo un'attività di controllo comprendente: 1) una prima fase in cui è stata svolta un'attività generale di tipo conoscitivo del territorio e della popolazione censita, con specifica attenzione per determinate categorie di soggetti; 2) una seconda fase durante la quale si è svolta un'attività mirata di bonifica e di intervento.
L'intera attività, per la quale mi ha costantemente affiancato il vice direttore del Servizio centrale operativo, dottor Caldarozzi, fino alla vigilia della data del vertice, si è concretizzata in 22 persone arrestate, 92 perquisizioni domiciliari, 27 sequestri fra armi e sostanze stupefacenti, 38 denunce di persone in stato di libertà, 4073 persone identificate, 694 controlli di autoveicoli, 273 ispezioni locali.
Fra questi risultati, a titolo esemplificativo, segnalo la denuncia per fabbricazione di materiale esplodente ed incendiario di una persona con precedenti per banda armata, nota


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per il suo legame ad aree dell'estremismo di sinistra, che dava ospitalità ad un giovane precedentemente sorpreso nell'atto di fotografare le aree della zona rossa. Segnalo ancora l'arresto per detenzione di armi da guerra e armi comuni, nonché di oggetti contundenti, di un soggetto residente nelle vicinanze del palazzo Ducale, sede dei lavori del vertice.
È forse non superfluo ricordare che, anche grazie a questa capillare attività, nessuna turbativa al vertice si è registrata all'interno della zona rossa, fatto per il quale risultano - mi permetto di ricordarlo - essere stati esternati apprezzamenti anche da parte di autorità internazionali.
Nella primissima mattinata del 20 luglio, giornata di avvio del vertice, svolsi personalmente, come prassi dei giorni precedenti, un sopralluogo lungo tutta l'area perimetrale della zona rossa e, effettuato qualche ulteriore correttivo, sempre a tutela dell'inviolabilità della zona, decisi di raggiungere la questura di Genova e di stabilirmi in quegli uffici. Ritenni infatti che dalla questura si potessero meglio garantire forme di costante comunicazione fra me ed il vice direttore del servizio, disponendo che egli restasse all'interno della zona rossa con gli uomini lì impiegati, mentre io avrei seguito dalla questura lo svolgersi di tutti quegli eventi che potevano avere riflessi sulla sicurezza ed inviolabilità della zona di nostra competenza.
Per la specifica esperienza mia e degli uomini da me diretti nell'attività di polizia giudiziaria, ho ritenuto, anche in considerazione dell'evolversi della situazione ed in accordo con gli altri funzionari di polizia territorialmente competenti, di mettermi a disposizione del procuratore della Repubblica di Genova, così come ho fatto, assistendolo negli atti urgenti connessi all'accesso ai luoghi ove era deceduto il giovane Carlo Giuliani.


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Nessun compito di ordine pubblico è stato svolto dal Servizio centrale operativo, né tantomeno dal personale delle squadre mobili alle mie dipendenze. L'attività svolta a Genova si è sempre realizzata nel rispetto delle specifiche competenze connesse alle investigazioni di carattere preventivo e giudiziario, nonché nel rispetto dell'ordinanza di servizio emanata dal questore in materia di ordine e sicurezza pubblica per il vertice dei Capi di Stato e di Governo dei paesi del G8. Laddove le attività, specie investigative, lo hanno richiesto, gli stessi compiti di indagine preventiva e giudiziaria sono sempre stati attivati e svolti con l'ausilio degli organismi territoriali competenti. Ciò è accaduto anche con riferimento agli specifici episodi delle perquisizioni e degli arresti effettuati nelle scuole Paul Klee e Diaz-Pascoli.
Per quanto riguarda il primo episodio, nella tarda mattinata di sabato 21 luglio disposi che venisse perquisito il furgone segnalato e notato nel corso delle manifestazioni e dal quale erano stati distribuiti bastoni ed altri oggetti contundenti. Il furgone, seguito attraverso le immagini riprese da un elicottero della Polizia di Stato, trovò ricovero in un'area attigua alla scuola Paul Klee. Detti incarico allora al vice dirigente della squadra mobile di Genova, che faceva parte del gruppo di lavoro a mia disposizione, di provvedere a svolgere attività mirate di polizia giudiziaria. Si pervenne così alla individuazione del mezzo, alla identificazione di persone, al successivo sequestro di vario materiale illegale (tra cui ricordo 75 sbarre di ferro lunghe un metro e mezzo ciascuna), di altro materiale da guerriglia urbana, nonché di un manganello tipo tonfa in dotazione ai reparti dell'Arma dei carabinieri, che risulta essere stato sottratto ad un carabiniere durante gli scontri avvenuti nella giornata, di un lacrimogeno dei reparti mobili della Polizia di Stato. L'operazione ha portato quindi


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all'arresto di 23 soggetti per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, nonché per il reato di ricettazione e possesso di strumenti atti ad offendere.
Sui fatti occorsi, invece, presso la scuola Diaz-Pascoli, rammento di essere stato sentito, come ho detto all'inizio, dall'autorità giudiziaria di Genova nella qualità di persona informata sui fatti. Pertanto, sui possibili chiarimenti che mi venissero richiesti, sarà mia cura di evitare che le risposte possano interferire con le indagini in corso o violare il segreto di atti. Posso comunque riferire che nella giornata di sabato, quindi all'indomani della morte di Carlo Giuliani, episodio che fece mutare ulteriormente la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica, quando ormai si erano concluse le manifestazioni di piazza, con i lavori del summit che sarebbero proseguiti il giorno successivo, si convenne di predisporre 6 pattuglioni a formazione mista con personale DIGOS, squadre mobili, Servizio centrale operativo, reparti prevenzioni e crimine, reparti mobili, per meglio seguire il deflusso dei manifestanti, prevenire o reprimere eventuali ed ulteriori reati, individuare la presenza di quei gruppi ritenuti più violenti e pericolosi.
Nella serata, pattuglie impegnate in tali servizi si stavano recando in ausilio di altre che stavano svolgendo controlli di persone presso una birreria di via Trento, verosimilmente le persone resesi protagoniste di violenze negli scontri del pomeriggio. In via Battisti, mentre transitavano le pattuglie andate in ausilio all'altezza della scuola Diaz-Pascoli, occupata da rappresentanti del Genoa social forum, vennero colpite dal lancio di oggetti. Le pattuglie, dirette dal dottor Di Bernardini


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della squadra mobile di Roma, dovettero far uso di segnali di emergenza per sottrarsi a tentativi di aggressione con possibili gravi conseguenze.
Nell'occasione, il personale notò la presenza di numerose persone verosimilmente riconducibili ai cosiddetti black bloc. Rientrato in questura - ed è stato fatto rientrare da me -, il funzionario mi riferì l'episodio che in quel momento poteva connotarsi anche per aspetti di ordine pubblico e, nel rispetto delle competenze che ho già precisato, provvidi ad accompagnare il dottor Di Bernardini perché riferisse l'episodio al questore di Genova. Nella stanza del questore di Genova si trovavano anche altri dirigenti, tra i quali il prefetto Andreassi, il prefetto La Barbera, il collega Luperi, il dottor Murgolo ed altri funzionari. Il questore, sentito il racconto del dottor Di Bernardini, attivò il dirigente della DIGOS, dottor Mortola, che, a seguito di un suo personale sopralluogo, appena rientrato in ufficio riferì di avere constatato la presenza in via Battisti di persone verosimilmente riconducibili ai cosiddetti black bloc. Lo stesso dottor Mortola in merito riferì di aver avuto un contatto telefonico con un rappresentante del Genoa social forum, che permise di acquisire ulteriore contezza che presso la scuola era possibile una infiltrazione di elementi non conosciuti al Genoa social forum, anche per la confusione conseguente alla partenza di migliaia di manifestanti, dopo la conclusione del corteo del pomeriggio.
Nella circostanza si decise, con il questore e con gli altri dirigenti citati, di procedere ad una perquisizione a norma dell'articolo 41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, per la ricerca di armi che, com'è noto, furono poi rinvenute: mazze di ferro, coltelli, bottiglie molotov. Si stabilirono pertanto le modalità di intervento perché all'operazione prendessero parte il reparto mobile di Roma, il personale della


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DIGOS e della squadra mobile di Genova, nonché del reparto prevenzione e crimine dei carabinieri. Hanno concorso all'atto di polizia giudiziaria anche 60 dei 482 uomini a mia disposizione, dei quali soltanto sette appartenenti al Servizio centrale operativo, guidati da sei funzionari. Con il dottor Caldarozzi e una aliquota del personale del Servizio centrale operativo che ho già detto, sono giunto in via Battisti quando già i reparti avevano fatto ingresso nella scuola e non ho pertanto cognizione diretta delle fasi della irruzione. Il personale del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili ha cooperato all'attività di perquisizione e di individuazione delle persone presenti. Il verbale di perquisizione e di arresto è stato quindi trasmesso, con la sottoscrizione degli operanti, all'autorità giudiziaria di Genova dalla squadra mobile e dalla DIGOS di quella questura. Resto a loro disposizione per eventuali domande o chiarimenti.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Gratteri.
GRAZIELLA MASCIA. Dottor Gratteri, la ringrazio per averci esposto un resoconto dettagliato delle funzioni che svolgevate a Genova in particolare riguardo alla vicenda della scuola Diaz, a seguito della quale abbiamo ritenuto opportuno chiedere l'audizione, allo scopo di comprendere e chiarire una serie di questioni non ancora chiare.
Naturalmente, abbiamo ricostruito ormai il grosso di questa vicenda, per quanto siano emerse versioni un po' diverse le une dalle altre. Rimangono ancora alcuni punti su cui vorrei capire se lei sia in grado di aiutarci, ferma restando la premessa che ha svolto all'inizio e la sua posizione di testimone della vicenda rispetto all'autorità giudiziaria. In particolare, visto che lei ha detto di non essere presente sul posto ma di essere arrivato dopo, credo che, nella fase


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preliminare, nelle due riunioni svolte, si siano distribuiti i compiti e allora vorrei chiederle quali fossero i reparti che sarebbero dovuti entrare prima, con quali compiti, chi fosse il responsabile di questa perquisizione, perché finora non l'abbiamo compreso.
Inoltre, le chiedo come fossero le divise delle diverse squadre. Al riguardo, ci sono state testimonianze diverse, molte delle quali fanno riferimento ad agenti in borghese con le scritte sui fratini, che sarebbero stati i responsabili primi di una serie di violenze perpetrate all'interno della scuola. In particolare, vorrei anche capire, come fossero le divise, perché riguardo alla divisa atlantica non ho ancora compreso se, come ci è stato detto ieri, si tratta di quella con le maniche corte: ne avevo viste ben poche quella notte.
Riguardo agli agenti che si trovavano nella scuola Diaz, dove era collocato il Genoa social forum con il centro stampa, da cui poi sono stati sottratti dei dischetti ed è stato distrutto del materiale, che non c'entrava con la perquisizione che avevate deciso, le chiedo chi fossero questi uomini che erano entrati, perché lì mi è stato negato che ci fosse un responsabile: comunque c'erano 20 persone distribuite nei corridoi. Vorrei, quindi, capire con lei quali fossero i reparti e le diverse responsabilità.
Infine, ho letto nei verbali e, non solo sui giornali, che un infiltrato ossia una persona in borghese, avrebbe aperto il portoncino di sinistra descritto anche ieri; infatti, al momento dell'ingresso, dopo il cancello, sono stati sfondati o comunque aperti due portoni: quello di sinistra sarebbe stato aperto da un poliziotto in borghese infiltrato che aveva contribuito anche a segnalare in tempo l'ora più opportuna per compiere la perquisizione. Naturalmente, ciò si presta ad ulteriori letture, anche perché - come lei avrà forse sentito nell'audizione di


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ieri - di questa ipotetica perquisizione si sentiva parlare già nel pomeriggio. Vorrei che lei ci aiutasse a comprendere meglio quali siano state le dinamiche per arrivare alle ultime decisioni.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Rispetterò l'ordine delle domande prospettate dall'onorevole Mascia. Una volta assunta, nell'ufficio del questore, la decisione di procedere a perquisizione domiciliare dello stabile ai sensi dell'articolo 41, si svolse una brevissima riunione presso la sala riunioni della questura di Genova alla quale, escluso il prefetto Andreassi, parteciparono tutti i dirigenti ed i funzionari che ho citato prima e, in aggiunta, il collega Canterini ed altri funzionari che posso indicare e che, comunque, erano stati interessati allo svolgimento della perquisizione. La riunione aveva il compito di stabilire le modalità di intervento, come giungere sull'obiettivo e, soprattutto, come predisporsi per arrivare all'istituto. Le modalità furono stabilite secondo il seguente criterio.
MARCO BOATO. Lei ha detto che Andreassi non era presente, ma era escluso anche il questore?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Il prefetto Andreassi era escluso, mentre il questore era presente.
PRESIDENTE. Il dottor Gratteri ha affermato che durante la riunione Andreassi non era presente.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Durante l'incontro presso la sala riunioni, quindi nella seconda fase della riunione stessa.


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FILIPPO MANCUSO. Quando fu presente Andreassi?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Nella seconda fase della riunione, quando si dovettero stabilire le modalità operative - che vennero decise presso la sala riunioni della questura -, il prefetto Andreassi era assente.
Si stabilì come procedere, anche grazie alle indicazioni fornite dal collega Mortola, acquisite nel corso del sopralluogo. Si decise di procedere con due schieramenti e, in pratica, di raggiungere l'istituto da due diverse strade. Ricordo che, al riguardo, il collega Mortola fece uno schizzo per indicare, ovviamente a chi non ne avesse conoscenza, il sito ove l'istituto si trovava e le strade che il personale avrebbe dovuto seguire per raggiungerlo. Si stabilì anche che a guidare i due gruppi che dovevano giungere sul posto dovessero essere il dottor Mortola - che ritengo dovesse arrivarvi con un mezzo del reparto mobile - ed un funzionario della DIGOS di Genova, un funzionario del dottor Mortola, che doveva svolgere la funzione di guida dell'altro gruppo.
In quell'occasione non si esplicitò il nominativo del funzionario che avrebbe dovuto dirigere l'operazione per un fatto semplicissimo, e cioè perché a ciascun gruppo era preposto un funzionario; soltanto per le squadre mobili e per il Servizio centrale operativo - come ho detto prima - erano presenti sei funzionari, così come erano presenti funzionari degli altri uffici. S'intende che per chi svolge attività di polizia giudiziaria, nel corso di una perquisizione, la responsabilità del gruppo fa capo al funzionario, che ovviamente ha il compito di impartire direttive e di controllare che le stesse vengano svolte correttamente.
Purtroppo, non ho cognizione diretta di ciò che avvenne quando il personale che doveva svolgere la perquisizione


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giunse alla scuola. Io vi sono giunto una volta che l'irruzione era già stata effettuata e l'immobile era stato «occupato» dalla Polizia e cioè una volta che la Polizia di Stato era presente all'interno dell'immobile. Ovviamente mi adoperai per quelle che dovevano essere, in quel momento, le esigenze da affrontare.
Per quanto riguarda la seconda domanda, escludo che fosse presente o avesse partecipato alla perquisizione personale che indossava la divisa atlantica e che dovrebbe appartenere al reparto prevenzione crimine. Si era, infatti, stabilito - lo ripeto - che il reparto mobile rappresentasse la prima cinturazione, cioè il primo stadio, che il personale delle squadre mobili e della DIGOS venisse subito dopo, essendo personale qualificato a svolgere operazioni di polizia giudiziaria e, nella fattispecie, la perquisizione, e che il reparto prevenzione crimine, ossia quello che indossa la divisa atlantica, costituisse una sorta di cinturazione del perimetro esterno del sito.
LUCIANO VIOLANTE. I carabinieri?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. I carabinieri dovevano stare ancora dietro, a presidio del territorio, nell'eventualità in cui vi fosse la necessità di fronteggiare emergenze dall'esterno. Quindi, lo ripeto, le modalità stabilite nell'occasione furono le seguenti: reparto mobile, DIGOS e squadre mobili avevano il compito di svolgere materialmente la perquisizione e, quindi, l'operazione di polizia giudiziaria, il reparto prevenzione crimine doveva stare all'esterno e quindi svolgere attività di cinturazione dell'immobile - attività che, d'altro canto, questo reparto svolge abitualmente - ed i carabinieri dovevano occupare l'ultima posizione sempre all'esterno della scuola.


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FILIPPO MANCUSO. Il reparto mobile di Roma?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Il reparto mobile doveva occupare il primo livello.
PRESIDENTE. Scusatemi, ognuno di noi può rivolgere domande per chiedere, chiarimenti, ma se si procede in questo modo diventa difficile verbalizzare gli interventi. Sarebbe più corretto consentire al dottor Gratteri di rispondere e passare poi agli interventi degli altri colleghi (Commenti del deputato Mancuso).
Onorevole Mancuso, se non attiva il microfono non si sente nulla e dal resoconto stenografico non sarà possibile comprendere a cosa lei abbia fatto riferimento.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Vorrei ribadire che queste erano le intese raggiunte nel corso della brevissima riunione. Non so se poi tale criterio sia stato attuato, non ne ho conoscenza.
Per quanto attiene la perquisizione all'istituto in cui si trovava il centro stampa, so anche, in ragione di ciò, che personale della Polizia di Stato, che faceva parte di uno dei due gruppi, si recò al centro stampa per mero errore; infatti, colui che faceva da guida condusse per errore il personale che aveva al seguito al centro stampa. Quando giunsi sul posto, ad irruzione già effettuata, mi venne incontro un funzionario che mi disse che personale di Polizia si trovava all'interno del centro stampa; io gli chiesi di raggiungere il centro stampa ed invitare il personale a ritornare in strada.
Non mi risulta alcuna indicazione, informazione o notizia circa l'esistenza di un infiltrato che avrebbe consentito alla Polizia di entrare all'interno della scuola. Posso esternare


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alcune mie considerazioni, ma non so se sia opportuno. Dico soltanto che, per quanto mi consta personalmente, la perquisizione all'istituto fu determinata soltanto dalla circostanza che ho indicato, cioè dal fatto che la pattuglia comandata dal dottor Di Bernardini transitò per caso, intorno alle ore 21,30 di sabato sera, nell'intento di raggiungere un collega e prestare ausilio da quella strada.
La ragione che determinò la perquisizione all'istituto, per quanto mi consta - ed io mi sono assunto la responsabilità dell'effettuazione della perquisizione - è solo questa.
FRANCO BASSANINI. Vi sono molti aspetti che, non riesco a capire e vorrei che il dottor Gratteri, di cui sono note l'efficienza e la competenza, ci aiutasse a comprenderli.
Innanzitutto, nella stanza accanto abbiamo alcuni rapporti scritti di funzionari di pubblica sicurezza che hanno partecipato all'operazione, che ci sono stati trasmessi dal dottor Canterini; da essi risulta che tra quelli entrati vi erano operatori di pubblica sicurezza con divisa atlantica e che un infiltrato avrebbe dato il segnale per il momento dell'ingresso. Tale circostanza, dunque, non ci è stata riferita a voce, ma risulta da un rapporto redatto da un funzionario e verificato dal dirigente che ce lo ha trasmesso. Da diversi di quei rapporti risulta anche che già alle 21,30 erano stati tutti allertati per un'operazione da compiere intorno alle 22,45-23. Lei dice che intorno alle 21,30, casualmente, si è verificato questo fatto che poi ha dato luogo, al ritorno del dottor Di Bernardini in questura, ad una serie di riunioni, e così via. Vi è incongruenza tra questi tempi, perché se il fatto è avvenuto alle 21,30, non è possibile che alla stessa ora già fosse stato previsto. Addirittura, i giornalisti affermano di essere stati preavvisati alcune ore prima che sarebbe successo qualcosa del genere.


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Inoltre, se è vero che le modalità operative erano quelle descritte - e di queste ci può parlare perché rientrano nella gestione dell'ordine pubblico - vi sono alcune circostanze che non si riescono a capire. Essendo state previste addirittura due cinture di protezione all'esterno (quella del reparto prevenzione crimini e quella dei carabinieri), come mai si dice e si scrive che vi sarebbero stati dei black blockers o, comunque, dei presenti nella scuola che sono riusciti ad eclissarsi? Lei ha partecipato alla definizione delle modalità operative: almeno di queste ci potrebbe parlare. Trattandosi di una perquisizione, nelle modalità operative si è precisato che occorreva acquisire reperti e possibili corpi di reato accertando in quali stanze venissero prelevati, come avviene in una perquisizione? Questa infatti era la motivazione formale dell'irruzione. Come mai al centro stampa, invece di lasciare tutto com'era (o, eventualmente, di sigillare) vi sono stati episodi, a quanto pare abbastanza sistematici, di distruzione di computer, apparati di trasmissione, e così via? Nelle direttive era stato stabilito che non si sarebbe dovuto toccare niente, ma solo acquisire referti perché si trattava di una perquisizione? Sono state effettivamente impartite direttive di questo genere? E, in caso contrario, quali direttive sono state date? Si trattava di una perquisizione oppure no? Se si fosse trattato di una perquisizione, la prima direttiva da impartire a tutti gli uomini sarebbe stata quella di classificare immediatamente tutto il materiale rinvenuto e suddividerlo a seconda del luogo di ritrovamento, senza distruggere niente. Infatti, è proprio l'opposto dell'obiettivo di una perquisizione distruggere potenziali corpi di reato che, poi, verranno valutati dall'autorità giudiziaria.
Inoltre, è normale che, in casi di questo genere, fra le modalità operative non sia stabilito a chi attribuire la responsabilità


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della direzione dell'operazione? Lei è, per ora, l'unico che ci ha detto che ciò è normale. Tutti gli altri (ieri anche il dottor Canterini), di fronte a questa domanda, hanno risposto di non sapere chi fosse ma non ci hanno detto che si trattava di una domanda senza senso, perché in questi casi è normale che ciascuna unità sia diretta dai suoi dirigenti e non si usa nominare un responsabile dell'operazione. Le chiedo se ciò sia normale perché non ho competenza al riguardo, però penso che in operazioni di questo genere, a cui partecipano diversi corpi, un responsabile del coordinamento sia necessario. In caso contrario, c'è il rischio che si verifichi esattamente quello che pare sia successo: si fa a gomitate e pugni per entrare per primi, non si capisce chi è responsabile di chi, non si capisce chi ha fatto una cosa e chi ne ha fatta un'altra, chi ha cercato di agire correttamente - probabilmente la maggior parte di quelli che sono entrati - e chi, invece, si è lasciato andare a violenze o distruzioni che non sono ammesse nei casi di perquisizione. Forse, questo deriva anche dalla mancata designazione di un responsabile, per cui ciascuno faceva quel che voleva e cercava di pestare i piedi agli altri. Vi erano unità diverse che facevano la stessa cosa, mentre altri compiti non venivano svolti da alcuno: ciò non è la conseguenza del fatto che non si sia individuato un responsabile dell'operazione?
Infine, le rivolgo una domanda che non riguarda la questione Diaz-Pascoli. Lei, a quanto abbiamo capito, era responsabile soprattutto di ciò che avveniva nella zona rossa ed ai suoi confini. Tuttavia, che idea si è fatto di quanto è successo nei giorni del G8 al di fuori della zona rossa? Mi riferisco, in particolare, ad una circostanza che a molti di noi risulta incomprensibile: come hanno potuto le squadre appartenenti alle organizzazioni violente, innanzitutto ai black


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bloc, devastare, incendiare, distruggere in maniera quasi indisturbata? Noi, finora, abbiamo avuto un'unica spiegazione (anche se discutibile) dal dottor Andreassi, il quale ha affermato che si è scelta la strada di una linea flessibile sulle devastazioni alle cose perché quello che veramente importa era evitare violenze sulle persone. Si tratta di una linea, a mio avviso, discutibile, perché penso che tutti i reati e tutte le violenze vadano fermamente prevenuti e repressi. Infatti, spesso una violenza ne tira un'altra ed il confine fra la violenza sulle cose e quella sulle persone è difficile da stabilire nel fuoco di queste vicende. Lei, per quello che ha potuto vedere o per gli episodi a cui ha partecipato, quale idea ha maturato su quanto è successo in quei giorni sotto questo aspetto, che è uno dei più delicati?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Spero di riuscire a rispettare l'ordine delle sue domande, senatore. Tornando alla questione dell'infiltrato, a me assolutamente non risulta la sua presenza all'interno della scuola. Devo ribadire che preferisco limitarmi agli argomenti conosciuti per scienza diretta.
FRANCO BASSANINI. Non vi sarebbe nulla di male.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. A me non risulta. Mi è capitato di fronteggiare simili evenienze ma, nel caso in discussione, non mi risulta. Anzi, non mi pare - sebbene di ciò non abbia avuto conoscenza diretta, avendo acquisito tale notizia dalla lettura di atti trasmessi all'autorità giudiziaria di Genova, autorità competente sulla questione - che nei documenti che ho letto sia contenuto alcun riferimento a tale vicenda. Non mi pare che la circostanza che ha determinato la perquisizione dell'istituto sia esposta in termini diversi.


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FRANCO BASSANINI. Le posso assicurare che tra le carte trasmesse ufficialmente al Comitato vi sono...
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Io sto riferendo di quanto a me risulta sulla base della lettura di carte trasmesse all'autorità giudiziaria competente.
Per quanto attiene all'orario, potevano essere le 21,30 ovvero le 22; per quanto a me consta, la circostanza che ha fatto propendere per la perquisizione è quella citata e si è verificata all'incirca tra le 21,30 e le 22 di sabato. Non ho guardato l'orologio ma i tempi sono questi. Come ciò risulti ai giornalisti, lo ignoro; credo che, per saperlo, i magistrati o il Comitato debbano rivolgersi a costoro.
Per quanto attiene alle modalità della perquisizione ed anzi, ancor prima, alla fase della irruzione, premetto che esporrò ciò che ho visto con i miei occhi, direttamente, ciò che ho letto sulle carte e ciò che mi è stato raccontato. Posso anche dire di aver letto, credo nell'esposizione del prefetto La Barbera, che il personale della Polizia di Stato, di cui era imminente l'arrivo sul posto, ha notato, quando, ormai, era nei pressi del perimetro esterno dell'istituto, un gruppo di persone, nel cortile esterno dell'istituto, tra il cancello e l'ingresso del medesimo, rifugiarsi, alla vista della Polizia, all'interno dell'edificio, chiudendosi il portone alle spalle. Siccome ritengo che, su tali fatti, siano possibili tutti i dubbi, ma non che non fossero presenti, uomini della Polizia o comunque appartenenti alle forze dell'ordine, evidentemente, nell'atto dell'ingresso si era già preventivamente valutata una possibile resistenza all'interno dell'istituto. Ciò vuole anche significare che, in un contesto del genere, tutto quanto attiene all'acquisizione dei reperti o del materiale - materiale che comunque è connesso ad una fattispecie di reato - non avviene secondo


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quella linearità che immaginiamo. Molto modestamente, (avendo svolto) 20 anni di servizio, per quasi 19 anni ho effettuato perquisizioni domiciliari: non dico giornalmente, ma senz'altro con una certa frequenza. Ebbene, per prassi, quando si svolge una perquisizione in un ambiente particolare, ambiente del quale già si immaginano le condizioni (che poi verranno accertate una volta entrati), anzitutto si provvede a bonificare, occupare il sito, allo scopo di garantire la sicurezza dei presenti, di assicurare che le tracce di reato non vengano alterate o occultate ed allo scopo di garantire, anche, la sicurezza degli operatori. Siffatte operazioni, ovviamente, non vengono compiute, anche in considerazione dello specifico interlocutore, in maniera garbata; piuttosto, si procede in maniera decisa ed energica. Penso che la decisione e la condotta energica, purtroppo, siano state legittimamente adottate (dico purtroppo alla luce degli avvenimenti poi occorsi).
Per quanto attiene al responsabile della perquisizione - e mi correggo se mi sono espresso male - non ho asserito che sia normale l'assenza di un responsabile; nel momento in cui un organismo di polizia giudiziaria presta ausilio ad un altro analogo organismo che ha una connessione con il territorio, l'ufficiale di polizia giudiziaria più alto in grado, il quale sia preposto al servizio di polizia giudiziaria che opera in un determinato territorio, risponde verso l'autorità giudiziaria di quanto viene compiuto, tant'è che firma gli atti che lo svolgimento dell'operazione comporta.
MARCO BOATO. Chi era?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Non sto dicendo che sia responsabile di tutto quanto venga operato dai singoli; gli atti sono stati firmati dal dirigente della squadra mobile di Genova, dal


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dirigente della DIGOS della medesima città, ma ciò non significa che siano responsabili di quanto chi, componente di quella squadra, commetta, nella perquisizione un atto illecito. Se mai, sono responsabili nel momento in cui, avendo visto, non dovessero impedire il fatto. Va anche tenuta in considerazione la circostanza che si trattava di un gruppo non omogeneo ma composito. Certo, l'omogeneità era data dal fatto che ciascuno dei membri del gruppo aveva sicuramente avuto occasione di maturare nel tempo grande esperienza in materia di perquisizione e di operazioni di polizia giudiziaria; però, era un gruppo composito nel quale i singoli provenivano da uffici e realtà territoriali diversi.
Per quanto attiene alle mie personali valutazioni su quanto, purtroppo, tragicamente è accaduto al di fuori della zona in relazione alla quale mi era stato conferito l'incarico da me svolto, se mi consente, vorrei astenermi. Infatti, il tema dell'ordine pubblico è talmente delicato che penso che anche chi abbia maturato negli anni una grandissima esperienza trovi difficoltà a enunciare regole valide per tutti. Se mi si chiede di dare una valutazione su una questione che attiene alla criminalità organizzata, alla criminalità comune o ad un fenomeno criminale che, in un momento storico particolare, colpisce un determinato territorio, ho il dovere - e penso di saperlo adempiere - di esprimere mie valutazioni, che si devono concretizzare in termini di iniziative. Vorrei astenermi dal fare ciò, perché penso che ci si debba anche trovare personalmente e direttamente in quelle situazioni per potere, poi, esprimere un giudizio sereno e misurato.
MARCO BOATO. La ringrazio, dottor Gratteri. Le siamo tutti grati per il lavoro da lei svolto in quei giorni a Genova; la parte principale delle sue incombenze è stata da lei già esposta nella parte introduttiva della sua relazione e riguardava


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la sicurezza all'interno della zona rossa, sia nella fase di prevenzione sia durante lo svolgimento del vertice. Si è trattato di una attività che, forse, ha richiesto maggiore impegno e non è mai stata messa in discussione conseguendo un risultato positivo di cui viene dato atto. Dunque la nostra attenzione si focalizza su altri aspetti, forse minori se confrontati con la complessità dei compiti da lei e dai suoi colleghi affrontati che, tuttavia, sono quelli che hanno dato origine alla nostra indagine conoscitiva. Le dico ciò per esprimerle apprezzamento; non sottovalutiamo la gravità, l'importanza, la mole del lavoro svolto da lei e dai suoi collaboratori in questa circostanza. Molte domande sono state già formulate dai colleghi che mi hanno preceduto, quindi mi limiterò a rivolgerle quesiti più specifici. Ad un certo punto, parlando della giornata del 20 luglio, ha detto di essersi messo a disposizione della procura della Repubblica di Genova - credo dopo la morte di Giuliani, nel pomeriggio del 20 luglio - per l'accesso ai luoghi dove era deceduto Carlo Giuliani. Può specificare meglio, visto anche che sull'episodio dovremo tornare nel corso di altre audizioni oggi stesso, questo aspetto da lei citato solo en passant e che forse potrebbe essere utile conoscere?
Riguardo agli avvenimenti occorsi la sera, credo di essermi fatto un quadro della situazione; lei, invero, ha citato vari istituti, tra i quali la scuola Paul Klee, ma, trattandosi di un episodio legato al furgone vorrei, per il momento, sorvolare. Piuttosto, abbiamo sentito parlare di scuola Diaz, scuola ex Diaz, scuola Pertini; adesso, lei usa, nella sua relazione, la dizione scuola Diaz-Pascoli. Siccome lei si è trovato lì ed io no, la pregherei di fornirmi un chiarimento. Infatti, io ho capito che vi erano due scuole comunali, la Diaz e la Pascoli, ed una scuola un di competenza della provincia, l'istituto Pertini. Mi pare di aver capito che in via Battisti si trovassero, affiancate,


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le scuole Diaz e Pertini (una delle due era in fase di ristrutturazione, con la presenza di un cantiere) e che, di fronte - ma parlo solo per induzione, visto che non sono mai stato sul posto - si trovasse l'istituto Pascoli, anche esso di competenza del comune (credo una scuola media, mentre la Diaz è una scuola elementare ed il Pertini un istituto superiore, circostanze inferite dalla lettura delle carte).
Mi pare di aver capito che i reparti sono entrati in tutti questi istituti, ma in uno non hanno operato alcunché. Ho visto delle immagini televisive di ragazzi seduti per terra, terrorizzati, che dicevano agli operatori: «Restate qui perché finché rimanete voi non ci succede nulla». Questo testimonia il clima che respira chi ha preso visione di tali fatti solo per via mediatica.
L'altro istituto, il Pertini (ma vorrei che me lo specificasse) era l'obiettivo della perquisizione. Ancora, quello a fianco - dove erano collocati il centro stampa, il centro legale e via dicendo - è stato semidistrutto, addirittura lei dice per un errore, tanto che ha comunicato al funzionario responsabile di uscire dai locali e di smettere con quella operazione, operazione che è stata distruttiva per gli strumenti lì presenti.
Questo è quello che ho ricostruito e le chiedo di farci un quadro dei siti specifici in cui sono avvenute le operazioni, perché nella sua relazione lei ha utilizzato sempre la definizione Diaz-Pascoli: a volte sentiamo Diaz, a volte Pertini, a volte ex Diaz e via dicendo.
Le chiedo un'ultima cosa (perché molte domande le hanno già poste i colleghi e credo che sia corretto non essere ripetitivi) su un tema sul quale ha giustamente molto insistito il senatore Bassanini. Lei non ha detto «è normale» - formalmente io ho scritto così, ma sono appunti -, ma «non


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si disse chi doveva dirigere l'operazione» e «ogni gruppo era diretto da un funzionario ed essendo numerosi i gruppi, molti erano i funzionari». Queste le sue parole.
Tuttavia, se qualcuno nelle circostanze operative avesse deciso o volesse proporre di interrompere un'operazione che si prospettava diversa da quella che, invece, era stata discussa nelle riunioni in questura, a chi doveva rivolgersi? Chi doveva assumersi la responsabilità dell'eventuale interruzione dell'operazione ? Questa non è una domanda retorica, lei ha capito che al riguardo vi è una discordanza di versione e le chiedo se lei, che è stato molto corretto nel fornirci le sue prospettazioni, sia in grado di riferirci chi avrebbe eventualmente dovuto o potuto decidere l'interruzione o la modifica delle modalità di operazione.
Devo dire che lei ci ha prospettato con molta linearità la definizione delle intese dicendo: «non so se poi siano state rispettate, ma le abbiamo concordate prima con il reparto mobile, poi con la DIGOS e la squadra mobile, il reparto prevenzione crimine e i carabinieri. Questo lei ha riferito ed è la prima volta che lo sentiamo dire in modo lineare. Tuttavia, i vertici del corpo di Polizia che abbiamo ascoltato - non parlo del capo della Polizia ma degli altri che erano presenti - hanno detto che era stato chiesto l'intervento del reparto mobile perché si temeva che alcune migliaia di manifestanti, presenti nei pressi della stazione di Genova-Brignole e non ancora partiti, nel momento in cui avessero saputo che era in corso una qualche operazione di polizia potessero ritornare nei pressi di via Battisti e creare problemi di ordine pubblico.
Quindi, nella versione che noi abbiamo ripetutamente avuto, la richiesta di intervento del reparto mobile è a tutela


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dell'esterno rispetto ad eventuali arrivi di «alcune migliaia cito testualmente di manifestanti ancora in circolazione nei pressi di Genova-Brignole».
Nella sua prospettazione lei parla delle intese raggiunte: all'esterno sta il reparto prevenzione crimine e i carabinieri ancora più all'esterno, invece l'irruzione viene compiuta - o almeno si decide che venga fatta - dal reparto mobile. Vorrei chiederle se della mia ricostruzione, seppure sintetica, ha avuto notizia, se di questa mia valutazione - riportata dai vertici della Polizia che erano sul luogo, non voglio rifare i nomi perché abbiamo i resoconti - in qualche modo le risulti qualcosa.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Per ciò che attiene al sopralluogo, quel pomeriggio mi offrii di accompagnare il procuratore della Repubblica di Genova sul posto dove era stato ucciso il giovane Giuliani. Per cui mi recai presso la procura della Repubblica ed accompagnai, insieme ad altri funzionari delle strutture locali della Polizia di Stato, il procuratore della Repubblica sul luogo dove giaceva il cadavere del ragazzo.
Aiutai i colleghi a prestare collaborazione al magistrato affinché acquisisse elementi in relazione a ciò che era accaduto. A tale riguardo posso anche dire che in quella circostanza un funzionario della squadra mobile di Genova consegnò un bossolo, evidentemente repertato per terra, al procuratore della Repubblica di Genova. Ce ne andammo subito, anche perché la situazione era estremamente tesa, dopodiché mi occupai con l'aiuto dei miei collaboratori, anche della identificazione del cadavere, operazione che avvenne dopo alcune ore.
Per quanto attiene alla posizione degli istituti, confermo la sua idea e preferirei esprimermi negli stessi suoi termini


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perché non vorrei anch'io fare confusione sulla denominazione degli istituti. Ricordo da una parte un plesso unico, anche perché se c'erano due palazzi, erano attaccati; ricordo appena arrivai - perché su quel punto mi soffermai un attimo - che, guardando il palazzo sulla sinistra dove poi avvenne la perquisizione, sul lato sinistro (non ricordo se anche sul lato frontale) vi erano delle impalcature come se si stessero realizzando dei lavori.
Rammento che mi soffermai sul lato del perimetro sempre esterno ed estremo della scuola, perché si sentivano dei ragazzi che, evidentemente, attraverso le impalcature stavano cercando di guadagnare la fuga. Ordinai, quindi, ad alcuni poliziotti o carabinieri, adesso non ricordo, che si trovavano lì di fermarli ed identificarli. Ricordo che i due istituti erano uno di fronte all'altro: l'istituto dove avvenne la perquisizione era di fronte a quello dove si entrò per errore.
MARCO BOATO. Dall'altra parte della strada.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. No, confluivano tutti e due sulla stessa strada; se poi l'ingresso dell'altro fosse dall'altra parte, non lo so; a me, sul momento, si è presentata la realtà che ho descritto.
MARCO BOATO. Nel senso che si trovavano uno da una parte ed uno dall'altra della strada o erano contigui?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. C'è una strada in mezzo e sulla stessa si affacciano tutti e due gli istituti. Ritengo che l'ingresso dell'istituto dove c'era il centro stampa fosse dall'altro lato, non sulla stessa strada dove c'era l'ingresso dell'istituto perquisito, ma dall'altra parte o lateralmente.


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FRANCO BASSANINI. Gli istituti sono tre: lei parla di due.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Non so se i tre istituti siano su tre fabbricati separati e distinti.
MARCO BOATO. Due sono contigui e uno è di fronte.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Sono due istituti, uno probabilmente che ne comprende due, ma il blocco è unico...
MARCO BOATO. È il Pertini-Diaz, il Pascoli è di fronte.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Esatto, quindi il Pertini-Diaz è quello perquisito ed è composto di due istituti che costituiscono un blocco unico; l'altro è quello di fronte, dove c'è il centro stampa.
Per quanto riguarda la valutazione sull'opportunità dell'impiego del reparto mobile o l'illustrazione delle modalità di schieramento, penso che il suo riferimento possa - almeno per ciò che mi consta - collegarsi ad un'altra circostanza, ma non vorrei dare delle indicazioni errate. Nel momento in cui si stava svolgendo comunque la perquisizione all'interno dell'istituto Diaz-Pascoli, si diffuse la voce tra tutti i presenti (all'esterno del cancello dell'istituto si era costituita una consistente massa di persone) che stessero arrivando - e questa voce era diffusa anche tra gli stessi giornalisti - persone dai centri sociali con l'intenzione di opporre quanto meno resistenza, armati anche di bottiglie molotov. Per questa ragione io stesso ed il collega Luperi, che è direttore di un servizio della direzione centrale della polizia di prevenzione, sollecitammo i funzionari allo scopo di accelerare lo svolgimento


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delle operazioni, al fine di impedire - non so se la notizia fosse vera o falsa: in quel momento poteva essere verosimile - che la situazione degenerasse ulteriormente.
MARCO BOATO. L'operazione durò circa due ore?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Più di due ore, sicuramente.
Io non so se questo fatto possa collegarsi alla circostanza che lei ha esposto; io ricordo questo. Non conosco, comunque - anche se posso immaginare, evidentemente - le valutazioni di chi ha ritenuto di impiegare il reparto mobile per quella circostanza. Deduco, per essere stato presente, quindi per cognizione diretta, che il reparto mobile dovesse occupare la prima posizione perché avevo compreso che il dirigente della DIGOS di Genova, che in quel momento aveva funzioni di guida e che aveva svolto il sopralluogo, per raggiungere il posto dovesse procedere a fianco del gruppo comandato dal collega Canterini. Dunque, per questa sola ragione, ritengo che il reparto mobile dovesse, rispetto all'immobile, occupare la prima posizione.
MARCO BOATO. Le avevo chiesto, nell'ipotesi che ci fosse stata una decisione di sospendere l'operazione, chi avrebbe dovuto assumerla.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Ritengo di aver risposto prima a tale domanda. Se io dirigo una squadra mobile in un capoluogo di provincia...
PRESIDENTE. Quello territorialmente competente.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. ...e un funzionario viene a chiedere di


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svolgere una perquisizione, non avendo evidentemente un mandato di altra autorità giudiziaria, ritengo che si debba in qualche maniera rimettere alle valutazioni, decisioni e responsabilità del funzionario che su quel territorio è preposto al servizio. Ciò non vuol dire - ripeto - che il dirigente della squadra mobile o della DIGOS debba rispondere...
MARCO BOATO. La questione della catena di comando.
PRESIDENTE. Ha già risposto.
SAURO TURRONI. Vorrei soffermarmi un attimo sulla vicenda dell'errore e successivamente le farò altre domande, perché, in questi giorni, abbiamo cercato di comprendere come si sia potuta verificare l'irruzione nel centro stampa.
Lei per primo ci ha descritto come si è svolta la vicenda. Ci ha detto che quando vi siete allontanati, quando stavate decidendo come compiere la perquisizione, avevate addirittura una piantina (disegnata da chi aveva fatto il secondo sopralluogo, immagino il dottor Mortola) che indicava esattamente da dove si doveva arrivare, in modo tale che non ci si potesse confondere e si potesse compiere l'azione nel migliore dei modi. Mi risulta che l'edificio - come lei ha confermato - fosse addirittura prospiciente l'altra parte della strada; mi risulta anche che i venti agenti di polizia fossero entrati non dalla porta principale, quella che affaccia sulla strada, ma da una porta posta sul retro.
Non riusciamo a capire come possa succedere che venti persone guidate da un funzionario in un'azione che fino alla porta viene così ben organizzata vadano in un edificio addirittura diverso, mentre tutti gli altri 255 uomini (erano, infatti, in tutto 275) si dirigono da un'altra parte. Vorremmo capire bene come si sarebbe svolta la vicenda.


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Seconda questione: non mi pare che in quel luogo siano state tirate sassate, siano stati chiusi cancelli o portoni. Quindi è stato possibile entrare. Abbiamo appreso che, in quella circostanza, oltre ad essere state trattate in modo energico - come lei ha detto - alcune persone, sono stati anche rotti - è stato detto da altri colleghi - ma, soprattutto, sottratti hard disk, elenchi, denunce fatte dai legali e così via. Vorremmo sapere che fine ha fatto tutto questo materiale, dov'è andato a finire, se è stato restituito, se è da qualche parte. Se si comprende che è stato commesso un errore, si provveda immediatamente a risanarlo. D'altronde, lei ha detto di avere immediatamente inviato un collega, un suo sottoposto, al fine di interrompere l'azione che si stava compiendo; l'interruzione vi è stata, ma il materiale è scomparso. Quindi, vorremmo sapere che fine ha fatto, ammesso che si sia agito correttamente.
Un'ulteriore questione riguarda gli orari. Già il collega Bassanini è intervenuto sul punto. Abbiamo diversi orari che si accavallano e lei, per il mestiere che svolge, sa che molto spesso l'ora in cui si è verificato un fatto è importante per stabilirne le modalità. Ebbene, alcuni dicono che le cose sono cominciate - come lei ci ha riferito - alle 21,30; lo stesso ispettore che ha relazionato al ministro dell'interno, invece, parla delle 22,30. Un'ora di differenza dall'inizio della vicenda è assai importante per cercare di capire come sono andate le cose, per farci un'idea.
Sarebbe difficile pensare che in un'ora sola si sia potuto organizzare tutto quel complesso di attività, compreso il disegno della piantina, per poi arrivare a quella perquisizione e a tutto il resto. D'altronde, immagino che le relazioni siano precise a questo proposito.


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Inoltre, ieri ci è stato detto che non c'era alcuna cintura attorno all'edificio. Lei, invece, questa mattina, ha affermato che vi era una cintura per impedire che la gente scappasse: vuole essere più preciso a questo proposito?
Infine, lei ha parlato di «energia»: le pare energico il trattamento che è stato riservato a tre persone in prognosi riservata? Quanti erano gli agenti che sono entrati lì dentro come perquisitori? Ben 62 sono le persone colpite, anche in modo grave. Ammesso che 20 si fossero persi e che circa 120 o 130 fossero rimasti fuori a costituire le due cinture, poco più di 100 agenti saranno entrati a fare attività di perquisizione, ma anche attività «energica»! Per quanto tempo è durata quell'attività «energica» che ha colpito «energicamente» 62 persone?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Per quanto riguarda l'ingresso della polizia nella scuola ove era stato installato il centro stampa, mi richiamo a ciò che ho detto e cioè che non ho diretta cognizione delle fasi dell'irruzione, sia nell'uno che nell'altro istituto. Sicuramente non era previsto che si perquisisse anche il centro stampa. So - per averlo compreso ed averne avuto conferma successivamente - che chi vi entrò lo fece per errore. Non so se nella circostanza sia scomparso o sia stato danneggiato o sequestrato del materiale - non sono entrato per fare un sopralluogo, ma ho visto immagini televisive e filmati -, ma questo a me non risulta. Se sono stati commessi degli illeciti all'interno dell'istituto, spero vengano accertati. Non penso che sia stato sequestrato indebitamente del materiale perché se fosse stato così, questo sarebbe già stato restituito dall'autorità giudiziaria.
Per quanto attiene all'orario della perquisizione, ho letto gli atti, ho dei ricordi e ritengo che qualcuno nel redigere


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relazioni o rapporti di servizio abbia potuto fare un po' di confusione. Mi pare, anche per logica, che per gli orari possa far fede anche il rapporto di servizio del collega Mortola, che indica nelle 22,30 (più o meno) l'ora in cui svolse il sopralluogo.
Per quanto attiene alla mancata cinturazione (o ad una presunta mancata cinturazione), io so che essa era prevista. Quando sono giunto in prossimità del perimetro della scuola, in effetti - come ho detto poc'anzi - vi era personale dei carabinieri e della polizia che presidiava quel perimetro. Se poi, al momento dell'irruzione la cinturazione non vi è stata, questo non lo so, perché non c'ero. Però era stata prevista.
Per quanto attiene all'intervento «energico», ovviamente non posso condividere eventuali abusi che siano stati commessi nel corso della perquisizione. Ho detto semplicemente che, a fronte delle condizioni che si stavano realizzando - perché era palese che si stesse avvicinando una forza di polizia -, invece di chiudere un portone, evidentemente si sarebbe potuto anche consentire l'accesso, se non vi era nulla di male. Questo non vuol dire che vengano o possano in tal modo essere legittimati degli abusi; vuol dire che un'operazione di polizia va svolta in una certa maniera. Ciò, lo ripeto, non vuol dire assolutamente che un comportamento energico possa legittimare degli abusi da parte dei singoli.
GIANCLAUDIO BRESSA. Ringrazio il dottor Francesco Gratteri per il rigore delle sue risposte. Non tutti quelli che abbiamo ascoltato hanno avuto la serietà che lei sta dimostrando in questo momento. Lascerei perdere per un attimo la questione della scuola Diaz e tornerei sulla questione dei compiti dello SCO a Genova.
Nelle attività che lei ci ha illustrato, ha sottolineato che i compiti che vi erano stati affidati erano di bonificare la zona


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rossa e di renderla sicura. In queste attività, avete avuto contatti o azioni in comune con il ROS oppure si è trattato di due azioni completamente disgiunte? Dalle audizioni precedenti è emersa in maniera precisa la presenza della direzione centrale del ROS (il generale Ganzer ed altri). In questa attività, ci sono stati contatti o azioni comuni, oppure ciascuno ha agito per proprio conto?
La seconda domanda è la seguente: lei affermava che tra i compiti che le erano stati assegnati vi era anche quello di svolgere una capillare ed ininterrotta azione di controllo. Durante i giorni del vertice, questa capillare ed ininterrotta azione di controllo si è svolta esclusivamente nella zona rossa oppure siete stati impiegati anche al di fuori di essa? Lei ci ha testimoniato di aver condotto un'azione nella scuola Paul Klee, dove avete proceduto a degli arresti. Questo è avvenuto perché siete stati mandati là o perché si è trattato di un'azione di controllo che voi esercitavate al di fuori della zona rossa? E, se avete agito al di fuori della zona rossa, ci può illustrare l'attività svolta in quei giorni?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. I compiti di bonifica e di controllo investigativo comportavano un'attività finalizzata alla individuazione di eventuali insidie, all'interno della zona rossa, che potevano essere tante. Forse, l'esempio più semplice per rendere l'idea è quello di alcuni stabili con un doppio ingresso, uno che partiva dalla zona rossa e un altro dalla zona gialla (quindi al di fuori del perimetro). Inoltre, vi erano degli edifici disabitati - nei giorni del vertice o nell'immediatezza della celebrazione del vertice - che potevano essere indebitamente occupati da estranei, che avrebbero potuto compiere attività illecite.


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L'attività del Servizio centrale operativo, cioè l'attività di bonifica, si caratterizzava prevalentemente per questo. Io ho appreso della presenza del ROS e del generale Ganzer in particolare anche ascoltando l'audizione del colonnello Tesseri, se non vado errato. All'interno della zona rossa non mi consta che l'arma o il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri abbia svolto delle attività. Se lo ha fatto, io non ne sono a conoscenza. Si era convenuto che questo tipo di operazione fosse svolta soltanto dal Servizio centrale operativo. E il Servizio centrale operativo, al di là dei casi che ho indicato - i quali riguardano personalmente più me che il servizio - ha svolto, in via quasi esclusiva - direi esclusiva - la sua attività all'interno della zona rossa.
La disposizione di svolgere una perquisizione alla scuola Paul Klee è stata una mia iniziativa, perché ho visto e riscontrato direttamente che dal furgone bianco venivano distribuiti mazze e bastoni di ferro, per consentire lo svolgimento di attività illecite. Attraverso l'elicottero ho verificato che il furgone fu parcheggiato in quell'area. Non ho distolto, in quel momento, il personale del Servizio centrale operativo dalle attività che lo vedevano impegnato all'interno della zona rossa, ma ho chiamoto un funzionario della squadra mobile di Genova al quale ho dato l'incarico di svolgere la perquisizione, con altri agenti, di acquisire i materiali necessari e di compiere tutti gli atti del caso.
GIANCLAUDIO BRESSA. Quindi, è stata una sua iniziativa?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. È stata una mia iniziativa.
FABRIZIO CICCHITTO. La prima domanda è forse banale. Alla luce di quanto da lei affermato sulle funzioni svolte,


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concentrate sulla zona rossa - ci ha spiegato anche che lei non ha mai svolto funzioni di ordine pubblico bensì investigative - vorrei capire perché quella sera lei fosse alla Diaz. Aggiungo che evidentemente c'era un'attenzione particolare nei confronti della scuola perché si registra una singolare concentrazione di dirigenti di alto livello all'istituto Diaz.
Mi rendo conto che probabilmente lei non sarà in grado di fornire una risposta, visto ciò che ha detto in premessa, ma devo riproporre il quesito perché, su questa vicenda, rischiamo di vivere una situazione alla Rashômon nel senso che gli interrogativi fondamentali sul caso Diaz, ai quali il Comitato attende risposte sono due e ad essi può rispondere solo chi è entrato in campo.
Primo interrogativo: gli agenti entrati alla Diaz hanno incontrato una resistenza tale da giustificare gli scontri che si sono verificati, oppure sono entrati in una situazione di tensione e hanno picchiato indiscriminatamente persone che stavano nei sacchi a pelo? Queste due ipotesi sono molto diverse l'una dall'altra. Nessuno è stato in grado di fornire una risposta a questo interrogativo di fondo.
Il secondo interrogativo di fondo con il quale dobbiamo misurarci e non ipocritamente - perché lo abbiamo davanti al Comitato ed anche se non è stato esplicitato totalmente ieri tuttavia è negli atti presenti - riguarda il fatto che da relazioni di operatori del settore entrati con il nucleo mobile emerge sostanzialmente che essi sono stati preceduti da agenti in borghese non meglio identificati per ciò che riguarda i corpi di appartenenza, e che questi avrebbero proceduto allo scontro con coloro che stavano all'interno della scuola. È una questione di straordinaria importanza che ripropongo sotto forma di domanda, anche se non so se lei sarà in grado di rispondere.


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Terza domanda. È vero o meno che alla Diaz era stata approntata una sorta di infermeria che accoglieva coloro che non potevano essere ricoverati in ospedale perché incriminati per fatti precedenti?
Ultima questione: per ciò che riguarda il famoso centro stampa - la cui distruzione è stato un fatto negativo - emerge da varie testimonianze che Kovac, interpellato prima che l'azione avesse inizio, aveva dichiarato che il Genoa social forum non controllava più la situazione complessivamente intesa per ciò che riguardava la Diaz e annessi, compreso il centro stampa del Genoa social forum, che non era più quindi qualificabile come tale per l'ingresso di soggetti non controllati. Chiarire questo aspetto non è da poco anche tenendo presenti le discussioni e le polemiche che ci sono state.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Anche qui devo, purtroppo, distinguere, onorevole Cicchitto, ciò che mi consta personalmente per averne avuto cognizione diretta da ciò che mi è stato detto o da ciò che mi è stato possibile acquisire attraverso la lettura degli atti dei quali, ovviamente, per ragioni d'ufficio, potevo essere in possesso. Per ciò che attiene all'accesso alla Diaz - e, ripeto, non penso che le modalità e i tempi dell'irruzione siano lunghissimi in nessuna operazione di polizia, soprattutto in un'operazione di polizia che presenta queste particolari condizioni - ho letto di resistenza attiva opposta dai presenti. Ho letto, come ho detto prima, della presenza di un gruppo di persone nel cortile che, nel vedere la polizia giungere sul posto, si è rifugiato all'interno dell'istituto, chiudendosi dietro il portone. Ho letto - e questo mi è stato anche riferito personalmente dal poliziotto al quale l'incidente è occorso - che un agente del reparto mobile nel fare ingresso all'istituto, nel forzare evidentemente una stanza o qualcos'altro -


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quando già era sicuramente dentro l'istituto - ha subìto un accoltellamento (e il poliziotto ha mostrato a me e ad altri un giubbotto, un corpetto protettivo, tranciato proprio da un coltello). Ho visto - tant'è che mi sono trovato costretto, ed era la prima volta che lo facevo, ad indossare un casco protettivo - che vi è stato anche un lancio di oggetti dall'alto dell'istituto.
SAURO TURRONI. Lei è arrivato dopo?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Sì, sono arrivato dopo, ma sono ugualmente munito di un casco perché temevo che questo lancio potesse continuare. Non ho realizzato subito quale fosse la situazione, ma appena l'ho fatto mi sono regolato di conseguenza.
Non so dire nulla sulla presenza di agenti che si trovassero già all'interno dell'istituto prima dell'arrivo di coloro formalmente legittimati ad entrare. Posso dire che, per logica, mi pare strano, anche perché dentro, tutto sommato, vi erano 98 persone, sicuramente, non tutte animate da intendimenti di resistenza. C'erano, però, molti coltelli, due bottiglie molotov, delle mazze e dei bastoni. Non voglio superare il limite che mi è consentito, ma credo che, quanto meno per solidarietà, quando si vede una persona che sta per essere aggredita e bastonata sia naturale cercare di aiutarla. Tuttavia non intendo pronunciarmi perché non conosco i fatti, non ero presente e c'è un'inchiesta giudiziaria in corso che spero chiarisca questa vicenda.
Non mi consta personalmente - l'ho appreso da colleghi che me lo hanno riferito, per aver assunto delle testimonianze di iniziativa propria o delegata dall'autorità giudiziaria - che, all'interno di quella struttura venissero ricoverate persone che


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erano state ferite nel corso della manifestazione. Penso che questo atto sia stato trasmesso anche all'autorità giudiziaria...
FABRIZIO CICCHITTO. Questo vuol dire che una parte dei refertati non sono vittime degli scontri con gli agenti penetrati nell'istituto bensì di vicende precedenti. Si tratta di un'ipotesi.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Non sto dicendo questo, onorevole Cicchitto; ho premesso che non ho conoscenza diretta di questa vicenda. Mi è stato riferito da qualche collega, in una fase successiva a quella dell'intervento (quindi in una fase in cui vi sono già delle indagini in corso), di testimonianze di persone che avrebbero parlato della presenza di feriti all'intero della struttura, nei giorni precedenti. Altro non voglio e non posso dire, perché nulla mi risulta.
Per quanto riguarda il signor Kovac, penso che sia la persona contattata dal dottor Mortola; nella mia relazione ho riferito del contatto che il dottor Mortola ha avuto con un rappresentante del Genoa social forum, dal quale ha avuto le indicazioni cui lei si riferisce e che io ho riportato nella relazione.
ANTONIO SODA. Dottor Gratteri, leggo alcune risposte che ci ha dato ieri il dottor Canterini per quanto riguarda l'organizzazione. Faccio riferimento al resoconto stenografico della seduta di ieri e precisamente alle pagine 134 e 143, laddove il dottor Canterini sostiene che anche alcuni suoi uomini hanno visto fuggire persone dall'istituto perché mancava una cintura di protezione, mentre lei ha parlato di questi anelli costituiti dai carabinieri e dai reparti di prevenzione, organizzati in modo tale da consentire di svolgere l'operazione all'interno.


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Per quanto riguarda l'ingresso, cioè l'inizio delle operazioni, il dottor Canterini dice: «una volta aperto il cancello» - questo lo afferma in un primo momento, ma poi vedremo che si smentirà - «tutti, cioè il nostro reparto, il personale in borghese che usava la pettorina con la scritta »Polizia« e il personale del nucleo anticrimine, siamo entrati nel cortile della scuola». Per quanto riguarda i funzionari, il dottor Canterini dice: «qualcuno dei funzionari è entrato» - si riferisce a questa sequenza dell'inizio dell'operazione - «lo fece il dottor Luperi, il dottor Gratteri, il dottor Mortara, il dottor Mortola». È chiaro - ribadisce - che entrarono. Mentre lei, dottor Gratteri, dice di non essere entrato!
Successivamente, con riferimento a notizie di stampa e ad indicazioni di relazioni pervenute sulla presenza di altro personale di Polizia all'interno dell'istituto, quando è entrato il suo reparto, quindi già con interventi operati, richiesto di chiarire quale sia la sua ricostruzione di questa operazione, con riferimento, in particolare, al presunto ingresso del suo reparto, successivo ad altre forze, nella scuola, dichiara: «non posso né confermare né smentire».
In sostanza, le domande sono le seguenti: qual è la sua verità sulla dinamica dell'operazione? Quali reparti sono entrati, come sono entrati, con quale sequenza, chi erano i funzionari presenti? In particolare, vorrei sapere se, contrariamente a quanto emerso in un primo momento, ci fosse personale della prevenzione anticrimine, poliziotti in borghese, poliziotti solo con le pettorine - il dottor Canterini parla anche di personale con la divisa atlantica, con le magliette -, perché mettendo insieme relazioni, testimonianze, audizioni e dichiarazioni non si è capito assolutamente nulla.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Premetto, ancora una volta, onorevole


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Soda, che io sono arrivato sul posto in un momento in cui l'irruzione era terminata, nel senso che l'edificio era, per dirlo con parole mie - me lo consenta - presidiato dalla Polizia, sia all'interno che all'esterno. Sono entrato e mi sono fermato al piano terra, che - ricordo - presentava le caratteristiche tipiche di una palestra. Non ho visitato gli altri ambienti della scuola. Nel momento in cui sono entrato, ho incontrato il dottor Luperi, il dottor Mortola e il dottor Canterini. Tutto ciò che è avvenuto prima io, per mia conoscenza diretta, non ho avuto occasione di vederlo direttamente.
ANTONIO SODA. Lei capisce, le sequenze dell'operazione ....
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Questo non l'ho visto, non ero ancora arrivato, le riferisco ciò che era stato concordato preventivamente e cioè le modalità di accesso e l'ordine di accesso all'istituto, cioè quelle che ho indicato e che erano state concordate in sede di riunione tenutasi in questura. Se poi le cose siano andate diversamente, non lo so. Sicuramente non era stato richiesto al reparto prevenzione crimine di entrare nell'istituto; al reparto prevenzione crimine era stato chiesto di presidiare, dall'esterno, l'istituto, così come ai carabinieri era stato chiesto di occupare una zona retrostante rispetto a quella presidiata dal reparto prevenzione crimine.
FILIPPO MANCUSO. Prima di svolgere il mio intervento, vorrei un'informazione, spero definitiva, in ordine alla decisione dell'ufficio di presidenza circa l'eventuale audizione degli ispettori ministeriali, perché da questo dipendono le mie domande.
PRESIDENTE. Presidente Mancuso, l'ufficio di presidenza, riunitosi ieri sera, ha stabilito di non procedere ad ulteriori


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audizioni, ad eccezione di quella del generale Ganzer, convocato oggi alle ore 15, attesa la ristrettezza dei tempi a disposizione. Nel contempo, questa mattina ho firmato tre lettere di richiesta indirizzate ai tre ispettori del Ministero dell'interno affinché, qualora lo ritengano opportuno, ci inviino una relazione, in aggiunta al documento ispettivo che ci hanno fornito. Questa decisione è stata assunta ieri, con il consenso unanime delle varie componenti politiche rappresentate in seno all'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.
FILIPPO MANCUSO. Prendo atto di ciò con dispiacere e mi rivolgo al dottor Gratteri: lei ci ha fornito informazioni, sebbene senza indicare una precisa sequenza (che io e il collega Soda invece auspicavamo) circa lo svolgimento dell'operazione. Mi interessa però la fase antecedente, cioè quella che lei ha contrassegnato con la fase della decisione, dell'assenso all'operazione, pacificamente, di polizia giudiziaria che, secondo la sua relazione, sarebbe stata assunta negli uffici della questura in presenza di personaggi romani e quindi anche della sua persona. Dottor Gratteri, le chiedo puntualmente quanto segue: chi partecipò (se si tratta di ripeterlo, lo ripeta) alla discussione al riguardo? Quali organi di polizia giudiziaria erano presenti quando fu assunta la decisione? Tali organi hanno partecipato volitivamente alla decisione medesima? Quali persone erano incarnate in questi organi? Inoltre, quali furono gli elementi discussi, se lei ne percepì il contenuto, che portarono all'assenso? Chi formalizzò l'atto di polizia giudiziaria della cosiddetta perquisizione? Le chiedo ancora informazioni riguardo a questa decisione, sia prima della sua adozione formale - le ho rivolto la domanda sugli autori formali - sia dopo, come notizia, se e quale organo abbia comunicato tale decisione, e quando, al Comandante


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generale dei carabinieri. Le chiedo anche, in particolare, se il Comandante generale dei carabinieri sia stato interpellato telefonicamente o semplicemente notiziato e quando, da questa sorta di commissione o da altri, perché riguardo questa informazione abbiamo l'ammissione dello stesso Comandante generale. Domando quale possa essere stata la ragione per cui il Comandante generale ha mentito in questa sede, per poi lasciarsi smentire dal suo dipendente Tesser, asserendo che non vi fosse altro ufficiale superiore al colonnello Tesser a Genova in quel contesto, neppure giustificandosi con il pretesto che la domanda, che gli fu posta esattamente da me, si riferiva alla presenza di un ufficiale generale emanazione del comando generale. Questa menzogna è tanto più grave perché non solo era presente il generale Ganzer, ma egli era anche emanazione, essendo il comandante del ROS, proprio del comando generale. Si tratta di una menzogna di doppio livello: prima negazione, poi negazione rafforzata dal pretesto di una formula, secondo il Comandante generale, non felice, tanto è vero che nella sua lettera di smentita non affronta il problema; ma il ROS è emanazione del comando generale e quindi, comunque interpretata la mia domanda, ad essa ha fatto seguito un duplice livello di menzogna ed è grave che questo sia avvenuto da parte del Comandante generale di un'arma. Un'arma, non una persona, a cui va tutta la nostra stima e fiducia storica. Quando lei, dottor Gratteri, risponde al collega Soda dicendo di non poter stabilire la sequenza degli interventi, noi teniamo conto che lei ci ha fornito la sequenza teorica, quella stabilita; nella sequenza teorica in quale fase era previsto il suo personale intervento operativo, giacché esso comunque ebbe luogo?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. I dirigenti e i funzionari presenti presso


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l'ufficio del questore nel momento in cui chiamai il dottor Di Bernardini, che telefonicamente mi aveva anticipato ciò che era accaduto (ed al quale chiesi di venire in questura ad esporre ai presenti quanto si era verificato) erano, in ordine di grado e nel mio ricordo: io stesso, il prefetto Andreassi, il prefetto La Barbera, il questore di Genova, il dirigente superiore dottor Luperi, il dottor Murgolo, vicario della questura di Bologna; non ricordo se il dottor Mortola fosse presente in quel momento o se intervenne a richiesta del questore, ma sicuramente era presente in quella fase. Nel momento in cui entrò il dottor Di Bernardini, Canterini non era presente. Io rappresentavo il Servizio centrale operativo, il dottor Mortola rappresentava la DIGOS di Genova e tutti ci trovammo d'accordo sulla decisione, sull'opportunità di svolgere la perquisizione all'interno della scuola Diaz ...
FILIPPO MANCUSO. Anche La Barbera ?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Anche il prefetto La Barbera: tutti i presenti furono d'accordo sull'opportunità di svolgere la perquisizione all'interno del scuola Diaz (Commenti). Ovviamente, chiunque - chi più, chi meno - poteva esternare delle considerazioni di carattere tecnico: in quella circostanza non avevo ragioni, non essendo organico ad un servizio antiterrorismo o a quel tipo di investigazione, per esprimere considerazioni di carattere tecnico, sui possibili presenti o altro. Tutti ci trovammo d'accordo sull'opportunità di svolgere la perquisizione tanto che, perdonatemi se lo ricordo, l'atto di polizia giudiziaria eseguito, cioè la perquisizione ai sensi dell'articolo 41 del TULPS, non è stato invalidato dall'autorità giudiziaria, che ha pure convalidato il sequestro degli oggetti. In quella sede, venne preventivamente informato un magistrato della


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procura di Genova della decisione assunta; nel caso previsto dall'articolo 41 del TULPS non vi è obbligo giuridico da parte dell'ufficio di polizia giudiziaria di informare l'autorità giudiziaria: però, fu fatto.
Presidente Mancuso, tutto ciò che attiene ai rapporti e alle comunicazioni con il comando generale dell'Arma purtroppo non spetta né alla mia persona né alla mia funzione, e non ne sono neppure a conoscenza; non lo consideri uno sgarbo.
Per quanto riguarda la sequenza dell'intervento, il modo in cui le forze si dovevano predisporre per lo svolgimento dell'irruzione e della perquisizione (Commenti del deputato Mancuso)... L'attività conseguente allo svolgimento della perquisizione fu firmata in questo modo: l'informativa, dal dirigente della DIGOS, dal dirigente della squadra mobile, ed i singoli atti dai singoli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria intervenuti.
Per quanto attiene al personale dello SCO, esso doveva occupare il secondo livello, cioè quello rappresentato da coloro i quali dovevano svolgere le operazioni di polizia giudiziaria.
Quanto alla mia persona, non sono più un ufficiale di polizia giudiziaria. Ho ritenuto di essere presente, a fianco del mio personale, come faccio abitualmente per mia impostazione professionale. Per quella specifica attività penso che, tra personale di squadra mobile e personale dello SCO, fossero presenti circa settanta unità.
MICHELE SAPONARA. Le chiedo, dottor Gratteri, di precisare meglio, se le è possibile, la cronologia degli avvenimenti che hanno preceduto e determinato la decisione di procedere alla perquisizione della scuola Diaz. Vorrei sapere, in particolare, dopo che aveva effettuato l'intervento di sopralluogo richiesto dalla procura della Repubblica di Genova, a che ora lei sia stato informato della situazione, quando ha


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avuto, cioè, le prime notizie, che poi hanno portato a quella decisione.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Nel tardo pomeriggio di quel sabato si dispone lo svolgimento, così come ho precisato nella relazione, di alcuni pattuglioni, con il compito di svolgere una sorta di controllo preventivo o repressivo, di tipo dinamico del territorio e che, per quella circostanza specifica, rispetto alle altre forze sul territorio - essendo peraltro terminate le manifestazioni -, avevano proprio il compito specifico di svolgere sul territorio un controllo dinamico e agile, allo scopo di impedire che altri atti vandalici o di saccheggio potessero ripetersi. Da quel che ricordo, intorno alle 21,30, venni contattato telefonicamente dal dottor Caldarozzi, che era a capo di uno di questi pattuglioni, il quale mi spiega quanto era poc'anzi accaduto e cioè che si stava accingendo a svolgere un controllo presso una birreria dove era stato notato un gruppo di persone, verosimilmente identificabili come black bloc, e aveva chiesto aiuto per tale ragione ad un a pattuglione vicino. Risponde il dottor Di Bernardini, il quale si accinge a raggiungere il dottor Caldarozzi, cerca di raggiungere quella strada e percorre per caso via Cesare Battisti. A quel punto il dottor Caldarozzi e il dottor Di Bernardini mi chiamano ed io li invito a venire in ufficio per esporre quanto era accaduto, non essendo quella una mia materia specifica, giacché se si fosse trattato di delinquenti comuni probabilmente mi sarei assunto, nel rispetto delle competenze del collega del posto, una diversa responsabilità tecnica. Il dottor Mortola, leggendo gli atti, mi pare abbia effettuato il sopralluogo intorno alle 22,30.
MICHELE SAPONARA. Chi è il dottor Caldarozzi?


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FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Il dottor Caldarozzi è il vicedirettore del Servizio centrale operativo.
LUCIANO FALCIER. Mi associo anch'io, come mi pare abbiano già fatto altri colleghi, ai ringraziamenti rivolti al dottor Gratteri, non solo per i dati che ci ha fornito, ma anche per la precisione e la sicurezza delle sue risposte, certamente indice di professionalità e di efficienza nello svolgimento del suo lavoro. Ritengo che ciò ci sia di conforto e non solo per i lavori del Comitato.
Detto ciò, come lei sa, noi siamo qui per cercare di conoscere ciò che è veramente avvenuto, prima e durante il vertice del G8: se vi siano stati, in particolare, carenze, ritardi, responsabilità, provocazioni o iniziative volutamente violente e quant'altro. Sotto tale aspetto, mi soffermo su alcuni episodi in merito ai quali lei è, o dovrebbe essere, particolarmente informato. Uno di questi episodi è sempre il solito, cioè quello della perquisizione alla scuola Diaz e se anch'io vi ritorno sopra è perché, nonostante le notizie, nonostante gli approfondimenti, c'è ancora qualcosa di non chiaro, di complesso o, almeno da parte mia - non so se anche da parte del Comitato -, di difficile comprensione nel suo esatto svolgersi, non sotto il profilo teorico od organizzativo-programmatico, bensì sotto il profilo pratico.
Pertanto, la mia domanda è la seguente: c'erano una piantina o un grafico del fabbricato, degli edifici, nei quali siete entrati?
Inoltre, lei ha chiarito che non è arrivato tra i primi, perché non era sua competenza, però ad un certo momento - alla fine, o verso la fine - è entrato, se non ho capito male, al piano terra. In base a quello che lei ha potuto verificare, e fermi restando i vincoli o l'opportunità di rispettare quanto è


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stato detto all'autorità giudiziaria, può dirci cosa ha visto, in termini di materiale, di persone e di feriti in quei locali?
Non so se lei sa che in un commento in diretta al Tg3-RAI su quell'evento, era stato detto che vi potevano essere tre morti dei quali erano stati forse rimossi i corpi - l'ho personalmente sentito - e che vi erano giovani che stavano portandosi sul posto. Le chiedo se abbia mai sentito parlare di tutto ciò e se abbia notizia di quale sia stata la fonte del complesso delle informazioni della RAI.
Inoltre, lei ha chiarito che sotto la sua tutela vi era soprattutto la zona rossa, quindi la sicurezza dei Capi di Stato, delle delegazioni, così come dei genovesi e di Genova. Pertanto, lei ci conferma che la zona rossa non è stata violata? O meglio, non è stata violata perché non c'è stato nessun tentativo di violarla o perché voi lo avete impedito? Se lo avete impedito, a chi, in quali termini e in base a quale situazione di necessità?
Infine, lei ci ha chiarito che, per quanto di sua conoscenza, non risulta che nessun infiltrato, per capirci, collaboratore abbia cooperato ad aprire le porte per far entrare le forze dell'ordine nella scuola Diaz. Inoltre, in base a quanto le risulta, può escludere che nessuno, in altra forma, abbia collaborato all'interno dell'edificio della Diaz al buon esito della perquisizione o affinché avesse il suo corso regolare, legittimo, per i fini che vi eravate dati in questura?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. La ringrazio, prima di tutto, per le parole di apprezzamento. Nel risponderle, seguirò l'ordine di esposizione delle sue domande.
Esisteva, come ho detto per ciò che mi risulta e in base a quanto ho avuto occasione di vedere in occasione dell'incontro presso la sala riunioni della questura, una piantina che era


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stata redatta, mi pare sul momento, dal collega Mortola, la quale aveva il senso di spiegare agli altri le strade e il percorso che occorreva seguire per giungere sul luogo e, altresì, il modo in cui dividere i due gruppi che si stavano predisponendo per giungere sul posto secondo le modalità che ho indicato.
Non ricordo se la piantina prevedesse la collocazione virtuale dei due edifici, però può darsi che una piantina sia stata rimessa agli atti del fascicolo processuale.
Per quanto riguarda ciò che ho visto direttamente al momento in cui sono entrato nell'istituto scolastico, ricordo bene che nel grande salone sulla sinistra vi erano persone bloccate dalla polizia, nel senso che qualche poliziotto le stava controllando, e tra queste qualche persona era visibilmente ferita. Nel frattempo altri individui, alcuni dei quali feriti, venivano accompagnati ai piani superiori: mi adoperai, quindi, con altri affinché venissero subito fatte confluire sul posto delle autoambulanze.
Spero di chiarire una volta per tutte - almeno per ciò che mi riguarda, senza alcuna presunzione - la questione dei morti. Il collega, che ho riconosciuto attraverso i filmati, al quale ho dato incarico di assumersi la responsabilità dell'atto di polizia giudiziaria della perquisizione - in quanto ovviamente vi era un po' di confusione - e che aveva il compito di repertare ciò che era stato reperito all'interno dell'istituto, portava all'interno del sacco soltanto il materiale che era stato sequestrato. Credo di essere, oltre che un poliziotto, un funzionario dello Stato e penso, sia per ciò che mi riguarda sia per ciò che riguarda gli altri colleghi che stavano sul posto, che se vi fosse stata qualche scomparsa - per così dire - o fosse accaduto qualcosa di più grave (si diceva morti o feriti) ognuno di noi, secondo un criterio di coscienza non solo professionale ma anche umana e personale, sarebbe sicuramente


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andato da un magistrato, oltre che dai superiori, a riferire e ad accertare ciò che era successo. Non mi risulta che si possa dare credito a chiacchiere del genere. Ribadisco (e spero che sia chiaro: per ciò che mi riguarda è chiarissimo) che nel sacco, ripreso dalle immagini diffuse dai mezzi televisivi, vi era soltanto materiale repertato e sequestrato in quella occasione.
I compiti che allo SCO erano stati assegnati per il controllo della zona rossa - come spero di aver chiarito nell'ordinanza - non attenevano alla materia dell'ordine pubblico. Lo SCO aveva il compito di svolgere un controllo investigativo della zona rossa, nel senso di individuare - come ho detto prima - possibili insidie e pericoli. Se vi fosse stato un attacco alla zona rossa, lo SCO non avrebbe dovuto respingerlo, ma gli investigatori dello SCO avrebbero dovuto segnalare l'eventuale attacco (in quanto avevano anche tale compito di osservazione) ai responsabili dell'ordine pubblico che erano all'interno della zona rossa, così come era previsto.
Per quanto attiene alla questione dell'infiltrato, purtroppo richiamo quanto già detto: se ragiono per logica, lo escluderei, ma, per quanto attiene alla mia cognizione diretta, non ho assolutamente notizia di appartenenti alla Polizia di Stato o ad altre forze dell'ordine che potessero essersi nascosti, di propria iniziativa o comandati, all'interno dell'istituto.
KATIA ZANOTTI. Dottor Gratteri, vorrei tornare su una questione che è già stata affrontata da altri colleghi, in quanto penso che rivesta una rilevanza assai importante. Dagli atti a nostra disposizione risulta che nel cortile davanti alla scuola vi fosse numeroso personale in borghese con pettorina della polizia, ubbot, sfollagenti, e personale in divisa atlantica. Risulta soprattutto che il personale con pettorine portava, nella quasi totalità, fazzoletti che coprivano parte del volto.


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Risulta inoltre che vi fu una fortissima pressione per entrare nella scuola Diaz e che tale pressione proveniva in modo particolare dalla presenza massiccia degli agenti in borghese. Le chiedo, dottor Gratteri, di farci sapere - glielo hanno già chiesto altri colleghi- di quali corpi facesse parte tale gruppo di agenti in borghese, sempre che sia nelle condizioni di dircelo per quanto è a sua conoscenza e che intenda dircelo.
Le chiedo, inoltre, se può descriverci la divisa atlantica, in quanto ne sentiamo parlare da giorni ma personalmente non ho ancora capito: ho sentito parlare solo di una maglietta con maniche corte. Le chiedo, infine, se ci può dire - glielo ha già chiesto l'onorevole Mascia ma non ha avuto risposta, e sono interessata anch'io - quali erano le divise degli agenti che hanno operato alla Diaz.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Per ciò che attiene, onorevole Zanotti, alla presenza dei vari organismi della Polizia di Stato all'esterno della scuola, all'esterno del perimetro e della cancellata, penso di ricordare bene la scena. Ricordo anch'io che vi erano poliziotti con il corpetto della Polizia di Stato - noi lo chiamiamo fratino identificativo - che al personale del Servizio centrale operativo e al personale delle squadre mobili (che operano abitualmente in borghese) con funzioni di polizia giudiziaria era stato imposto in base ad una mia ordinanza: infatti non era consentito ad alcun poliziotto all'interno della zona rossa di circolare senza un segno visibilmente identificativo. Ho l'ordinanza qui con me: al personale era stato imposto di indossare il giubbotto identificativo con la scritta Polizia...
MARCO BOATO. Cos'è l'ubbot?


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FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. L'ubbot è un casco. Ritengo che il fazzoletto - così ho avuto modo di vedere attraverso qualche filmato televisivo - sia stato utilizzato dal personale della polizia dal momento in cui sul posto sono giunti gli strumenti televisivi. Quest'ultimi sono arrivati non più di 5 o 10 minuti dopo l'inizio delle operazioni.
Per quanto attiene alle divise, quella atlantica è costituita da un pantalone ed una camicia, ed è diversa dalla divisa che indossano i poliziotti inquadrati in reparti di ordine pubblico, che è tutta di un colore (una sorta di tuta). La divisa atlantica è indossata dal personale del servizio controllo del territorio, cioè quei servizi che svolgono attività di controllo preventivo sul territorio.
GRAZIELLA MASCIA. Con le maniche lunghe?
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. D'estate sono previste maniche corte.
PIERLUIGI PETRINI. Signor presidente, dottor Gratteri, se non ho frainteso, lei ha detto di aver visto alcune persone nel cortile della scuola che, all'arrivo della polizia, si sono ritirate all'interno della stessa chiudendo il portone.
Ha poi affermato di aver dovuto indossare lei stesso un casco per ripararsi dalla pioggia di oggetti lanciati da coloro che erano all'interno della scuola; di seguito, ha detto di essere sopraggiunto sul luogo della perquisizione in un momento successivo al culmine degli eventi, quando l'edificio era presidiato - lei così lo definisce - dalla Polizia. Non riesco a comprendere la coerenza di queste diverse affermazioni (può darsi che «presidio» voglia dire qualcosa di diverso da ciò che immagino).


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Lei riporta poi una voce secondo la quale all'interno della scuola sarebbero stati portati numerosi feriti: ciò lascerebbe intendere che all'interno della stessa funzionasse una sorta di ospedale clandestino. Questo naturalmente giustificherebbe il fatto che molte delle persone poi arrestate sul luogo presentassero lesioni traumatiche. Tale fatto, che sicuramente è un elemento dirimente rispetto a molte questioni, non dovrebbe essere difficile da acclarare: pertanto vorrei sapere da lei se tra le persone arrestate all'interno della scuola vi fossero soggetti che avevano ricevuto un trattamento medico che andasse al di là del ricorso a pomate o cerotti (e che mostravano quindi suture o altre medicazioni professionali) e se tra gli oggetti sequestrati all'interno dell'edificio vi fosse materiale sanitario, quali trousse chirurgiche o kit di sutura.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Senatore Petrini, vorrei fare una precisazione: ho detto di aver appreso che all'interno del cortile, al momento dell'arrivo della Polizia, erano presenti alcune persone, le quali hanno poi trovato rifugio all'interno dell'istituto chiudendo la porta dietro di loro. Ciò mi è stato riferito: non l'ho constatato personalmente in quanto, lo ripeto, non ero presente in quella fase. Mi pare di averlo letto o di averlo ascoltato anche dal prefetto La Barbera durante la sua audizione.
Ho indossato il casco protettivo nel momento in cui sono arrivato, perché mi era stato detto (- che, tra l'altro, mi fu portato dal mio collaboratore -) che si era verificato un lancio di oggetti al momento della perquisizione: vi era quindi il timore, la possibilità che tale lancio proseguisse. Infatti all'esterno dell'istituto vi erano condizioni che definirei precarie per l'ordine e la sicurezza pubblica a causa di ciò che stava accadendo.


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Per quanto attiene ai feriti all'interno dell'istituto, vorrei ricordare che su tale vicenda è in corso un accertamento da parte dell'autorità giudiziaria. Ribadisco quanto già detto, cioè di aver appreso da qualche funzionario, in una fase ovviamente successiva ai fatti, della presenza di testimoni che riferirebbero della sussistenza di tali circostanze. Non so se tra i feriti di quella sera vi fossero persone eventualmente ferite in momenti precedenti. Non ho detto questo e non voglio assolutamente che sulla base delle mie parole si possa ipotizzare una cosa del genere, perché voglio essere assolutamente «asettico» su questo argomento. Posso solo ribadire di aver appreso da un funzionario che vi sarebbero testimoni (uno o più di uno) che avrebbero riferito circostanze del genere. Questo, se mi consente, non è comunque un fatto sul quale vorrei addentrarmi, in quanto è oggetto di un accertamento giudiziario in corso.
GIANNICOLA SINISI. Saluto e ringrazio il dottor Gratteri. Non siamo qui per formulare complimenti, ma per svolgere un'indagine: ciò nondimeno, credo di avere il dovere, assieme ai colleghi che mi hanno preceduto, di esprimere l'apprezzamento per il rigore, non soltanto formale, con cui lei ha esposto l'andamento dei fatti. Purtroppo anch'io debbo sottolineare che in precedenza altri non sono stati egualmente rigorosi come lo è stato lei.
Innanzitutto vorrei fare una precisazione, che credo sia utile venga conosciuta anche dagli altri componenti del Comitato, circa il ruolo del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, che svolge ormai da qualche anno compiti di mero coordinamento delle squadre mobili e di supporto tecnico-logistico. La responsabilità operativa, se non vado errato, è quindi dei reparti territoriali, cioè delle squadre mobili. Ciò con riferimento agli atti della Polizia giudiziaria e,


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nel caso di specie, della squadra mobile e del responsabile della DIGOS (così come lei ha chiaramente esposto).
Ciò detto, le vorrei porre le seguenti domande: innanzitutto, vorrei sapere se il dottor Canterini era presente nel momento in cui fu presa la decisione relativa alla pianificazione operativa della perquisizione, cioè quando venne specificato chi dovesse fare che cosa, nella fase finale dell'incontro tenuto nella sala riunioni della questura. In secondo luogo - credo che lei lo abbia già detto - le volevo chiedere se lo stesso reparto mobile accompagnò il funzionario della DIGOS alla scuola Diaz quando si doveva effettuare la perquisizione. Mi sembra infatti di aver capito che fosse lo stesso reparto mobile a dover accompagnare il funzionario della DIGOS.
Al Comitato è stato poi riferito della presenza di due ufficiali dei carabinieri durante la pianificazione operativa: volevo sapere - così fornisco un aiuto sull'argomento al presidente Mancuso - se lei si ricorda chi fossero questi due ufficiali. Infine, volevo sapere se tra i sessanta uomini che dipendevano da lei a vario titolo, anche se non direttamente, qualcuno sia rimasto contuso durante la perquisizione.
FRANCESCO GRATTERI, Direttore del Servizio centrale operativo-Criminalpol. Il dottor Canterini era certamente presente nella fase ultima della riunione, quando già l'atto deliberatorio era intervenuto e quando si stavano determinando le modalità di partecipazione alla perquisizione. Per maggiore chiarezza ricordo che il dottor Canterini, nel momento in cui si stava valutando, come svolgere la perquisizione, propose l'utilizzo dei lacrimogeni, ma fu immediatamente «stoppato» dal prefetto La Barbera.
Ricordo poi che il dottor Mortola - su questo punto lo stesso può essere più preciso; non vorrei dire inesattezze, ma questi sono i miei ricordi - avrebbe dovuto fare da guida al


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reparto mobile per giungere sul posto, così come un altro funzionario della DIGOS avrebbe dovuto guidare l'altro contingente che doveva raggiungere la scuola Diaz. Confermo la presenza, mi sembra, di due sottotenenti o tenenti dell'Arma, che ritengo fossero preposti al contingente dei carabinieri che doveva assumere la posizione che ho detto, cioè l'ultima tra i vari anelli che dovevano costituire il fronte dell'intervento. Tra il personale del comparto squadre mobili - SCO mi risulta vi siano stati un paio di contusi: penso si tratti di appartenenti alle squadre mobili che erano state aggregate al mio ufficio, ma in questo momento non so dire chi siano né a quale ufficio specifico appartengano.
PRESIDENTE. Dottor Gratteri, la ringrazio, anche a nome dell'intero Comitato, per le sue risposte e dichiaro conclusa l'audizione.
Sull'ordine dei lavori.
MARCO BOATO. Vorrei sottoporre alla sua attenzione due questioni. Nel corso dell'audizione del colonnello Tesser avevo rivolto una domanda al medesimo chiedendogli una ricostruzione dettagliata dell'impiego dei reparti dei carabinieri nel primo pomeriggio di venerdì 20 (momento delicato e cruciale). Il colonnello si è riservato di farlo tempestivamente. Al termine dell'audizione, mentre si allontanava, è venuto a salutarmi, dicendomi anche di lasciargli qualche ora di tempo per riposare prima di rispondere. Poiché, da allora, è trascorso qualche giorno, le chiedo se si possa garbatamente sollecitare questa ricostruzione.
La seconda questione che vorrei segnalare è la seguente: su alcuni giornali di oggi, il Resto del Carlino, La Nazione, il


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Giorno, Il Secolo XIX e la Repubblica, viene ricostruito un aspetto della testimonianza del dottor Canterini in relazione al contatto che ha avuto con l'avvocato Taormina. Il dottor Canterini ci ha detto di non aver lasciato alcun documento all'avvocato Taormina (lo qualifico così poiché il dottor Canterini lo ha contattato in questa veste), mentre il sottosegretario Taormina ha dichiarato ai giornali di aver ricevuto i documenti in questione dal dottor Canterini e di averli immediatamente trasmessi alla procura della Repubblica; «in serata», come viene riportato dai giornali, che ho citato prima, il dottor Canterini ha dichiarato di avere sbagliato a riferire a noi e di aver dato quei documenti. Sarebbe opportuno che lei, a nome del Comitato, in base alle notizie giornalistiche sulle quali dobbiamo basarci sollecitasse il dottor Canterini a segnalare le eventuali correzioni che volesse apportare alla sua relazione poiché a noi ha detto una cosa non vera.
PRESIDENTE. Provvederemo in tal senso.
Audizione del dottor Valerio Donnini, della Direzione centrale affari generali-dipartimento di pubblica sicurezza.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Valerio Donnini, funzionario della direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.


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La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio il dottor Valerio Donnini e lo invito a riferire. Ci scusiamo per il ritardo ma avrà compreso che i lavori di questo Comitato hanno tempi abbastanza ristretti.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Signor presidente, in relazione alla convocazione pervenutami, ho ritenuto di redigere una memoria, che consegno al Comitato, in ordine agli argomenti sui quali ritengo presumibilmente di essere ascoltato da questo spettabile Comitato da lei presieduto.
Al termine del corso di alta formazione svolto presso la scuola di perfezionamento per le forze di polizia, in data 28-12-2000, con l'ordinanza del 28 dicembre 2000 del Capo della Polizia fui assegnato alla direzione centrale per affari generali della Polizia di Stato in qualità di consigliere ministeriale aggiunto, con la funzione di effettuare la riorganizzazione dei reparti mobili e di accordare l'attività con quella della direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale.
In funzione del mandato conferitomi, sono stato interessato ad un progetto di riassetto organizzativo dei reparti mobili e di riqualificazione operativa del personale degli stessi per adeguarli alle nuove, mutate esigenze nei servizi di ordine pubblico. Il progetto, ormai datato, risale infatti, ad un gruppo di lavoro costituito con decreto del 16 giugno del 1999 e presieduto dal direttore generale centrale per gli affari generali pro tempore, su input dell'allora vicecapo della Polizia vicario,


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prefetto De Gennaro. Si evidenziava, infatti, come i reparti mobili avessero subìto, nel corso degli anni, una progressiva diversificazione di impiego. Snaturati dalla loro originaria funzione, potevano definirsi i serbatoi di personale cui attingere per lo svolgimento dei servizi più vari, caratterizzandosi sempre meno come reparti di ordine pubblico.
Successivamente, nel settembre 2000, ebbi l'incarico di presiedere un gruppo di lavoro e di effettuare un monitoraggio sulle tecniche di intervento e sulle dotazioni utilizzate, in occasione di servizi di ordine pubblico, dalle principali forze di polizia dell'Unione europea. Ricordo che l'attività di screening, richiesta dal capo della Polizia ed affidata per l'organizzazione alla direzione centrale della Polizia di prevenzione, il cui direttore centrale all'epoca era il prefetto Ansoino Andreassi, riguardò le realtà di Londra (con riferimento alla polizia metropolitana), Colonia (con riferimento alla stessa città e al Land di appartenenza), Parigi (con riferimento al servizio centrale delle compagnie repubblicane di sicurezza) e Madrid (con riferimento al servizio centrale di unità di intervento della Polizia, da cui dipendono le unità destinate, in via esclusiva, ad espletare i servizi di ordine pubblico nelle aree di propria competenza).
Dalla disamina di quelle realtà si constatò che i suddetti paesi disponevano generalmente di reparti per il mantenimento dell'ordine pubblico costituiti da specialisti rigorosamente selezionati ed addestrati, in considerazione dell'estrema rilevanza attribuita ai servizi di specie. Anche in materia di equipaggiamento del personale si registrò una netta superiorità di quegli organismi. Tutto ciò fu oggetto di un elaborato che presentai nell'ottobre 2000 al direttore centrale per gli affari generali della Polizia di Stato dell'epoca e che, se lei mi consente, signor presidente, vorrei che fosse allegato agli atti.


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Ciò posto, ritenuto di interesse quanto rappresentato, l'allora vicecapo della Polizia vicario sottopose all'attenzione del capo della Polizia (nel frattempo è cambiato il Capo della Polizia) alcune considerazioni finali, con relative proposte, allo scopo di procedere ad una riorganizzazione dei reparti mobili, tenendo conto anche delle esperienze maturate in altri paesi dell'Unione europea.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIAN FRANCO ANEDDA
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Al riguardosi auspicava: la costituzione presso i reparti mobili di unità specializzate polivalenti per l'impiego nei servizi di ordine pubblico più impegnativi; la ridefinizione del complesso delle dotazioni tecnico-logistiche necessarie ai reparti mobili, in relazione alle nuove. mutate esigenze di impiego; la massima attenzione all'addestramento, con la previsione di tre livelli formativi: un primo livello basico, da effettuarsi presso gli istituti di istruzione da parte di tutti gli allievi agenti; un secondo livello avanzato per gli operatori di ciascun reparto mobile ed un terzo livello, ancora più qualificato, per gli appartenenti alle unità specializzate; elaborazione di metodologie operative adeguate ai vari schemi delle manifestazioni, provvedendo anche al costante aggiornamento delle stesse; l'opportunità di individuare uno specifico campus addestrativo a livello nazionale; l'unitarietà di gestione e di indirizzo, attraverso una riqualificazione del ruolo della direzione centrale per gli affari generali cui sarebbe dovuta competere la gestione integrale dei reparti mobili, attualmente affidata, ai fini dell'impiego imperativo, ad altra struttura del dipartimento.


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Sulla base di tali pregresse esperienze, l'attuale direttore centrale per gli affari generali della Polizia di Stato ha ritenuto di avviare un'articolata attività di rivisitazione delle problematiche strutturali dei reparti mobili, incaricando lo scrivente di effettuare visite conoscitive presso tutti i reparti e finalizzate a rilevare, in modo sistematico e puntuale, le eventuali disfunzioni degli uffici, allo scopo di disporre di ogni utile elemento valutativo ad elaborare un quadro omogeneo di proposte innovative da sottoporre al capo della Polizia. Sino ad ora le visite hanno riguardato i reparti di Roma, Napoli, Firenze, Milano, Torino e Bologna.
Per tale necessità, nel febbraio scorso, fu costituito un gruppo di studio, nell'ambito della direzione centrale per gli affari generali della Polizia di Stato, composto da funzionari di servizi dipendenti, fra i quali il sottoscritto, funzionari della direzione centrale della polizia di prevenzione, della direzione centrale di sanità, dell'ufficio ordine pubblico, nonché da alcuni dirigenti di reparto mobile, allo scopo di fissare, in tempi brevi, gli elementi essenziali di tali linee di intervento.
Mi scuso con l'autorevole Comitato, ma ritengo che tale premessa sia necessaria per illustrare il contesto nel quale, a questo punto, si inseriscono le iniziative e le attività relative al vertice internazionale del G8, avviate o svolte dalla direzione centrale per gli affari generali della Polizia di Stato e finalizzate a fronteggiare adeguatamente le esigenze dettate dall'importanza dell'evento in argomento.
Tengo a sottolineare infatti che si tratta di iniziative intraprese indipendentemente dal vertice dei paesi aderenti al G8, anche se, naturalmente, la prospettiva dell'importante avvenimento internazionale è valsa ad imprimere ulteriore impulso all'intera attività.


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Il costante e intenso monitoraggio della attività delle parti, cui in precedenza ho fatto riferimento, aveva evidenziato un incremento di feriti e contusi tra il personale operante, a seguito di incidenti verificatisi sia in occasione di eventi calcistici sia in quella di grandi manifestazioni di piazza.
Si era pertanto percepito un inasprimento del clima degli scontri e la preordinazione di veri e propri attacchi alle forze di polizia; tra l'altro, emergeva chiaramente che tifoserie violente e gruppi estremisti avevano ormai sviluppato tecniche specifiche per fronteggiare le forze dell'ordine, impiegando sistemi di protezione, materiali e mezzi di offesa di notevole efficacia. Al riguardo, mi riferisco non soltanto all'impiego di scudi in plexiglass, di caschi integrali, di protezioni sotto le tute, ma anche all'uso di bombe carta di notevole potenza, bombe molotov ed altro. Da qui nascono la necessità e le iniziative intraprese, sotto il profilo addestrativo.
L'elemento su cui ritengo doveroso focalizzare l'attenzione di questo Comitato è costituito dalla circostanza per la quale, dopo un prolungato periodo di pace sociale che aveva avuto inizio nella prima metà degli anni ottanta, fin dalla primavera del 2000 si erano verificati in più circostanze scontri con i dimostranti, in occasione di manifestazioni di natura politica, preceduti già dai noti disordini seguiti all'ingresso in Italia del leader curdo Ocalan (faccio riferimento ai fatti di piazza della Repubblica).
Questo fu il primo campanello di allarme cui seguirono numerosi altri episodi, in una vera e propria escalation di violenza: mi riferisco, anche se non in ordine cronologico, al vertice di Napoli, agli scontri di Brescia, ai fatti di Bologna e ai disordini causati dalla presenza a Roma del governatore della Carinzia. Tutto ciò aveva reso evidente una certa


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impreparazione dei nostri reparti nel fronteggiare situazioni di tale natura, proprio dettata da una perdita di abitudine nell'affrontare contestazioni di tale entità.
In tale ottica, si evidenzia come siano stati avviati per tutti i reparti mobili cicli di addestramento intensivi, presso il campo scuola di ponte Galeria, finalizzati soprattutto al raggiungimento degli obiettivi di adozione di protocolli omogenei, nello schema di intervento, e dell'uniforme adeguamento delle nuove tecniche operative di difesa e di contrasto.
Al riguardo, è stata altresì richiamata l'attenzione sull'esigenza di assicurare un ordinato impiego delle forze di polizia nei servizi di ordine e sicurezza pubblica, con specifico riferimento alla necessità della precisa conoscenza e dell'uniforme osservanza delle procedure concernenti l'utilizzo dei mezzi in dotazione.
In generale, l'obiettivo della formazione è stato quello di realizzare le condizioni per migliorare sia la sicurezza degli operatori sia l'efficacia, mai disgiunta dall'equilibrio, di ogni intervento. Nel particolare, si segnala che, a partire dal mese di aprile e sino al mese di giugno, sono stati predisposti cicli di addestramento, innanzitutto, per 65 formatori, appartenenti ai Reparti mobili, e 30 formatori provenienti dalle scuole allievi agenti, al fine di fornire omogenei ed aggiornati insegnamenti sulle tecniche di base di ordine pubblico ai frequentatori del corso.
Nella circostanza, fu costituito un gruppo di lavoro presieduto dal sottoscritto, che procedette all'elaborazione di uno studio finalizzato ad uniformare i concetti tecnico-tattici di impiego delle unità organiche nei servizi di ordine pubblico, individuando, tra l'altro, comuni protocolli relativi ai compiti, all'armamento, all'equipaggiamento, alla motorizzazione,


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nonché alla attività addestrativa di base. Ho portato con me tale manuale, che può essere interessante acquisire agli atti.
Si è quindi passati ad avviare a più specifici cicli addestrativi circa 3 mila dipendenti dei Reparti mobili, suddivisi in unità organiche, ai quali si sono inoltre aggiunte aliquote del personale del Corpo Forestale dello Stato - impiegate, come si ricorda, a fianco delle altre forze dell'ordine nell'opera di tutela della zona rossa -, realizzando così quell'importante fattore di omogeneità di impiego dei contingenti, non soltanto della stessa forza di polizia, ma anche di forze di polizia diverse.
In vista dell'impegno per il G8, hanno inoltre preso parte ai cicli addestrativi, in qualità di osservatori, circa 200 funzionari che avrebbero dovuto operare sul teatro delle operazioni a Genova, allo scopo di far loro conoscere esattamente le potenzialità operative ed i protocolli di intervento omogenei che i reparti sarebbero stati chiamati ad attuare.
Nel campo scuola di ponte Galeria, inoltre, l'11 giugno ultimo scorso è stata realizzata un'apposita simulazione di intervento, articolato su più ipotesi operative, alla quale hanno assistito tutti i funzionari delle questure, Genova ed altre, e dei reparti che sarebbero stati impegnati in occasione del vertice genovese. A tale programma formativo hanno preso parte anche ufficiali e personale dei battaglioni mobili dell'Arma dei carabinieri, proprio nell'ottica di conferire omogeneità agli schemi di intervento dei contingenti delle varie forze di polizia e di prepararli così ad operare in modo organico e compatto in ogni situazione.
Analoga iniziativa è stata presa il 29 giugno dall'Arma dei carabinieri, che ha predisposto anch'essa una simulazione di intervento presso la Scuola marescialli di Velletri.


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Sempre nel quadro delle attività addestrative e formative, si sono poi tenuti diversi incontri interforze, nei giorni 6 e 24 aprile, 18 e 19 giugno ultimi scorsi, nel corso dei quali funzionari della Polizia di Stato ed ufficiali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza si sono confrontati ed hanno ampiamente dibattuto in ordine a varie tematiche connesse ai problemi di ordine pubblico emersi all'indomani degli incidenti accaduti nel corso delle più recenti manifestazioni antiglobalizzazione di livello internazionale. Ricordo che la prima di tali riunioni fu presieduta dall'allora vicecapo della polizia, prefetto Andreassi.
La particolare attenzione riservata al momento addestrativo è altresì testimoniata dal fatto che, nella città di Genova, è stato inoltre curato un sopralluogo congiunto di tutti i funzionari ed ufficiali impiegati nei servizi di ordine pubblico, protrattasi dal giorno 11 al giorno 14 dello scorso luglio, per una preventiva visione diretta e comune di quelli che sarebbero stati i luoghi in cui operare.
Parlerò adesso della sperimentazione, nell'ambito del I reparto mobile di Roma, del nucleo specializzato per l'ordine pubblico. Se il Comitato mi consente, vorrei compiere un passo indietro nella mia esposizione e fare riferimento all'attività ricognitiva svolta a suo tempo presso le polizie estere.
Nell'occasione, si evidenziò come uno dei punti qualificanti del dispositivo di intervento per l'ordine pubblico in altri paesi, nello specifico in Francia ed in Germania, fosse rappresentato dalla presenza di unità specializzate antisommossa.
Si tratta di squadre particolarmente equipaggiate ed armate che hanno il compito di fronteggiare azioni assai rischiose. Prima, ed indipendentemente dal vertice G8 di Genova - ricordo quanto già detto sul contenuto delle proposte fatte dal vicecapo della Polizia vicario al capo della Polizia, laddove si


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fa riferimento alla costituzione di unità specializzate e polivalenti -, detta iniziativa naturalmente ha trovato ulteriore impulso nella prospettiva dell'importante vertice internazionale in questione. Così, all'interno del I reparto mobile di Roma, il settimo nucleo fu rimodulato in nucleo sperimentale per gli interventi di ordine pubblico, unità specializzata ad intervenire in situazioni particolarmente delicate per l'ordine e la sicurezza pubblica. L'ottica è quella di poter disporre di un'unità polivalente altamente specializzata nei servizi di ordine pubblico, nella quale far confluire personale qualificato, adeguatamente attrezzato ed opportunamente addestrato. Al riguardo, sono stati quindi individuati i requisiti e le modalità di accesso degli appartenenti alle unità, i metodi di selezione, i percorsi di formazione, la tipologia di addestramento, il tutto partendo da una premessa fondamentale.
Gli psicologi ed i tecnici che hanno preso parte ai lavori hanno infatti evidenziato quanto fosse essenziale evitare che si addivenisse alla costituzione di un nucleo di persone, per definizione di elite, completamente avulso dal reparto istituzionalmente deputato ai servizi di ordine pubblico e dalle sue attività, proprio per evitare che le persone prescelte potessero coltivare stati di esaltazione e senso di superiorità pericolosi per gli obiettivi da realizzare. Partendo da questo assunto, il gruppo di studio ha avanzato la proposta di costituire il nucleo in argomento quale aliquota di personale all'interno del reparto, selezionandola fra coloro che ne fanno già parte e di prevederne la partecipazione in tutti i compiti istituzionali dello stesso, oltreché il ricorso in quei casi di specifiche esigenze per i quali è stato appositamente costituito. L'aspetto che si è così inteso sottolineare riguarda la possibilità, per tutti i dipendenti effettivi di ogni reparto, in possesso dei requisiti psicofisici attitudinali, di entrare a far parte dell'aliquota


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specializzata, se non in prima assegnazione, in un secondo momento, in fase cioè di sostituzione o di integrazione. Con questa significativa premessa è stata dunque istituita all'interno del I reparto mobile di Roma, la prima unità sperimentale specializzata per l'ordine pubblico, composta, su base volontaria, interamente da personale effettivo del citato reparto, rigorosamente selezionato, tanto che su 179 domande presentate, tolti alcuni elementi che, pur selezionati, hanno rinunciato all'incarico, le persone ritenute idonee sono risultate 78. I candidati sono stati selezionati in base al possesso di particolari requisiti di natura esclusivamente psicofisica e attitudinale, ritenuti fondamentali per fronteggiare situazioni di estrema delicatezza e ciò sia sotto il profilo della preparazione professionale ed atletica, sia soprattutto sotto quello dell'equilibrio emotivo e della capacità di autocontrollo e di gestione della propria impulsività ed aggressività.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali - dipartimento pubblica sicurezza. A tale scopo, sono stati definiti alcuni parametri di età, di altezza minima, di buon comportamento in servizio, di capacità atletiche, di requisiti psichici e di adeguate capacità cognitive. L'accertamento delle suddette qualità e capacità è stato rimesso ad un'apposita commissione composta da psicologi, medici e preparatori atletici. Non è stato neanche trascurato il fatto che, qualora i dipendenti ritenuti idonei dovessero, in prospettiva futura, risultare eccedenti rispetto alla consistenza organica dell'unità, questi ultimi andrebbero a comporre un altro serbatoio, che si può definire di riserva, dal quale attingere qualora dovesse provvedersi a sostituzioni o ad integrazione del personale. Del resto, a garanzia della permanenza


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della capacità della struttura di rispondere alle esigenze istituzionali è la previsione dell'accertamento, con scadenza semestrale, del mantenimento di tutti i requisiti psicofisici ed attitudinali posseduti all'atto del reclutamento, mantenimento che costituirà condizione indispensabile per rimanere nell'unità specializzata. Per gli stessi motivi, inoltre, è importante rimarcare come l'incarico sia previsto a termine - prevedendo un turn over - ossia per tre 3, prorogabili, a richiesta dell'interessato, per non più di altri due.
È stata poi posta particolare cura anche per l'aspetto addestrativo, che ha avuto ad oggetto le più moderne tecniche operative a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Al riguardo, infatti, gli obiettivi, peraltro comuni, in linea di massima, a quelli perseguiti per l'addestramento di tutti i reparti mobili, sono stati l'adozione di protocolli omogenei degli schemi di intervento di difesa e di contrasto, il raggiungimento di una maggiore compattezza nell'azione, il miglioramento della disciplina dei dipendenti, nonché la precisa conoscenza e l'uniforme osservanza delle procedure concernenti l'utilizzo dei mezzi di dotazione. Va aggiunto che nello specifico settore dell'addestramento ci si è avvalsi dell'esperienza e della specifica competenza di formatori stranieri, in particolare dei qualificati istruttori appartenenti alla polizia di Los Angeles, limitatamente però alle sole tecniche d'uso del nuovo sfollagente, comunemente denominato tonfa, utilizzato in servizio per la prima volta a Genova proprio dal nucleo sperimentale in argomento, ma già impiegato correntemente negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, nonché già in uso nel nostro paese presso le omologhe strutture dei battaglioni mobili dell'Arma dei carabinieri. Infatti, atteso il particolare impiego di tale strumento, in funzione, non solo di contrasto, ma anche difensiva, gli istruttori statunitensi sono stati quindi


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chiamati a concorrere nell'insegnamento delle modalità di utilizzo del citato sfollagente, proprio perché si è ritenuto necessario fruire di una più consolidata esperienza per istruire al meglio il personale che ne doveva fare uso. In altri e più sintetici termini, l'addestramento e la formazione, anche del nucleo sperimentale, come già visto più in generale per tutti i reparti mobili, sono stati diretti a realizzare le condizioni per migliorare sia la sicurezza degli operatori, sia l'efficacia, mai disgiunta dall'equilibrio, di ogni intervento.
Riguardo alla sperimentazione del nuovo armamento, è stata rilevata anche l'opportunità di ricorrere a materiali d'armamento diversi e di più moderna concezione rispetto a quelli sinora utilizzati dai reparti mobili, in ciò avvalendosi del disposto dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 1991, n. 359, che prevede la possibilità di dotare il personale della Polizia di Stato, in via sperimentale e per le esigenze dei propri compiti istituzionali, di armi dalle caratteristiche diverse da quelle previste dal regolamento stesso. Accelerate dall'approssimarsi del vertice del G8, sono state quindi assunte dal dipartimento, e seguite nella competente direzione centrale, importanti iniziative nel quadro di una generale esigenza di miglioramento dell'efficacia degli interventi di ordine pubblico, coniugata alla tutela dell'incolumità degli operatori, che hanno proprio riguardato la necessità di adeguare l'armamento dei reparti mobili della Polizia di Stato al mutato contesto della salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica. Sono stati così studiati, sperimentati ed adottati strumenti caratterizzati da maggiore versatilità, peraltro già utilizzati da altre forze di polizia, per consentire una più efficace protezione del personale - quando possibile -, minimizzando contestualmente i rischi di coinvolgimento nell'azione di soggetti estranei all'obiettivo. L'iniziativa


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ha ovviamente preso le mosse dalla normativa di riferimento, che per l'amministrazione della pubblica sicurezza e per il personale della Polizia di Stato che esplica funzioni di polizia, è rappresentato dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 1991, n. 359, il quale prevede, in caso di necessità e di urgenza, l'autorizzazione all'impiego di armi diverse da quelle in dotazione per i compiti istituzionali, purché adeguatamente sperimentate e ad opera del personale che sia stato naturalmente preventivamente addestrato. Quindi, detto testo normativo, da un lato, illustra quali debbano essere in materia le dotazioni individuali e di reparto, dall'altro prevede i presupposti necessari ad avviare la sperimentazione di nuovi dispositivi ed il loro successivo impiego in servizio, così come le relative procedure autorizzatorie.
A tale proposito, ai sensi dell'articolo 37, comma 2, per la sperimentazione, e comma 3, per l'impiego in servizio, in base ad appositi decreti ministeriali è stata avviata la sperimentazione e disposto l'impiego in servizio, quest'ultimo esclusivamente per le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica connessa al vertice dei paesi aderenti al G8, di uno sfollagente di nuova concezione e di bombolette spray, in dotazione sia individuale che di reparto, al gas irritante CS, entrambi, come sopra ricordato, già sperimentati da reparti di forze di polizia anche di altri Stati. Nel primo caso, l'iniziativa ha riguardato la sola unità specializzata del I reparto mobile di Roma - mi riferisco ai tonfa - che, a seguito di specifica autorizzazione concessa con decreto del ministro dell'interno, ha concluso positivamente la sperimentazione del citato sfollagente in policarbonato, tecnicamente del tipo basic side handle button, ma correttamente denominato tonfa, che rispetto a quello in dotazione di reparto, consente, per la sua peculiare forma ad elle, un utilizzo multifunzionale caratterizzato


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da maggiore efficacia e versatilità, in grado di soddisfare meglio le esigenze difensive, di contrasto, di immobilizzazione e di sicurezza. Nel secondo caso, invece, il ricorso alla bomboletta spray è stato autorizzato per il personale di tutti i reparti mobili impegnati a Genova, e consente l'immobilizzazione, a distanza ravvicinata, di eventuali antagonisti con una concentrazione di sostanza irritante inferiore a quella presente nella miscela utilizzata con altri strumenti in dotazione per il lancio con arma lunga e a mano, riducendo contestualmente il rischio di coinvolgere nell'azione persone estranee in ragione della ridotta portata del getto, che è di 4-8 metri.
Per quanto riguarda le dotazioni di equipaggiamento, si tiene, altresì, ad evidenziare, pur senza volere entrare nel dettaglio, come numerosi altri siano stati gli interventi realizzati nel settore dell'equipaggiamento per raggiungere un miglioramento dell'efficienza dei reparti ed un maggior livello di sicurezza per gli operatori e, di riflesso, dell'efficacia del relativo intervento.
In quest'ottica è stato, infatti, messo a punto - ed è in via di definitiva attuazione - uno speciale piano di distribuzione di nuove dotazioni di protezione sia, in generale, per tutto il personale operante (tute ignifughe con sistema di protezione antiurto, maschere antigas, guanti protettivi, piccoli ma potenti estintori per ogni caposquadra, speciali bardature per i componenti del reparto a cavallo) sia, in particolare, per l'unità specializzata (caschi in kevlar radiocollegati, assegnati anche ai dirigenti del servizio ordine pubblico del reparto a cavallo, stivaletti antiurto e scudi di forma rotonda adeguati alle nuove tecniche operative).
Per quanto riguarda la logistica, in considerazione dell'aggregazione a Genova di un consistente numero delle forze


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dell'ordine e dei conseguenti problemi di gestione di una così considerevole forza, si è ritenuto necessario istituire una struttura deputata a seguire nel dettaglio i particolari organizzativi. Per coordinare tutti gli aspetti suindicati e, sulla scorta del positivo esito di precedenti esperienze registrate nel corso di similari situazioni verificatesi a Napoli e a Trieste, è stata, quindi, prevista la costituzione di una apposita task force, con compiti sia in fase di pianificazione sia in fase di successivo coordinamento logistico.
Detta task force è stata denominata «comando unificato della Polizia di Stato» ed è stata diretta dal sottoscritto. L'impegno della task force è iniziato già diversi mesi prima del vertice con un'articolata e mirata attività ricognitiva e propositiva, realizzata anche attraverso tutta una serie di contatti con le autorità istituzionali, le organizzazioni e gli enti locali pubblici e privati (prefetto, viceprefetto, comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, Vigili del fuoco, comandante del porto, autorità portuali, ente fiera, organizzazioni sindacali del personale e quant'altro).
In prossimità dell'evento e segnatamente ai primi di luglio, la task force si è materialmente trasferita nella cosiddetta cittadella della Polizia, ubicata presso l'ente fiera del capoluogo ligure, per le esigenze di coordinamento operativo e logistico di tutti i contingenti della Polizia di Stato, costituendo così l'interfaccia con la questura, in modo da sollevare quest'ultima da tutte le incombenze diverse dalla preminente gestione della situazione dell'ordine pubblico.
Mi sono avvalso, nella circostanza, della collaborazione di funzionari settorialmente responsabili delle unità speciali e significativamente: funzionaro responsabile della sala situazioni, logistica e servizi, funzionario responsabile dei reparti


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mobili, degli istituti di istruzione, delle unità speciali del settore nautico, aereo, del settore sanitario e di quello logistico.
Per lo svolgimento degli specifici compiti di raccordo tra i reparti e gli uffici aggregati a Genova e quella questura, è stato costituito, nell'ambito del comando unificato, un vero e proprio ufficio servizi che ha affiancato il locale ufficio di gabinetto nei relativi oneri per la predisposizione dei servizi giornalieri del personale aggregato.
La task force ha provveduto, altresì, ad organizzare diverse armerie costantemente vigilate ed un magazzino con riserve di materiale per l'equipaggiamento di riserva per eventuali necessità emergenti.
Per quanto concerne la complessità della sistemazione logistica dei circa 12.000 operatori appartenenti alle diverse forze di polizia, aggregati per l'occasione a Genova, sono state ricercate soluzioni alternative rispetto a quelle abitualmente individuate presso esercizi ricettivi, poiché il capoluogo ligure, presso le strutture alberghiere, disponeva soltanto di 1.800 posti letto, tutti prenotati dalle diverse delegazioni per l'appuntamento del G8.
È apparso anche evidente che la dislocazione del personale presso le strutture alberghiere del capoluogo o della provincia avrebbe comportato enormi difficoltà organizzative, connesse alle esigenze di spostamento di migliaia di uomini, talvolta anche in tempi molto ristretti, tra i singoli alberghi e i luoghi di servizio in una città che presenta obiettivi problemi di circolazione determinati dalla particolare toponomastica, obiettivamente aggravati in occasione del vertice, per la necessaria chiusura al traffico di numerose strade.
La pianificazione dei contingenti da inviare a Genova aveva evidenziato, inoltre, l'esigenza di reperire strutture idonee anche per la sistemazione dei cavalli e dei cani al seguito degli


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specifici reparti; pertanto, si è ritenuto opportuno individuare soluzioni che contemplassero le diverse esigenze alloggiative con quelle di spostamento di uomini e mezzi.
Al riguardo, con il parere favorevole dell'ufficio sanitario della Polizia di Stato, dei Vigili del fuoco e di una commissione organizzata nell'ambito della questura di Genova e costituita da funzionari e rappresentanti sindacali, sono state individuate due tipologie di soluzione per la sistemazione di tutte le forze di polizia razionalmente distribuite in ragione del diverso apporto di ciascuna all'impegno complessivo.
La prima ha riguardato i moduli abitativi allestiti presso la fiera di Genova, ove hanno trovato sistemazione, per la Polizia di Stato, i dipendenti degli istituti di istruzione, i reparti speciali (squadre nautiche, sommozzatori, cinofili, tiratori scelti, artificieri e squadre NBC) esclusi i reparti mobili, il personale sanitario e parasanitario della Polizia di Stato, gli appartenenti al Corpo forestale dello Stato ed alla Polizia penitenziaria.
La seconda soluzione è consistita nell'utilizzo di navi traghetto ormeggiate nel porto di Genova ove sono stati alloggiati i reparti mobili della Polizia di Stato ed il personale aggregato ad altri uffici di Polizia.
Come ho già detto in premessa, entrambe le soluzioni sono state utilizzate anche dal personale delle altre forze di polizia.
PRESIDENTE. Dottor Donnini, la ringraziamo per la sua relazione, della quale sono in distribuzione le relative copie.
GRAZIELLA MASCIA. Dottor Donnini, nella sua relazione lei ci ha già fornito diversi elementi che consentono di comprendere l'importanza del ruolo che lei ha svolto sicuramente nel vertice, ma anche nella preparazione dello stesso. Eviterò, dunque, di rivolgerle domande specifiche a cui lei, di


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fatto, ha già risposto, anche a conferma di altri elementi già acquisiti, riguardanti, in particolare, le novità introdotte dal punto di vista della dotazione e dell'addestramento, ossia le sostanze e gli spray antiaggressione. Vorrei chiederle su questo punto specifico quali novità siano state introdotte rispetto ai lacrimogeni, sostanze che - come ho potuto constatare - sono state ampiamente utilizzate; comunque, tutti riferiscono di una condizione particolare.
In ogni caso, vorrei comprendere questa riorganizzazione così impegnativa che è stata prodotta prima del G8, anche attraverso i corsi e le consulenze di polizie straniere, come quella americana, costruite anche grazie allo studio che ci è stato illustrato, affinché a Genova, in base alle analisi compiute, si potessero prevenire i nuovi fenomeni o comunque intervenire diversamente rispetto alle condizioni precedenti. In particolare, ci è stato detto che l'obiettivo era di accerchiare i violenti, di isolarli, di essere più mobili; poi, sono stati operati cambiamenti nel corso degli interventi; tuttavia, mi sembra che il senso delle consulenze che avete appreso dall'estero fosse il fatto che le nostre unità erano troppo grandi e poco mobili. Le chiedo, quindi, conferma che il senso della riorganizzazione, oltre a quelli precedenti, avesse anche tale obiettivo. In questo caso, le chiedo cosa non ha funzionato a Genova e perché. È, infatti, evidente che qualcosa non ha funzionato.
In particolare, ieri ci è stato riferito dal dottor Canterini che questo reparto sperimentale, considerato la punta di diamante, è stato utilizzato sicuramente nei giorni 20 e 21 in una sola occasione. È stato detto: abbiamo trovato grande difficoltà nell'attraversare le strade ed abbiamo agito solo nell'intervento su un furgone. Com'è possibile che questo sia avvenuto? Vorrei capirlo meglio da lei.


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Sempre per quanto riguarda Genova, vorrei comprendere quali interventi diretti lei abbia svolto. Mi pare di aver letto, su un verbale, del suo intervento in via Tolemaide, alle ore 14, dove lei ha ordinato le cariche più pesanti. Ha svolto altri interventi? Ci era stato detto precedentemente che la sua doveva essere una funzione a carattere prevalentemente logistica, di riorganizzazione. Poi, invece, lei è direttamente intervenuto già dal giorno 20. Vorrei, quindi, comprendere meglio il suo ruolo.
Rispetto all'ipotesi operativa che avete svolto l'11 giugno (o non so se in altra data) lei ci ha detto: abbiamo provato quello che, poi, sarebbe successo a Genova, abbiamo fatto fare le prove ai reparti. È in questa occasione che le forze di Polizia hanno avuto, come bersagli con cui misurarsi, persone con le bandiere rosse? Mi risulta ci sia un filmato in questo senso, spero possa essere acquisito.
Infine, vorrei rivolgerle una domanda con riguardo alla scuola Diaz. Lei, risulta dai verbali, è stato colui che ha ordinato il preallarme al reparto del dottor Canterini perché potesse organizzare i suoi uomini per questo intervento. Ci risulta che lei fece questa telefonata intorno alle 21-21,30 quando il dottor Canterini era in mensa alla Fiera Mare. Vorrei, innanzitutto, chiederle conferma dell'orario. Inoltre, vorrei sapere da chi aveva ricevuto la telefonata di preallarme e per quale ragione si è scelto - immagino che fosse una sua scelta - che dovesse intervenire proprio il reparto sperimentale del dottor Canterini. Risulta, sempre da quei verbali, che lei avrebbe detto a persone importanti, come il dottor Fournier, che l'elemento fondamentale per decidere le modalità ed i tempi di intervento della perquisizione alla scuola fosse un infiltrato della Polizia che avrebbe dovuto dare i segnali: ciò risulta da due verbali. Vorrei chiederle conferma di tutto ciò.


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VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Cercherò di rispondere a questa serie di domande nell'ordine.
Innanzitutto, lei mi chiede le motivazioni per le quali non è stato possibile accerchiare i violenti. Francamente, non ho il titolo per rispondere di una scelta di impiego piuttosto che di un'altra. La direzione dei servizi - come tutti sanno - non dipendeva da me, ma dall'unità provinciale di pubblica sicurezza locale. Però, per quello che mi consta, per quello che ho potuto vedere e che mi è stato raccontato, accerchiare i violenti non era poi così semplice. Questi, infatti, si spostavano molto velocemente in piccoli gruppi che si confondevano in mezzo ai cortei più vari, sia quello delle tute bianche del giorno 20, sia quello per così dire ufficiale, il più grande, del 21.
Vede, ci siamo trovati in una situazione un po' particolare a Genova. Non si è trattato, infatti, di un servizio di ordine pubblico come quelli che eravamo abituati a fronteggiare, ma di una vera e propria guerriglia urbana, del tipo di quella che fronteggiavamo negli anni settanta: vi è stata una sorta di disabitudine a questo, ne ho fatto cenno anche nella relazione. Ho potuto notare a Genova un fatto nuovo che, francamente, ci ha colti alla sprovvista: mi riferisco alla tecnica che in Francia viene chiamata dei casseur, soggetti che non intendevano arrivare alla zona rossa - ho avuto questa sensazione - a cui non importava affatto del G8, ma volevano semplicemente spaccare tutto quello che trovavano a portata di mano.
Sto parlando, ovviamente, a titolo personale, perché non dipendeva da me - ripeto - pianificare i servizi di ordine pubblico. Ritengo, però, che una pianificazione debba tenere conto dei tragitti del corteo e della possibilità di staccarsi dal


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corteo per fare guerriglia, per raggiungere determinati obiettivi che fossero logici. Però, nel momento in cui le barricate vengono fatte con qualsiasi tipo di macchina che viene trovata per la strada (anche una Cinquecento di terza mano), si attaccano negozi di generi alimentari, banche e supermercati senza una logica, ritengo che cominci ad essere difficile procedere all'isolamento dei violenti.
Leggevo un libriccino edito da Feltrinelli, comprato qualche giorno fa...
MARCO BOATO. Comprato alla libreria Feltrinelli, non edito da Feltrinelli.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Sì, ha ragione. Credo che sia intitolato Le quattro giornate di Genova e riporta proprio questi fatti. Dice chiaramente che vi sono testimonianze di gente che ha visto i black bloc togliersi le tute o le magliette nere per poi passare da manifestazioni pacifiche ad altro. Ritengo che questo ci abbia messo in gravi difficoltà.
La mobilità sicuramente ha influito anche su questo. Però, vede onorevole, col senno di poi ritengo che tutto sia più facile e più chiaro: dobbiamo rapportarci a ciò che sono state quelle giornate. Ho ancora sotto gli occhi - anche perché le abbiamo viste tutti - le riprese televisive di poco prima che succedessero i fatti di piazza Alimonda, con la Campagnola dei carabinieri ed il decesso di Giuliani. Abbiamo visto tutti quanti un pur consistente reparto di carabinieri che doveva retrocedere, anche piuttosto velocemente, sotto la pressione di un attacco abbastanza violento. La mobilità chiaramente è legata alla snellezza dei reparti: è chiaro che più i reparti sono consistenti, più lentamente si muoveranno sul territorio. Però, mi chiedo se in quel momento sarebbe stato saggio diminuire


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la consistenza dei reparti per poi trovarsi, magari, in una situazione analoga a quella a cui facevo riferimento prima e con qualche altro risultato poco edificante. Si tratta di una mia valutazione personale, dato che non avevo compiti di direzione delle strategie dell'ordine pubblico in Genova e, dunque, quello che sto riferendo è un mio pensiero.
Per quanto riguarda l'uso del gas; si può parlare di innovazioni solo fino ad un certo punto. Molto tempo fa, utilizzavamo il gas CM, ma non essendo un chimico, non so dirle la composizione; si trattava di un gas lacrimogeno sparato, a quei tempi, con il vecchio moschetto 91.
Per quanto riguarda, invece, i nuovi lacrimogeni, quasi tutti tranne una piccola parte, che credo sia ancora al CM, sono al CS. Non sono gas urticanti - come, invece, ho letto su qualche giornale - ma irritanti, vale a dire che attaccano le vie aeree; ovviamente, risultano più efficienti anche se l'azione irritante si esaurisce dopo pochi minuti non appena ci si allontani dalla zona per così dire satura. Ma non si tratta di una novità; non essendo un tecnico e non facendo parte di quella direzione centrale, non posso essere preciso, ma credo che già dal 1994 la Polizia di Stato, come tutte le altre forze di polizia, utilizzasse gas CS. La novella sono le bombolette spray, anch'esse al CS. Hanno quindi la stessa composizione chimica, anzi, per essere precisi, hanno una concentrazione molto minore. Le abbiamo volute - ovviamente, lo ripeto, nessuno si aspettava la situazione di Genova - proprio perché consentono di effettuare un tiro selettivo e, quindi, di indirizzare il getto (una specie di getto liquido) verso la persona che si vuole colpire e non indiscriminatamente nel mucchio.
Per quanto riguarda il mio compito a Genova, ho già supportato le mie affermazioni. Piuttosto, vorrei fare un passo indietro: io sono stato nominato consigliere ministeriale aggiunto


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con il detto incarico, proprio in virtù della mia lunga permanenza nei Reparti mobili. Infatti, prima di fare il corso interforce, ho comandato i reparti di Catania, Firenze, Roma ed è per questo che ritengo di essere un esperto non solo nella gestione dei servizi di ordine pubblico, ma soprattutto nell'impiego di mezzi tecnici quali quelli usati dalle forze di polizia a Genova. Mi riferisco ai mezzi cancellati, agli idranti e, soprattutto, considerato anche che lei mi parla di via Tolemaide, ai VTC (questi ultimi sono veicoli di trasporto corazzato). Posso confermare che nella circostanza, in via Tolemaide, ero sul posto, avendo, anzi, anche diretto l'intervento dei VTC. Parlo di intervento, non di carica; ovviamente, infatti, era sul posto anche il dirigente del servizio e, quindi, io non avevo titolo per farlo. Tutto ciò mi fu richiesto dal vicecapo della Polizia vicario, prefetto Ansoino Andreassi, con il quale, nella circostanza, ho avuto il privilegio di collaborare. Il prefetto, visto il protrarsi dell'impasse - una situazione che non si riusciva a sbloccare anche perché, nel frattempo, si erano rovesciate ed incendiate macchine, creando barricate di una certa consistenza - mi chiese: «Ma tu che ne pensi?» Io fui d'accordo con lui nell'intervenire con i veicoli di trasporto DUP. La discussione avvenne in sala operativa, alla presenza anche del questore Colucci che era l'autorità provinciale di pubblica sicurezza. Io, appunto, mi trovavo, in quella circostanza, in sala operativa, in questura. Detto ciò e ricevuto il nulla osta da parte dell'autorità interessata, mi portai sul posto; ricordo che vi era già un VTC, a suo tempo richiesto perché si aveva avuto sentore di un camion anzi, di un bulldozer che avrebbe potuto essere utilizzato per lo sfondamento in zona rossa. Perciò con il VTC pensavamo di essere in grado di fermarlo. Ne feci intervenire un altro, che spostammo dalla zona rossa dove si trovava (ma adesso


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francamente non posso essere preciso perché non ricordo la via) ed intervenimmo sfondando le barricate e percorrendo tutta la via Tolemaide fino ad una zona che mi sembra sia nota come la Casa dello studente, ma non so esattamente.
GRAZIELLA MASCIA. Corso Castaldi.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Sì, corso Castaldi. Arrivati sul posto, fummo contattati dalla sala operativa perché ci segnalavano un altro intervento urgente da effettuare nei pressi del mercato ortofrutticolo, quindi tornammo indietro. Ricordo un ponte sul quale erano già avvenuti scontri tra dimostranti e carabinieri e dove, poi, intervenne anche un nostro reparto in ausilio; intervenne anche il vice questore vicario Calesini, anche se ripeto, non posso essere preciso.
Siamo riusciti quindi a sfondare anche con i VTC, che furono utilizzati in quella circostanza perché nel frattempo gruppi di black bloc avevano dato alle fiamme un'agenzia (credo della Banca nazionale del lavoro, ma non sono sicuro), incendio che minacciava, addirittura, di coinvolgere lo stabile sovrastante. I vigili del fuoco non potevano passare perché vi era una barricata di notevole consistenza fatta da tubi innocenti, pezzi di legno e quant'altro: nella circostanza gestii anche lo sfondamento di tale barricata. Questi gli interventi, il giorno dell'azione in via Tolemaide.
Per quanto riguarda la scuola Diaz, mi trovavo a cena con il dottor Canterini ed altri comandanti di reparto e credo che la telefonata sia intervenuta intorno alle 21-21,30, ma non posso essere preciso. Mi ha telefonato il questore Colucci. Le sue parole sono state le seguenti: «Guarda, c'è un'operazione


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urgente da fare, mi servono 100-120 uomini». Poi, fece riferimento proprio al Nucleo e disse: «Il VII Nucleo c'è?» Gli risposi che non sapevo.
Faccio una premessa; ricordo che quel giorno noi, tutti quanti e fino all'esaurimento, eravamo stati impegnati - dicendo noi, mi riferisco alla Polizia di Stato - perché praticamente l'Arma dei carabinieri, per motivi di opportunità (si era nel giorno successivo alla morte del Giuliani) non era stata utilizzata nei servizi di ordine pubblico. Io, nella circostanza, presi del tempo; comunque, dissi: «Vedo un attimino di »realizzare« e richiamo». Infatti, in quella circostanza, mi sono rivolto al dottor Cantierini ed ho chiesto specificamente del VII Nucleo; poi spiegherò anche le motivazioni. Il Canterini mi diede la disponibilità del Nucleo, io ritelefonai al questore e gli dissi che il Nucleo c'era ed era possibile reperirlo. Si tenga conto che eravamo già smontanti dal servizio da un'ora, un'ora e mezzo; eravamo tutti in abito civile. Dico: «Il tempo di prepararci». Mi risponde: «Va bene, mi raccomando perché c'è urgenza, ma quanti sono? Rispondo: »Guarda, saranno circa 70 uomini«. Mi dice: »Allora no, sono un po' pochini, me ne servono di più, vuol dire che faremo intervenire anche qualche contingente dell'Arma«. Questo, parola in più, parola in meno, fu il tenore del discorso. Lo ripeto, se l'intervento del VII Nucleo da una parte fu casuale, forse dovuto alla circostanza che il dottor Canterini era nelle mie vicinanze, d'altra, se avessi potuto scegliere il reparto da mandare, io avrei scelto senz'altro il VII Nucleo, per le seguenti ragioni. In primo luogo, perché mi dava maggiori garanzie: era il più preparato; invero, aveva fatto addestramento più degli altri. In secondo luogo, perché era uno dei pochissimi reparti che, pur essendo stato comandato di servizio, come tutti gli altri dalle 8 di mattina, non aveva


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avuto scontri durante la giornata, evenienze invece fronteggiate dagli altri. Quindi era sicuramente stanco ma meno stanco degli altri. Mi determinai a scegliere il VII Nucleo perché, altrimenti, sarei stato costretto a utilizzare non un reparto organico ma uno raccogliticcio: dieci uomini dal reparto di Catania, 15 da quello di Firenze, 5 da Bologna. Questa, infatti, era la possibilità di raggruppare uomini che io avevo in quel momento.
Tra l'altro cose, vi è stata la fortunata coincidenza che il VII Nucleo sperimentale aveva a disposizione radioline portatili che radiocollegavano tra loro tutti gli operatori e, quindi, vista la facilità e data l'urgenza del servizio, ho optato per il VII nucleo.
FRANCO BASSANINI. Non riesce ad essere più preciso sull'ora ?
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Intorno alle 21- 21,30.
GRAZIELLA MASCIA. E la storia degli infiltrati ?
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza.
Debbo essere sincero, questa storia degli infiltrati francamente non la ricordo. Quello che rammento è l'urgenza e che il questore Colucci mi disse di aver bisogno di conferme, ma quest'ultime sono una cosa e l'infiltrato un'altra. Io interpretai il bisogno di conferme per cercare di appurare se questa operazione fosse da effettuare nell'immediato o più tardi, ma sinceramente non sono a conoscenza della vicenda dell'infiltrato.
GRAZIELLA MASCIA. E per quanto riguarda la vicenda delle bandiere rosse ?


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VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Il fatto delle bandiere rosse lo escludo categoricamente, se esistesse un filmato sarei curioso di vederlo. Io sono un dirigente superiore, lavoro al Ministero dell'interno, il mio ufficio è ubicato in via Urbana, non a Ponte Galeria e anche se ho svolto opera di sovrintendenza a questo addestramento - l'ho seguito e l'ho curato particolarmente sotto la spinta e l'input del capo della Polizia che ci teneva in modo particolare, sotto la direzione del mio direttore centrale e del vicecapo della Polizia Andreassi -, il fatto delle bandiere rosse mi giunge nuovo.
In tutte le manifestazioni - e ne ho viste tante perché, ovviamente, quella che noi abbiamo organizzato davanti a tutti i funzionari e agli ufficiali dell'Arma dei carabinieri è stata preparata e, quindi, sono andato anche nei giorni precedenti - mai e poi mai sono stati mostrati bandiere rosse, striscioni o quant'altro. A me tutto ciò non risulta.
FILIPPO MANCUSO. Ricordo in questa serie di audizioni alcuni passi della biografia del generale Capello, comandante della seconda armata, prima di Caporetto. Mi sembra proprio una rimembranza perchè anche quella non fu una bella pagina nazionale. Non so se sono tardivo nel rivolgerle la seguente domanda in ragione della sua competenza: la DIGOS di Roma fu, in sede programmatica e in sede attuativa, interessata all'operazione Genova ? E se sì, il dottor Gabrielli, attuale capo della DIGOS di Roma, vi ebbe qualche parte ?
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Francamente non so rispondere a questa domanda e non conosco l'argomento. Io sono stato interessato sotto il profilo addestrativo dei reparti e sotto il profilo logistico, ma non so se la DIGOS di Roma


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sia intervenuta nella circostanza. Ricordo di alcuni funzionari della DIGOS di Roma a Genova perché li ho incontrati e li conoscevo; non mi pare di aver visto il dottor Gabrielli, faccio riferimento ad altri funzionari - anche se in questo momento mi sfuggono i nomi -, ma ritengo che sicuramente tutte le DIGOS siano state interessate perché i manifestanti provenivano da tutte le parti d'Italia. Tuttavia, non è una risposta di mia competenza quella relativa all'interrogatorio se il dottor Gabrielli e, in particolare, la DIGOS di Roma abbiano preso parte alla stesura dei piani di Genova.
MICHELE SAPONARA. Dottor Donnini, vorrei sapere da lei se rientra nella competenza ordinaria della DIGOS lo svolgimento di indagini di polizia giudiziaria sui rapporti fra privati e per reati punibili a querela di parte.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. La DIGOS, Direzione investigativa generale operazioni speciali, di solito non è interessata a questo genere di trattazione; tuttavia, nulla vieta che possa essere attuata anche dalla stessa.
MICHELE SAPONARA. Quindi ciò non rientra nella competenza ordinaria.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. No, di solito le querele di parte vengono presentate al commissariato di zona o alla stazione dei Carabinieri.
MICHELE SAPONARA. De minimis...!
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Per carità, tutto ciò sicuramente non è vietato.


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MARCO BOATO. Se lei ci spiegasse .........
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la prego. È stata posta una domanda, il dottor Donnini ha risposto e l'onorevole Saponara si ritiene soddisfatto.
MARCO BOATO. Presidente, poiché suppongo che le nostre domande siano finalizzate a conoscere i fatti, poteva essere utile rendere nota la circostanza.
Dottor Donnini, voglio sinceramente ringraziarla per la sua relazione molto dettagliata nella quale ha ricostruito tutti gli aspetti di carattere ordinamentale, istituzionale, operativo ed addestrativo con una trasparenza ed una completezza che risulteranno molto utili al lavoro specifico del Comitato, ma anche alla Commissione affari costituzionali, competente altresì per l'interno, alla quale apparteniamo. Spesso a causa di altri impegni le nostre Commissioni non affrontano adeguatamente questi argomenti, tuttavia, in questo caso le informazioni da lei fornite sono state molto utili.
Sugli aspetti istituzionali generali non le rivolgerò alcuna domanda, ritenendo esaustivo il suo contributo e molto importante il suo continuo riferimento all'impiego di esperti per le valutazioni sotto il profilo non solo dell'affidabilità tecnica, ma anche dell'equilibrio psico-emotivo delle persone impiegate in questi reparti: si tratta di una constatazione e anche di un elogio al modo in cui lei ci ha riferito.
Le formulo soltanto domande specifiche. Esiste la possibilità (lei ha fatto riferimento alla fase addestrativa da parte di operatori della polizia di Los Angeles, ne aveva già parlato il prefetto Andreassi e corrisponde esattamente a quello che lei ha sostenuto) di un uso non corretto del Tonfa, di questo nuovo tipo di manganello, tale che vada al di là delle finalità sia di repressione sia di autodifesa, per le quali l'introduzione


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di questo nuovo strumento è stato previsto? Lei, fra l'altro, ha sostenuto che esso viene già sistematicamente utilizzato dalle brigate mobili dei carabinieri e dal cosiddetto nucleo speciale antisommossa del I reparto.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Nucleo sperimentale di ordine pubblico.
MARCO BOATO. Le chiedo un giudizio tecnico, perché lei ha dimostrato grande esperienza sul campo: un uso non corretto di questo strumento può produrre conseguenze che vanno al di là degli effetti ordinari di un'azione di polizia, che deve intervenire per controllare situazioni di disordine? Le pongo questa domanda anche in riferimento agli strumenti ordinari, cioè non al tonfa, ma agli strumenti tradizionali, in dotazione non solo alla Polizia di Stato, ma a qualsiasi corpo di polizia; quindi, la domanda non riguarda specificamente la Polizia di Stato, ma chiunque utilizzi questo tipo di strumenti.
Ho la memoria storica relativamente ad episodi che forse lei ricorderà. Come giornalista, all'epoca, seguii il processo Margherito al tribunale militare di Padova - mi pare nel 1976 - e, in quella circostanza, vennero descritti episodi anomali di utilizzo di questi strumenti (in quel caso erano i manganelli tradizionali, nei quali venivano infilate delle sbarre di ferro), che venivano usati in servizi di ordine pubblico, provocando conseguenze più gravi di quelle per cui erano adottati ordinariamente dai corpi di polizia; in quel caso si trattava del reparto mobile di Padova, la cosiddetta «celere», mi pare il II reparto.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Si, il II reparto celere.


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MARCO BOATO. Ecco, vede che mi ricordo? Parliamo del 1976 o 1977. Dunque, assistetti alle udienze del tribunale militare di Padova, dove si parlava di queste cose.
Il presidente, quando abbiamo iniziato ad ascoltarla, ha ripetuto a lei quello che ripete a tutti: questo Comitato non ha finalità giudiziarie o paragiudiziarie, ha finalità conoscitive; le responsabilità, gli aspetti disciplinari, verranno accertati dalla magistratura, non da noi. Pertanto, le chiedo - a fini conoscitivi - se sia possibile che si siano verificati episodi di uso anomalo di questi nuovi strumenti, ma anche degli strumenti tradizionali, da parte di appartenenti a corpi di polizia, quali che siano (ripeto: non mi riferisco specificamente alla Polizia di Stato); se lei ne abbia avuto conoscenza o una qualche informazione. Ma, a prescindere dalla sua conoscenza effettiva, è possibile tecnicamente che ciò avvenga?
Vorrei rivolgerle poi una domanda complementare a questa: non si stupisca del carattere ingenuo di questa seconda domanda, collegata alla prima. Nella mia vita ho partecipato a molte manifestazioni, ma non ho avuto nulla a che fare con gli episodi di Genova, non ci sono stato, ho visto solo immagini televisive e fotografie. Rispetto ad altre esperienze di periodi storici che lei conosce, mi ha colpito la quantità di sangue che ho visto nelle immagini televisive, quando venivano riprese persone ferite. Ovviamente, so bene che sono stati feriti anche molti appartenenti ai corpi di polizia, che hanno la mia totale solidarietà, ma, in questo momento, sto cercando di capire cosa possa essere successo in quell'occasione. La domanda rivela una certa ingenuità, ma è autentica: perché tanto sangue? In altre circostanze storiche ho visto episodi di doverosa repressione di atti di violenza da parte dei corpi di polizia (con contusi, lesionati e così via), ma tanto sangue così, personalmente - ho 57 anni, quindi da qualche decina d'anni


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vedo queste cose -, non l'avevo mai visto. Esiste una possibile connessione fra l'uso di nuovi tipi di strumenti o un uso anomalo di tali strumenti o di strumenti tradizionali (lei, infatti, ha detto giustamente che l'unico nucleo che aveva a disposizione questi nuovi strumenti in realtà non è stato impiegato in scontri) e la grande quantità di sangue che ho visto? Le chiedo chiarimenti su questo aspetto che ho osservato con attenzione più volte in molti filmati e che mi ha colpito, pur non essendo un novellino al riguardo, avendo assistito a molti episodi di tensione.
Per quanto concerne la vicenda di via Tolemaide, in generale, le erano già state chieste informazioni; lei ha risposto e la ringrazio per il modo in cui l'ha fatto, anche in questo caso, devo dire, in modo non reticente. Lei ha detto che le è stato chiesto di intervenire quando si trovava nella sala operativa interforze della questura; l'ordine è venuto giustamente dall'autorità provinciale, il questore. Poi lei ha comandato il reparto in via Tolemaide, che è un momento importante, perché è quello in cui si passa dagli episodi dei black bloc, che lei ha descritto dettagliatamente, al momento di confronto con la manifestazione, che proveniva dallo stadio Carlini. Chi comandava, in quella circostanza, il suo e gli altri reparti? Chi era il funzionario preposto, dal punto di vista dell'ordinamento, alla gestione dell'ordine pubblico in quella circostanza, in cui lei era presente, ma non era il titolare dell'operazione?
L'ultima questione riguarda l'intervento alla caserma; su questo aspetto non le pongo domande di dettaglio, ma chiedo soltanto una verifica e faccia un rilievo che sottopongo anche al presidente e ai colleghi per nostra utilità (siamo in una situazione di work in progress). Lei ha detto - e anche in occasione dell'intervento del collega Bassanini lo ha confermato -


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che, grosso modo, la telefonata del questore a lei, e attraverso lei, al dottor Canterini, è avvenuta verso le 21-21,30. Noi abbiamo sentito più volte, anche questa mattina - da un altro funzionario che ci ha parlato con altrettanta trasparenza -, che l'occasione della decisione, assunta più tardi, di quell'intervento, per il quale era stata richiesta anche la partecipazione del Reparto mobile, è un episodio avvenuto tra le 21,30 e le 22. Il dottor Gratteri, che ha parlato questa mattina prima di lei, ha ripetutamente citato questo arco temporale, riferendo che l'episodio del dottor Di Bernardini è avvenuto tra alle 21,30 e le 22, quando il dottor Gratteri lo ha accompagnato in questura, dove si sono riuniti e hanno valutato l'ipotesi della perquisizione, predisponendo anche gli strumenti. Vi è uno sfasamento, quanto meno, di un'ora. Sembra che voi siate stati attivati...
PRESIDENTE. Ha parlato delle 21-21,30...?
MARCO BOATO. Delle 21-21,30 ha parlato il dottor...
PRESIDENTE. No, il dottor Gratteri successivamente - non posso confermarlo - ha parlato delle 21,30-22. Parliamo di un arco di una differenza di un'ora, quindi chiediamo una precisazione. La domanda è chiara, onorevole Boato. Le comunico anche che lei ha terminato il tempo a sua disposizione.
MARCO BOATO. La mia no è una contestazione.
PRESIDENTE. Certo, lei vuole capire quando il dottor Donnini ha avuto notizie, qual è la collocazione temporale...
MARCO BOATO. Vorrei sapere quando ha ricevuto la richiesta di intervento del reparto da lui comandato.


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VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Parto da quest'ultima precisazione. Eravamo tornati, avevamo fatto una doccia veloce e poi eravamo andati a mangiare qualcosa; dunque, credo che all'incirca fossero le 21,30. Poi, se anziché le 21,30, erano le 21,45 non so, non posso essere preciso. Ripeto, credo che la telefonata sia arrivata fra le 21 e le 21,30, quello mi pare l'orario. Mi dissero che la cosa era urgente, poi mi pare che mi fu detto di far avvicinare il nucleo alle 22,45-23 circa.
FRANCO BASSANINI. Quest'ultima ora torna.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. In quelle circostanze, purtroppo, il trascorrere del tempo - lo dico perché è stato anche oggetto di discussione con qualche collega - era falsato. A volte arrivavamo alle 16, alle 17 e, a causa di tutto quello che c'era da fare, delle cose che si susseguivano e della velocità con cui si susseguivano, credevamo che fossero ancora erano le 13.
Quindi, onestamente, onorevole Boato, credo che l'orario fosse intorno alle 21,30.
MARCO BOATO. Non ho alcun motivo di dubitare di quello che lei sta dicendo. Come risulta dal resoconto stenografico dell'audizione del questore, dottor Colucci, egli dice di essere stato avvertito dell'episodio che poi ha dato origine a questi fatti attorno alle 22,20. Non dubito che lei sia stato chiamato alle 21 o alle 21,30, ma c'è uno sfasamento fra causa ed effetto. Probabilmente, voi siete stati preavvertiti di un'operazione prima che la causa ufficiale di quella operazione fosse verbalizzata. Tuttavia, è una pura ipotesi.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Francamente, le 22,20


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mi sembra un po' tardi, perché dovevamo cercare gli uomini; passarono quei cinque minuti in cui il dottor Canterini chiamò, poi io telefonai al questore Colucci, dando l'OK. Mi pare quindi un po' tardi, ma, onestamente, non posso essere preciso sotto questo profilo.
Per quanto riguarda il dirigente, credo che fosse il dottor Gaggiano, che era presente. Più tardi ci incontrammo anche con il dottor Calesini che aveva già provveduto ad effettuare degli interventi, ma questo avvenne successivamente, mi pare nella piazza, in cui c'è il mercato ortofrutticolo.
Circa il possibile uso distorto del manganello Tonfa o dello sfollagente, è chiaro che tutto è possibile.
MARCO BOATO. Nel senso che provoca effetti più gravi di quelli provocati...?
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Francamente, ritengo che il Tonfa, utilizzato in maniera distorta, cioè per dare un colpo in testa, non provochi soltanto la fuoriuscita di sangue, ma qualcosa di più. È chiaro che, quando uno dà un colpo in testa, certamente può graduarlo. Inoltre, utilizzando il Tonfa - io non so se lei lo abbia mai visto - che ha un'impugnatura laterale, e quindi viene usato in direzione orizzontale e non verticale, non è agevole dare un colpo in testa: al massimo, un colpo in faccia sempre dato male può spaccare lo zigomo, ma generalmente non si utilizza, verrebbe anche male, a meno che non si prenda dal manico e si utilizzi come martelletto. Per quanto riguarda il sangue, quindi, non so darle una risposta. Probabilmente, gli scontri di cui siamo stati protagonisti a Genova rientravano in una situazione particolare. C'è la possibilità che qualcuno abbia utilizzato gli strumenti in dotazione nella maniera sbagliata. Le fotografie parlano


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chiaro, qualcuno è stato visto con lo sfollagente rovesciato. Però mi consenta, onorevole Boato, qualche volta i nostri ragazzi, pur essendo addestrati in un certo modo, debbono fronteggiare situazioni in cui il rapporto di forza è, come minimo, di uno a dieci, uno a quindici, uno a venti. Allora, anche se non è giustificabile, può succedere che qualcuno giri lo sfollagente per renderlo più...
MARCO BOATO. Aggressivo...
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Sì, aggressivo. Mi perdoni lo sfogo - non ritengo di fare nulla di grave - ma vorrei dire che da un anno a questa parte noi (mi metto in mezzo anch'io) del dipartimento pubblica sicurezza della Polizia di Stato abbiamo attuato un cambiamento veramente epocale, direi quasi una rivoluzione copernicana, nei servizi di ordine pubblico: ad esempio, abbiamo istituito una scuola per l'addestramento a livello nazionale. Una volta i reparti erano un ricettacolo di persone che erano state punite: invece, da un anno a questa parte, non dico che queste non arrivino più, ma sicuramente ciò avviene in misura molto minore, addirittura quasi nulla. Abbiamo veramente cercato di cambiare la filosofia di impiego di questi reparti. Sicuramente c'è molto da fare, ma le posso assicurare, onorevole Boato, che molto è stato fatto perché le cose si svolgessero in maniera più «democratica», anche se l'espressione potrebbe apparire un po' forte. Certamente «la mamma dei cretini è sempre incinta», si sa; quindi, se qualcuno ad un certo punto ha esagerato, se ne occuperà l'inchiesta della magistratura.
MARCO BOATO. Vorrei solo capire, le responsabilità le accerteranno altri.


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GRAZIA LABATE. Il dottor Donnini - penso che lascerà agli atti il testo della sua relazione - ci ha parlato della lunga fase di addestramento e di aggiornamento del personale della polizia, iniziata molto prima, congruamente per tempo, per i nuovi compiti che spettano alle forze dell'ordine, anche in relazione all'evoluzione degli avvenimenti.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Sì, nella mia relazione ho accennato al fatto che, in passato, uno screening, un monitoraggio dei vari reparti aveva evidenziato un grandissimo aumento del numero dei feriti. Questo ci aveva fatto capire che qualcosa stava cambiando nell'ordine pubblico, ma soprattutto che i reparti avrebbero dovuto adeguarsi alle nuove esigenze.
GRAZIA LABATE. Ho compreso perfettamente. Anche ieri abbiamo sentito dal dottor Canterini come si è svolto tutto il periodo di addestramento, quante unità ha riguardato e che, al termine era stata eseguita anche una specie di simulazione, alla presenza del ministro dell'interno.
La prima domanda che vorrei rivolgerle è se, al di là delle tecniche, dei materiali e delle innovazioni (anche delle tute), in vista di un'occasione come quella del G8 di Genova - non lo dico ex post, perché sono deputata genovese e ho vissuto lì quei giorni difficili -, l'addestramento secondo la sua lunga esperienza, doveva comprendere anche la simulazione in blocco della movimentazione dei reparti celeri il questore ci ha lasciato un ricco dossier, non solo la sua ordinanza del 12 luglio posto che il quadro dei luoghi in cui si sarebbero tenute le piazze tematiche o la manifestazione non autorizzata (che però era oggetto di una richiesta respinta) era noto. Nessuno pensò che, forse, visto che il personale addestrato operava in una città sconosciuta ed anche di difficile percorribilità,


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sarebbe stato importante, arrivare alcuni giorni prima - lei afferma che siete arrivati un po' di giorni prima - per effettuare sopralluoghi per la movimentazione, quanto meno vicino alle piazze tematiche, poiché quelle da tempo si conoscevano?
La seconda domanda le è già stata rivolta da alcuni colleghi e non vorrei che lei prendesse questa mia per testardaggine o pervicacia. È certo però che oramai ci troviamo di fronte ad una specie di rebus di impossibile soluzione, perché, per quanto riguarda la vicenda della Diaz - che, come lei potrà immaginare, è una questione assai particolare ancorché all'attenzione della magistratura - credo sia importante determinare tempi e metodi.
Ci troviamo di fronte - debbo darle atto in questa sede - ad una conferma della ricezione della telefonata da parte della questura: lei parla delle 21-21,30, minuto più minuto meno (è difficile dirlo ed occorre tenere conto anche dello stato psicologico in quelle giornate). Dopodiché, si rende conto delle unità che può mettere a disposizione, avverte il questore che le dice di tenersi pronto per quell'ora. A pagina 38 del resoconto stenografico dell'audizione del questore Colucci nella seduta del 28 agosto - ahimè - trovo invece un'altra descrizione da parte del questore di Genova, il quale sostiene che alle 22,20 viene informato che in via Cesare Battisti ci sono stati gli episodi di assalto a due volanti. A questo punto, preso atto dell'informazione, indica al dottor Mortola, capo della DIGOS genovese, di fare un sopralluogo. Poi, il dottor Mortola torna in questura.
Ora, chi le parla conosce Genova. Lei sa che dalla questura di Genova per arrivare alla Diaz... Voglio dire: il dottor Mortola si muove con una macchina veloce...


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VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Non so dove sia la Diaz.
GRAZIA LABATE. In via Cesare Battisti: ci vogliono cinque minuti in macchina, forse sono anche tanti.
Dopodiché, si decide, al ritorno del dottor Mortola, di effettuare l'operazione, più o meno intorno alle 23. Domando...
VALERIO DONNINI, Funzionario della direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Quindi, si sostiene che la telefonata mi sarebbe arrivata intorno alle 23?
GRAZIA LABATE. No, il questore non dice quando la telefonata è arrivata a lei, ma dice che alle 22,20, egli, questore di Genova, apprende ciò che è avvenuto in via Cesare Battisti. Quindi, manda il dottor Mortola ad effettuare un sopralluogo della zona; il dottor Mortola torna in questura, riferisce del sopralluogo e cioè di aver visto un centinaio di persone, alcune con la funzione di vedetta rispetto agli altri...
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza.Ho capito perfettamente.
GRAZIA LABATE. A quel punto decidono di compiere l'operazione; dopodiché mi aspetterei, se così sono andate le cose, che poi le telefonino e le dicano: si allerti insieme ai suoi uomini. Invece abbiamo da lei e dal dottor Canterini una versione diversa: tra le 21 e le 21,30, anche le 21,45, il questore le ha telefonato avvertendola della imminente operazione, degli incidenti verificatisi e sollecitandola ad attrezzarsi con i suoi uomini.


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PRESIDENTE. Onorevole Labate, deve leggere tutta la frase. In effetti il questore Colucci ha detto: «venivo informato». Però se legge il contesto, parla anche della riunione tenutasi a quest'ora. Se lei lo dovesse ritenere opportuno, chiederemo all'ex questore di puntualizzare se quella è l'ora della telefonata o dell'incontro svoltosi nel suo ufficio.
GRAZIA LABATE. Poi prosegue, presidente, e dice: «Nella circostanza nel mio ufficio erano presenti...»
PRESIDENTE. Quindi, sta parlando di quella circostanza alle 22,20. Ritengo che il dottor Donnini oggi abbia confermato che era a cena con talune persone e che ha ricevuto la telefonata intorno alle 21,30. Credo che su quest'argomento non possiamo aggiungere altro. Quindi, se desidera porre altre domande...
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Si tratta delle 21,30-21,45.
GRAZIA LABATE. Era importante questa puntualizzazione. Se il presidente è d'accordo, potremmo richiedere al questore Colucci una precisazione circa la dinamica di questi orari di cui sono state date diverse versioni.
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Per quanto riguarda la prima domanda, lei mi chiede se sarebbe stato possibile arrivare prima per addestrare i reparti a muoversi a Genova. Noi questo lo abbiamo fatto, ovviamente non con tutti i reparti, ma con i dirigenti. Ho fatto cenno, nella mia relazione, al fatto che dall'11 al 14 luglio, credo, tutti i funzionari, i dirigenti dei servizi di ordine pubblico - quindi, quelli che


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materialmente avrebbero dovuto impiegare la forza in servizio - hanno effettuato dei sopralluoghi per vedere dove, come, quando e perché si sarebbero dovuti muovere.
Per quanto riguarda gli uomini, ciò non è stato fatto, ma non sarebbe stato neppure possibile. Lei pensi, onorevole Labate, che abbiamo temuto di non poter essere nelle condizioni di accogliere tutti gli uomini che arrivavano di rinforzo perché le navi affittate tardavano ad arrivare. Purtroppo, si era nel mese di luglio e tutte le imbarcazioni erano impiegate in crociera. Qualcuna per avaria o quant'altro, non è potuta intervenire; quindi, abbiamo dovuto ripiegare su altre. Pertanto, ci sarebbe stato impossibile far pervenire i reparti prima ancora della data stabilita.
PRESIDENTE. Dottor Donnini, oltre alla relazione lei si era riservato di consegnarci un manuale?
VALERIO DONNINI, Funzionario direzione centrale affari generali-dipartimento pubblica sicurezza. Consegnerei il manuale di base dell'addestramento che abbiamo effettuato, nonché la ...
Relazione del gruppo di lavoro sulle tecniche di intervento e sulle dotazioni utilizzate in occasione di servizi di ordine pubblico dalle principali forze di Polizia dell'Unione europea.
PRESIDENTE. La ringrazio a nome del Comitato per il suo contributo.
Sospendo la seduta fino alle 15.
La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15,10.
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Questa mattina abbiamo inviato ai tre ispettori del Ministero dell'interno delle lettere di richiesta di


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chiarimenti. Comunico che il dottor Micalizio ci ha subito risposto con la seguente lettera:
«In relazione alla richiesta n. 1611/Comm./I, qui pervenuta in data odierna, le comunico che:
nella mattinata del 27 luglio ultimo scorso ho ricevuto dal Capo della Polizia - Direttore generale della Pubblica Sicurezza l'incarico di svolgere accertamenti su un episodio particolare avvenuto in occasione del vertice G8 in Genova.
L'episodio in questione è quello relativo alla perquisizione effettuata presso la scuola Diaz-Pertini.
Nella stessa giornata mi sono recato a Genova, unitamente ai colleghi Salvatore Montanaro e Lorenzo Cernetig, anch'essi incaricati di accertamenti per altri episodi avvenuti durante il vertice.
Nel pomeriggio del 31 luglio ho consegnato al Capo della Polizia - Direttore generale della Pubblica Sicurezza la relazione concernente gli accertamenti richiesti.
Per quanto a mia conoscenza tale relazione è stata trasmessa dal Dipartimento della P.S. a codesta Commissione.
Rimango, comunque, a Sua disposizione per chiarire eventuali ulteriori punti di interesse specifico per la Commissione da Lei presieduta.
Colgo l'occasione per inviarle i migliori saluti.
«Firmato: Il Direttore Pippo Micalizio».
Per quanto riguarda i tre ispettori, invito chi abbia interesse a formulare precise richieste di chiarimento, così da poter fornire loro gli argomenti su cui eventualmente intrattenersi, perché questa risposta lascia intendere che oltre a quella relazione gli ispettori non sono in condizioni di fornire altre spiegazioni che possano essere utili, salvo eventuali quesiti che ritenessimo opportuno porre.


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Invito pertanto tutti coloro che avessero interesse a rivolgere ai tre ispettori delle richieste specifiche a comunicarmele, perché gradirei dare una risposta ed un seguito a questa lettera.
MARCO BOATO. Se ho ascoltato bene, e da ciò che capisco, questa lettera è il risultato delle notizie giornalistiche; poiché le nostre audizioni vengono trasmesse da Gr Parlamento, da Radio Radicale e così via, sono emerse, da parte di alcuni dei soggetti «indagati» (dal punto di vista amministrativo), delle contestazioni nei confronti dell'operato degli ispettori ministeriali, in particolare dell'ispettore Micalizio. Mi pare sia una forma ovvia e comprensibile di autotutela e di piena disponibilità nei nostri confronti; tuttavia la relazione c'è, fa testo e quello che c'è scritto lo conosciamo.
PRESIDENTE. Certo, ma poiché, come era stato richiesto da qualcuno di noi, vi era l'intenzione di audire l'ispettore Micalizio per avere dei chiarimenti, sempre sulla base di quella relazione, vi invito a richiederli in questa sede.
MARCO BOATO. Non è che io mi opponessi alla sua proposta.
PRESIDENTE. Invito i componenti il Comitato a mettere per iscritto eventuali domande o richieste di chiarimenti da rivolgere ai tre ispettori, in modo tale da poter dare seguito alla comunicazione.
FILIPPO MANCUSO. Mi rifiuto, signor presidente, di cedere a questo umiliante escamotage individuato da persone che, disponibili a collaborare, ne dettano le condizioni e, in sostanza, avvalendosi dell'atto di compiacenza che ha avuto questo Comitato, dispensandole da una audizione diretta e personale.


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Mi rifiuto di collaborare a questa richiesta.
PRESIDENTE. Mi pare di capire, presidente Mancuso, che lei non è d'accordo nel chiedere ai tre ispettori chiarimenti.
Credo di aver chiarito che, questa mattina, l'ufficio di presidenza, composto da tutti i rappresentanti dei gruppi politici, ha ritenuto di non ascoltare i tre ispettori. Ritengo che questa decisione debba essere rispettata perché non è stata assunta soltanto dal presidente o da una parte dei componenti il Comitato. L'ufficio di presidenza ha ritenuto che le relazioni presentate potessero essere sufficienti; in aggiunta è stato deciso di inviare una lettera per capire se gli stessi ispettori potessero disporre di altri elementi da comunicare al Comitato. Le lettere sono state inviate questa mattina e nella risposta il dottor Micalizio dichiara la sua disponibilità e, allo stesso tempo, ci invita a chiarire su quali punti vorremmo interloquire.
FRANCO BASSANINI. Il punto su cui credo dovremmo riflettere è che, come a tutti è parso evidente, sono emerse una serie di contraddizioni nella ricostruzione dei fatti.
Non so se possiamo accontentarci del fatto che alcuni hanno parlato prima e altri hanno parlato dopo e che quelli che vengono dopo smentiscono quelli che vengono prima. In alcuni casi forse queste contraddizioni possono essere spiegate e sciolte, in altri non so. Sarebbe però utile un meccanismo che ci consenta, per quanto possibile, di arrivare ad una qualche certezza nella ricostruzione dei fatti. Un meccanismo può essere quello, altre volte applicato nelle indagini conoscitive, di audire le persone insieme e di rivolgere la stessa domanda a tutte; altro meccanismo può essere quello di scrivere loro e spiegare che alcuni hanno dichiarato delle cose e altri ne hanno dichiarate altre, chiedendo loro di chiarire


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come mai vi sono queste versioni differenti che riguardano fatti, non opinioni. Ciò è imbarazzante per noi, perché finché si tratta di opinioni ciascuno ha la propria e ne prendiamo atto (ci può essere chi riteneva di dover seguire una certa tattica di contrasto nei confronti delle organizzazioni violente, chi un'altra) ma quando si parla di ricostruzione dei fatti è tutt'altra cosa! Dunque potremmo sentirli insieme, oppure mandare loro delle precise richieste di chiarimento, oppure - altra soluzione semplicissima - inviare loro i resoconti stenografici, dicendo: cari signori, come vedete dagli stenografici, emergono ricostruzioni diverse e vorremmo, pertanto, conoscere le vostre valutazioni e le vostre ulteriori precisazioni. Qualcuno peraltro lo ha già fatto. Qualcuno - cosa imbarazzante per lui, non per noi - ha dichiarato di essersi sbagliato nel riferire al Comitato. Il dottor Canterini, addirittura nella stessa giornata di ieri, ha dichiarato di essersi sbagliato nel fare alcune dichiarazioni. Ciò è imbarazzante per lui e non per noi che proseguiamo nella nostra ricerca della verità.
SAURO TURRONI. In relazione a quanto lei ha appena dichiarato, considerate anche talune contraddizioni e discrepanze che sono emerse e alcuni problemi che inizialmente non conoscevamo, può darsi che nell'ufficio di presidenza convocato per la giornata di venerdì alle 8,30 saremo indotti, da ragioni che potremo valutare insieme, ad individuare qualche altro soggetto da audire.
Credo che la questione che abbiamo valutato adesso possa essere nuovamente affrontata venerdì mattina, riservando la giornata di lunedì ad un'eventuale altra audizione.
Mi permetto di sottolineare un'altra questione. Avendo diligentemente cercato di esaminare i materiali che ci sono stati trasmessi, ho potuto prendere visione di quello inviatoci dalla RAI, di difficile utilizzo a causa dell'impiego dei CD, che


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consentono una visione in formato assai ridotto di fatti che hanno riguardato territori molto vasti; pertanto non è facile individuare piccoli particolari. Faccio un esempio: l'altro giorno ho visto un filmato nel quale si notava che l'assalto ai manifestanti in via Tolemaide era guidato, seppure in posizione retrostante, da un funzionario di pubblica sicurezza: dal televisore piccolo si vedevano invece solamente i carabinieri. I telegiornali RAI delle tre giornate (20), (21), (22 luglio), nei quali si è operata una selezione dei materiali - che peraltro abbiamo già visto - non ci consentano di capire assolutamente nulla: si tratta di piccolissimi spezzoni. Bisognerebbe richiedere alla RAI il filmato, in particolare, di quel programma della durata di un'ora che la RAI ha deciso di non trasmettere perché sembra contenesse scene particolarmente violente.
La seconda questione riguarda la possibilità che una televisione privata di Genova (Primo canale) abbia ricevuto una consistente somma da parte dello Stato, diciamo così, per organizzare postazioni fisse e trasmettere continuativamente le immagini; purtroppo, però, queste immagini, che sarebbero stati utili non ci sono state inviate. Quindi chiedo che la RAI ci mandi il filmato e non la trasmissione dei telegiornali (di cui non sappiamo cosa fare, possono servirci solo per memoria) e che il Primo canale di Genova ci faccia pervenire il suo materiale.
PRESIDENTE. Abbiamo già inviato una lettera di richiesta a tutte le reti (compresa Primo canale), in data 9 agosto e non ci è pervenuto nulla. Nella stessa data abbiamo spedito una lettera alla RAI, al dottor Zaccaria, in cui comunichiamo leggo testualmente che «il Comitato intende acquisire ogni documentazione utile ai fini dell'indagine stessa. Le chiedo pertanto di valutare la possibilità di inviare al Comitato medesimo tutto il materiale audio e video in vostro possesso che ritiene


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pertinente rispetto all'oggetto dell'indagine. L'invio di detto materiale potrà essere effettuato alla segreteria della I Commissione». A seguito della richiesta avanzata dal presidente Violante, in data 30 agosto abbiamo richiesto le trascrizioni dei giornali radio trasmessi dalla RAI in merito ai fatti oggetto dell'indagine: ho letto questa mattina la risposta della RAI che dichiarava la propria indisponibilità, da subito, ad adempiere a tale istanza. Senza attendere l'ufficio di presidenza di venerdì mattina, reitero la richiesta alla RAI, con riferimento al complesso del materiale e non solo a quello dei telegiornali. Credo che possiamo essere tutti d'accordo.
Per quanto riguarda le reti di Genova, trasmetterò un'ulteriore sollecitazione. Tuttavia, onorevole Turroni, in data 9 agosto abbiamo avanzato la richiesta alle televisioni: Tele Genova è l'unica che dopo quattro o cinque giorni ci ha inviato il materiale che aveva registrato.
Proporrei che tutte le richieste avanzate, comprese quelle del senatore Bassanini, siano affrontate dall'ufficio di presidenza di venerdì prossimo. Al riguardo, vi invito a formulare richieste di carattere definitivo perché se intendiamo dedicare un'altra giornata ad ulteriori audizioni, dobbiamo valutare compiutamente quali soggetti ascoltare. Credo che il calendario di questa settimana non lo consenta, però in sede di ufficio di presidenza di venerdì sarà possibile discutere ed eventualmente rivedere le decisioni già assunte.
Audizione del generale Giampaolo Ganzer, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del generale Giampaolo Ganzer, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri.


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Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio, anche a nome del Comitato, il generale Ganzer per aver accettato il nostro invito ed aver fornito la sua disponibilità ad horas. Il generale Ganzer ha predisposto una relazione, della quale lo prego di dare lettura.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Signor presidente, onorevoli membri del Comitato, il Raggruppamento operativo speciale di cui sono Vicecomandante, nel rispetto delle proprie competenze istituzionali in materia di contrasto dell'eversione ed in aderenza alle direttive del comando generale dell'Arma, ha profuso uno specifico impegno operativo in occasione del vertice G8 di Genova. Tale impegno, avviato per tempo, in buona parte scaturiva dall'ampia attività informativa originata da organi istituzionali, secondo cui formazioni eversive o terroristiche, di matrice interna ed internazionale, avrebbero potuto sfruttare la scadenza per azioni clandestine, allo scopo di ricercare la massima visibilità. Il comando del ROS disponeva quindi l'invio in Genova di 45 militari, prescelti tra gli appartenenti al reparto antieversione centrale e tra le sezioni anticrimine maggiormente interessate alla problematica, allo scopo di


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potenziare l'attività investigativa già condotta in loco dalla sezione anticrimine di Genova ed assicurare, a ragion veduta, l'avvio di eventuali ulteriori indagini.
L'impegno in parola si traduceva, ovviamente, in attività tipiche di polizia giudiziaria, dirette dalla procura della Repubblica di Genova, informata anche del citato potenziamento. Nel contempo, numerose altre sezioni anticrimine del Raggruppamento conducevano distinte attività in tale settore, riferendone alle autorità giudiziarie rispettivamente competenti, dalle quali venivano di volta in volta autorizzate a fornire al comando del Raggruppamento ed alla sezione anticrimine di Genova gli elementi utili per la specifica esigenza.
Proprio allo scopo di assicurare un tempestivo e completo accordo tra i diversi reparti del ROS, mi portavo a Genova il giorno 19 luglio, trattenendomi fino al 22 successivo. Avevo altresì partecipato il 24 aprile ultimo scorso ad un seminario per i comandanti dei reparti mobili dell'Arma e della Polizia di Stato, indetto dall'ufficio coordinamento del dipartimento della pubblica sicurezza, allo scopo di analizzare la minaccia rappresentata dai gruppi antagonisti.
Dalle complessive risultanze delle attività condotte a ridosso del vertice, non emergevano tuttavia elementi idonei ad avvalorare la minaccia terroristica, mentre veniva registrato un diffuso fermento nell'ambito di ampie frange di matrice autonoma ed anarchica, indicativo di una forte carica antagonista e della propensione alla violenza di queste componenti. Ne costituiva riscontro l'attentato nei confronti di militari della stazione dei carabinieri di San Fruttuoso, immediatamente ascritto alla matrice anarco-insurrezionalista, come gli analoghi plichi incendiari pervenuti a Ponzano Veneto (Treviso), a Milano ed al prefetto di Genova. Venivano altresì registrati


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contatti con gruppi stranieri, in particolare tedeschi, che, posso aggiungere senza entrare nel merito delle attività investigative tuttora in corso, avrebbero poi effettivamente ed attivamente partecipato alle devastazioni nel capoluogo ligure.
Preciso anche che, sempre con l'assenso dell'autorità giudiziaria, i comandanti delle sezioni anticrimine hanno costantemente tenuto al corrente i comandanti provinciali di Genova e delle altre province sugli spunti di interesse desunti dalle indagini in corso, facendone altresì oggetto di analisi congiunta con gli organi operativi degli stessi comandi provinciali.
La sezione anticrimine di Genova, potenziata, come ho già detto, sviluppava una serie di investigazioni per ipotesi di reati eversivi senza rilevare, peraltro, una diretta partecipazione degli indagati ai disordini di piazza, né uno specifico interesse all'organizzazione delle manifestazioni.
Il giorno 20 luglio, a seguito di perquisizione domiciliare disposta dalla procura della Repubblica di Genova, veniva tratto in arresto Cozzi Marco, trentenne aderente al locale centro sociale Inmensa, trovato in possesso di un ordigno esplosivo del tipo «Pipe bomb» e di sostanze chimiche la cui combinazione avrebbe potuto provocare temibili effetti dirompenti.
I servizi di osservazione e di pedinamento venivano intensificati al termine delle manifestazioni, anche allo scopo di individuare elementi e gruppi antagonisti, con particolare riferimento a quelli di ispirazione anarchica denominati black bloc, resisi responsabili delle ripetute azioni di devastazione e saccheggio contro i beni mobili e immobili. Da uno di questi servizi di pedinamento scaturiva il fermo di polizia giudiziaria di 25 stranieri, per lo più austriaci, controllati nel pomeriggio del 22 luglio in Recco e trovati in possesso di diversificati materiali atti ad offendere: caschi protettivi, maschere antigas,


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ricetrasmittenti, capi di abbigliamento di colore nero usati ed altro materiale attestante una loro riconducibilità alla citata area estremista. Otto di costoro presentavano, altresì, lesioni ed escoriazioni, le quali in sede di visita medica venivano fatte risalire ai giorni immediatamente precedenti ed indicavano, quindi, una loro partecipazione ai disordini.
Il fermo di polizia giudiziaria veniva convalidato dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari di Genova, il quale emetteva provvedimento di custodia cautelare per partecipazione ad associazione finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Il 14 agosto il tribunale del riesame scarcerava gli indagati per carenza di gravi indizi di colpevolezza. Gli stessi venivano immediatamente espulsi dal territorio nazionale.
Il Raggruppamento, su delega della procura della Repubblica di Genova, prosegue le indagini sulla specifica componente, per verificare l'esistenza e l'operatività di una struttura sufficientemente stabile e di un programma di azioni di violenza contro le cose e contro le persone, preciso e preordinato, tale da configurare la sussistenza dell'ipotesi associativa. Lo sforzo investigativo punta, pertanto, ad approfondire tutti gli aspetti utili per una compiuta ricostruzione dei fatti specifici ed, altresì, a chiarificare, anche attraverso la cooperazione con gli altri paesi, il fenomeno aggregativo internazionale.
PRESIDENTE. Ringrazio il generale Ganzer per la sua relazione.
Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto di parlare.
FILIPPO ASCIERTO. Intervengo brevemente, in modo da lasciare anche a gli altri colleghi la possibilità di farlo.


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Esprimo innanzitutto, signor generale, il mio ringraziamento e quello di tanti altri cittadini italiani per il lavoro di intelligence preventivo, ed anche repressivo, come nel caso dei 25 black bloc fermati.
Le chiedo, in primo luogo quali siano gli strumenti sequestrati sul furgone ai black bloc. Ciò che ci meraviglia è la carenza di gravi indizi sentenziata dall'autorità giudiziaria nel rimetterli in libertà.
Inoltre, vorrei sapere, se vi siano state intercettazioni telefoniche operate, in via preventiva, dal ROS e se tra le tante intercettazioni telefoniche effettuate, di cui ci ha parlato La Barbera, e quindi suppongo effettuate anche da parte del ROS, ne sia qualcuna che non fa parte di contestazioni dell'autorità giudiziaria su fatti-reato e se lei possa farla avere al Comitato, attraverso una richiesta che articoleremo con il presidente.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto riguarda il materiale sequestrato, l'ho già elencato sommariamente: ci sono bastoni, coltelli, maschere antigas, caschi, materiale per la copertura e per la protezione di articolazioni, numerosi capi di abbigliamento di colore nero, visibilmente utilizzati perchè ancora impregnati di sudore ed, infine, della documentazione fotografica, la quale secondo le nostre valutazioni attestava la predisposizione da parte di costoro di attrezzature ed anche di striscioni sicuramente riconducibili alla matrice black bloc, ma che nella valutazione del tribunale del riesame non sono risultati sicuramente attribuibili a singoli indagati. Ad ogni modo, non posso entrare nel merito delle valutazioni del tribunale del riesame, con riferimento alle quali, peraltro, la procura della Repubblica di Genova ha già avanzato ricorso per Cassazione. Posso solo aggiungere che la carenza di gravi indizi di responsabilità ovviamente non significa che le indagini siano


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cessate e che gli elementi investigativi a carico di costoro siano venuti meno. Si tratta di una pronuncia intermedia di un'indagine preliminare ancora in corso, anzi direi appena iniziata.
Per quanto concerne le intercettazioni telefoniche, non ne abbiamo effettuata alcuna preventiva. Le nostre intercettazioni sono esclusivamente di tipo giudiziario.
Peraltro, in materia di eversione, non è ammesso al momento lo strumento dell'intercettazione preventiva, almeno secondo l'interpretazione di quasi tutte le autorità giudiziarie. Si tratta, quindi, di atti, di trascrizioni che sono ricompresi in indagini preliminari in corso e pertanto non sono attualmente ostensibili.
LUCIANO VIOLANTE. Lei, generale, era l'ufficiale dei carabinieri più alto in grado a Genova?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Sicuramente no. A Genova c'è un comandante di regione, il generale Desideri, se non altro molto più anziano di me.
LUCIANO VIOLANTE. Il generale Desideri era operativo in Genova durante il G8?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Era presente.
LUCIANO VIOLANTE. Può precisare, per cortesia, qual è stato l'impiego dei ROS ed, altresì, quali sono state le funzioni da lei concretamente rivestite nei giorni del vertice?
Vorrei, inoltre, chiederle se presero contatto con lei, o con altri ufficiali dell'Arma, gli esponenti di Alleanza nazionale che


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si trattennero nella sala operativa dell'Arma dei carabinieri. Può fornirci dei particolari su questa visita, in termini di durata, scopo della stessa e così via?
Infine, lei ha giustamente focalizzato i risultati delle indagini svolte preventivamente, individuando la propensione alla violenza di componenti del movimento. Vorrei sapere, sulla base delle vostre informazioni, in che rapporto fossero queste componenti con il complesso del movimento. Erano, cioè, componenti minoritarie o erano, invece, componenti particolarmente significative?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Come ho già anticipato, l'impiego del Raggruppamento, quindi del personale del ROS, anche nei giorni del vertice è stato esclusivamente un impiego di polizia giudiziaria, limitato alle attività di indagine nei confronti dei soggetti che già erano sottoposti a indagini preliminari disposte dalla procura della Repubblica di Genova, così come in altre sedi sono continuate le indagini disposte da altre procure della Repubblica: il personale del ROS non è mai stato impiegato in attività di ordine pubblico. Posso aggiungere che addirittura tale personale era comandato in missione a Genova per indagini di polizia giudiziaria, espressamente indicate anche negli atti amministrativi che ne disponevano l'impiego nel capoluogo ligure. Per quanto concerne i contatti con esponenti e parlamentari di Alleanza nazionale a Genova...
LUCIANO VIOLANTE. Le chiedevo informazioni non solo circa le funzioni del ROS ma anche sulle sue funzioni specifiche in quel contesto.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Le mie funzioni sono rimaste esclusivamente


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quelle che ho indicato, cioè di raccordo tra la componente del ROS operante a Genova ed eventuali attivazioni, di natura investigativa sul fronte dell'eversione, provenienti da altre nostre articolazioni operanti sull'intero territorio nazionale. Non è arrivata alcuna attivazione in tema di eversione nei giorni del vertice.
Per quanto concerne i parlamentari di Alleanza nazionale, posso solo dire di aver incontrato e salutato occasionalmente, nella sede del comando provinciale, il giorno 20 luglio, l'onorevole Ascierto e, il giorno 21, anche il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, ma, al di là del saluto, non vi è stato alcun tipo di rapporto, in quanto la loro presenza e la doverosa relazione nei loro confronti era assicurata dal comandante provinciale.
Per quanto concerne, invece, i rapporti tra componenti estremiste, maggiormente facinorose, rispetto ad altre componenti che pure hanno partecipato alle manifestazioni, tenendo presente, anche in tal caso, che è in corso l'opera di identificazione dei singoli soggetti e della loro matrice, ritengo che si tratti di alcuni gruppi, di alcuni centri sociali e nel contempo vi sia stata l'assoluta estraneità rispetto ai disordini della componente maggioritaria.
MARCO BOATO. Riguardo all'informazione che ci ha dato e per la quale la ringrazio - ho preso appunti molto in fretta in quanto lei ha letto un po' rapidamente, perciò le chiedo scusa se ho scritto in modo imperfetto - mi pare che lei abbia detto che dell'attività investigativo-informativa che stavate doverosamente e istituzionalmente svolgendo davate notizia ai comandi provinciali di Genova e ad altri per gli spunti di particolare interesse. Vorrei chiederle se vi è stato, eventualmente in forma biunivoca, anche un rapporto di informazione o di scambio di notizie da parte vostra con i Servizi di


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informazione, cioè SISMI, SISDE e CESIS, inerente a tale attività di carattere informativo e investigativo. Mi pare che lei abbia risposto poc'anzi anche al presidente Violante, ma anche a tale proposito vorrei chiederle maggiore precisione.
Mi sembra che lei abbia detto che avete tenuto sotto controllo, nel periodo precedente il G8, persone indagate per fatti eversivi, ma che non vi risulta che tali soggetti, che istituzionalmente controllavate, abbiano avuto alcun rapporto con le manifestazioni di piazza. Può confermarmi questa informazione? Mi pare che corrisponda, in qualche modo, a ciò che ha detto poc'anzi il presidente Violante.
Lei ha accennato, alla fine della sua relazione, alla cooperazione con altri paesi. Da parte di altri esponenti delle forze dell'ordine (in questo caso le forze di polizia in particolare, il prefetto La Barbera, responsabile all'epoca della polizia di prevenzione) si è parlato di cooperazione positiva con alcuni paesi e difficoltà con altri, e di una cooperazione importante giorni del G8 ma molto più difficile nella fase precedente. Vorrei chiederle se può approfondire tale spunto che ha citato - se non sbaglio - nella parte conclusiva della sua relazione.
Per quanto riguarda l'episodio specifico sul quale lei ha incentrato la sua relazione, ho sentito in precedenza un collega esprimere giudizi pesanti sul tribunale del riesame di Genova, ma come lei sa - mi rivolgo al presidente - non è nostro compito esprimere giudizi sull'autorità giudiziaria, che - come lei ha correttamente detto - svolge le proprie indagini e delibera i propri giudizi nei vari gradi. L'episodio in questione è noto anche dai rapporti del SISMI non vorrei sbagliarmi. Siamo di fronte alla vicenda riguardante la Volx ttheater karawane (in tedesco è femminile: die Volx theater karawane). Si tratta di un gruppo - risulta anche dai rapporti del SISDE


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- che svolge il cosiddetto teatro di piazza in tutta Europa, che è ampiamente conosciuto dai Servizi di informazione italiani ma anche austriaci e tedeschi, che ha svolto attività teatrale in varie località con gli strumenti che lei ha ricordato (striscioni, maschere antigas, eccetera), e che da voi è stato fermato. Non critico tale attività di polizia giudiziaria, di cui prendo soltanto nota. Il gruppo è stato fermato a Recco il 22 luglio scorso, e quindi, per queste persone, non vi è stato, in flagranza di reato, un fermo di polizia giudiziaria o un arresto. Il giudice per le indagini preliminari ha confermato il fermo trasformandolo in custodia cautelare e il tribunale del riesame il 14 agosto ha deciso diversamente. Io non le chiedo giudizi in quanto non è giusto farlo. Le domando, però, se si tratta di tale gruppo, cioè se i soggetti, che lei mi pare abbia attribuito in qualche modo al gruppo black bloc anarchico-insurrezionalista, in realtà erano o siano a posteriori risultati appartenenti al gruppo teatrale Volx theater karawane, già noto ai servizi di informazione italiani ed europei.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne i rapporti con i Servizi di informazione, innanzitutto il referente istituzionale per l'Arma dei carabinieri è il comando generale, che ha trasmesso al raggruppamento operativo speciale e a tutti i comandi territoriali interessati le attivazioni informative che di volta in volta giungevano, sia in relazione alla minaccia eversiva e terroristica, sia in relazione alle indicazioni rilevanti per l'ordine e la sicurezza pubblica. Oltre a ciò vi sono state alcune riunioni indette presso il CESIS, alle quali hanno partecipato rappresentanti di tutte le forze di polizia e, ovviamente, dei servizi di informazione: anche in tale caso il referente, il rappresentante istituzionale è stato il comando generale. L'ufficiale del comando generale in due circostanze è stato anche accompagnato


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dal comandante del reparto antieversione del ROS.
Per quanto concerne i servizi investigativi condotti nei confronti di una serie di soggetti indagati da varie procure della Repubblica per ipotesi di reato di natura eversiva, ho anticipato, e lo confermo, che non abbiamo rilevato un'implicazione, una partecipazione diretta di costoro - soggetti appartenenti a matrici diversificate, da quella anarchico- insurrezionalista ad altre - nei disordini e nell'organizzazione delle manifestazioni.
Relativamente alla cooperazione con altri paesi interessati al fenomeno dei black bloc, ne ho riferito esclusivamente sotto il profilo investigativo: si tratta cioè di attività investigative che abbiamo avviato su delega della procura della Repubblica di Genova e che stiamo ora coltivando. Ovviamente ci attendiamo una completa collaborazione. Questo anche perché il fenomeno in esame, relativamente recente, non rientra astrattamente neanche nel novero dei reati eversivi: la contestazione, infatti, è quella di associazione per delinquere, non quella di associazione sovversiva o di associazione sovversiva aggravata. È chiaro che esiste comunque una rilevante valenza oggettiva per la sicurezza degli Stati tale da richiedere anche il nostro impegno in materia.
Relativamente alle persone fermate, il cui fermo è stato convalidato dal pubblico ministero e trasformato in ordinanza di custodia cautelare in carcere dal giudice per le indagini preliminari e che è stato infine seguito dalla scarcerazione decisa dal tribunale del riesame il 14 agosto, confermo che il nucleo centrale è costituito da questo gruppo di attori di origine austriaca nei cui confronti - non voglio però affrontare una dialettica di tipo investigativo o dibattimentale - noi e la procura della Repubblica di Genova riteniamo di aver individuato forti elementi indiziari relativamente ad una loro


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attiva partecipazione ai disordini e ad una contiguità con altri gruppi di origine germanica sicuramente appartenenti alla componente black bloc. Su questo è in corso un'indagine preliminare.
SAURO TURRONI. Intendo rivolgere alcune domande al generale Ganzer proprio in merito agli ultimi argomenti trattati. Ho letto attentamente le informative del SISMI: ce ne sono ben quattro - datate 1o giugno, 12 giugno, 15 giugno e 2 luglio - che parlano in maniera molto precisa del gruppo teatrale cui faceva poc'anzi riferimento l'onorevole Boato, i no border, no nation.
MARCO BOATO. Il gruppo ha due denominazioni, una in inglese ed una in tedesco (che ho prima citato).
SAURO TURRONI. In ciascuna delle informative viene descritta con molta precisione tutta l'attrezzatura di cui dispongono questi signori, i mezzi con cui si spostano, gli obiettivi di natura politica e di natura propagandistica che si prefiggono, tra i quali quello di protestare e far conoscere nelle piazze d'Europa - stanno infatti organizzando un tour nelle piazze europee - i problemi che derivano dalla politica di restrizione degli accessi in Europa nei confronti di persone di altri paesi. Le informative riportano anche altre notizie, ed anzi rimandano, per chiunque volesse avere più informazioni a proposito di questo gruppo e a proposito dei loro programmi, al loro sito, di cui viene data la descrizione, o ad un'altra lista di siti.
Di questi signori si conosceva quindi tutto; anzi, cercavano di rendere pubbliche le loro idee ed i loro punti di vista. Quando vengono fermati il 13 luglio, cioè 11 giorni dopo l'ultima informativa, la perquisizione cui sono sottoposti


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permette di individuare esattamente i materiali che sono puntualmente descritti nelle informative del SISMI. Si trovano proprio quelli! Evidentemente le informative erano molto precise. Ciò che non quadra più è quello che accade in seguito, perché gli oggetti che sono stati trovati nella perquisizione del giorno 13, oltre ad essere gli stessi, sono anche molto più numerosi - i caschi erano una ventina - di quelli individuati il giorno 22 (tra l'altro chi individua per primo tali oggetti il giorno 22 è un carabiniere, che poi ne chiama altri e così via).
Ho letto le varie tesi che sono state presentate al tribunale del riesame sia a sostegno dell'ipotesi accusatoria sia a sostegno della difesa. Non voglio soffermarmi sui singoli elementi, però, per esempio, tutti quelli che riguardano l'impiego dei mezzi sono clamorosamente smentiti dagli accertamenti svolti. Dal momento che si conoscevano così bene le cose e che c'erano solamente gli indumenti, una maschera da sub e qualche altro «aggeggio» già ben conosciuto, vorrei capire qual è stato il meccanismo che ha fatto sì che queste persone - che pure erano state individuate, alcune anche identificate - siano state oggetto di un arresto anche se non individuate in flagranza di reato. Questo è un aspetto che non riusciamo assolutamente a comprendere, signor generale, perché non ci risulta che questi siano stati colti sul fatto mentre commettevano qualche atto, così come non risulta che avessero utilizzato alcunché.
Questo è un aspetto che vorremmo comprendere, perché credo che i cittadini debbano essere tranquillizzati sul fatto che partecipare a qualche manifestazione non è di per sé sufficiente per essere arrestati, magari il giorno dopo. Possono avere delle idee molto contrastanti con quelle sostenute da tanti altri, possono avere cartelli per inalberare i loro striscioni e le loro proteste, ma questo di per sé non è sufficiente.


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Considerati nel loro complesso, tutti questi elementi, non sembrano sufficienti per poter costruire un'ipotesi accusatoria come quella che è stata costruita e che ha portato alla carcerazione dei suddetti soggetti. Le volevo sottoporre tale questione.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Credo di poter rispondere solo parzialmente alla domanda poiché le valutazioni sugli indizi posti alla base del fermo di polizia giudiziaria e dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare evidentemente sono di competenza del pubblico ministero e del giudice che, per lo meno in quella fase, hanno ritenuto che tali indizi fossero tali da rendere necessario il provvedimento. Potrei aggiungere, senza entrare nel merito della valutazione della prova o gli indizi (non è mio compito), che sono stati acquisiti ulteriori elementi rispetto a quelli che sono stati elencati, la cui valutazione è comunque contenuta nell'ordinanza del tribunale del riesame. Pertanto, credo di non poter aggiungere altro, se non che si tratta di soggetti a pieno titolo tuttora indagati per l'ipotesi associativa contestata dalla procura della Repubblica.
GIANCLAUDIO BRESSA. Avrei bisogno di un chiarimento rispetto ad alcune sue affermazioni.
Nella sua relazione, lei ha fatto riferimento al fatto che il R.O.S. aveva verificato l'esistenza, prima del vertice, di contatti con alcuni gruppi tedeschi presenti a Genova, che successivamente sono stati protagonisti di azioni violente. Lei lo ha segnalato alla procura di Genova? Se avete accertato la presenza a Genova di questi gruppi, da voi in qualche modo intercettati nei contatti, quale sono le ragioni per cui non sono stati sottoposti ad un controllo più stretto o ad altre azioni?


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Il secondo chiarimento è riferito al fatto che il ROS, come lei ha affermato, è stato impegnato in attività di pedinamento, al termine delle manifestazioni, con lo scopo di intercettare i black bloc. Ha, inoltre, affermato che l'azione del ROS era orientata a seguire soltanto persone indagate o indagabili da parte della polizia giudiziaria. Questi pedinamenti, alla fine delle manifestazioni, sono avvenuti su indicazione della procura o su vostra iniziativa autonoma? In definitiva, vorrei capire se l'azione di pedinamento, al termine delle manifestazioni, era orientata dalla procura su alcuni soggetti predeterminati oppure avveniva sulla base di elementi accertati nel corso della giornata, durante gli scontri e le manifestazioni.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne l'indicazione relativa alla partecipazione di soggetti stranieri, in particolare provenienti dalla Germania, ai disordini di Genova, posso solo precisare, trattandosi di attività investigative in corso, che tali acquisizioni sono frutto di indagini tecniche; quelle più tipiche (ad esempio le intercettazioni telefoniche e ambientali) sono state tempestivamente riferite alla procura della Repubblica competente (non cito quale essa sia) e alla procura della Repubblica di Genova, su assenso della stessa procura della Repubblica competente.
GIANCLAUDIO BRESSA. Lei ha affermato, però, che queste persone intercettate sono poi arrivate a Genova e sono state protagoniste di azioni violente; il fatto che ce lo abbia detto significa che ciò è stato verificato. Perché, sebbene sia stata verificata la presenza di tali persone, non si è compiuto alcun intervento?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Perché è proprio questo il frutto delle acquisizioni


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tecniche, che possono essere originali, cioè per voce degli stessi soggetti che hanno partecipato alle devastazioni, ma non necessariamente....
GIANCLAUDIO BRESSA. Mi faccia capire. Lei vuol dire che anche questo tipo di informazione è derivata da intercettazioni tecniche? Non li avete visti compiere quelle azioni, ma avete intercettato una telefonata?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Telefonate o altro genere di acquisizioni formali, nell'ambito dell'indagine preliminare, da cui è emersa, in modo genuino e autentico, la partecipazione ai disordini.
GIANCLAUDIO BRESSA. Non in flagranza?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Non in flagranza, ma ad opera degli stessi interessati.
Per quanto riguarda i pedinamenti, che rappresentano una delle attività tipiche da cui si sviluppa l'investigazione del raggruppamento (i pedinamenti, le osservazioni sono, ovviamente, corredati da attività di ripresa audio e video, da intercettazioni telefoniche), essi riguardavano, anche nel corso delle manifestazioni, esclusivamente le situazioni e i soggetti già precedentemente indagati. È chiaro che nel momento in cui si sono verificate le devastazioni, i saccheggi ad opera di frange violente, soprattutto di origine straniera (i cosiddetti black bloc), abbiamo concorso, con una parte del dispositivo, dopo il termine delle manifestazioni, alle attività del comando provinciale di Genova, che ha pure proceduto ad altre intercettazioni e ad altri fermi di polizia giudiziaria, per individuare alcune di queste componenti. Pertanto, è stata una attività successiva ed aggiuntiva a quella tipicamente investigativa.


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GIANCLAUDIO BRESSA. Quindi, ciò non è avvenuto su indicazione della procura della Repubblica.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. L'attività rivolta ai black bloc è stata concordata con la procura della Repubblica, ma originariamente non rientrava nell'indagine preliminare condotta dalla stessa procura della Repubblica e sviluppata da noi.
PIETRO FONTANINI. Signor generale, nella sua relazione lei ha fatto riferimento ai fatti che hanno preceduto il vertice del G8: mi riferisco, in particolare, agli attentati. Ricordiamo che purtroppo ne è stato protagonista anche un uomo dell'Arma, che ha aperto incautamente un pacco bomba. Si sono verificati una serie di avvenimenti che non possono essere ascrivibili a soggetti esteri, ma probabilmente sono partiti tutti dal territorio italiano. Come avete considerato tali fatti? Come sono stati utilizzati per prevenire ulteriori avvenimenti anche durante le manifestazioni del G8? Inoltre, signor generale, è possibile stilare una classifica per quanto riguarda la pericolosità dei centri sociali? Lei ha citato il componente di un centro sociale di Genova arrestato perché in possesso di un ordigno. È possibile conoscere questa classifica? In particolare, i centri sociali del nord-est come vengono da voi considerati ?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne gli attentati compiuti mediante l'invio di plichi esplosivi od incendiari, abbiamo immediatamente ritenuto attendibile ed autentico il documento di rivendicazione, che è andato parzialmente distrutto, relativo all'esplosivo pervenuto alla stazione dei carabinieri di San Fruttuoso e quello, risultato invece integro, relativo ai


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plichi incendiari inviati al direttore del TG4 Emilio Fede, alla sede della Benetton a Ponzano Veneto ed al prefetto di Genova. Si trattava dello stesso documento di rivendicazione che, oltre a far riferimento ai plichi esplosivi ed incendiari, con una graduazione basata sull'identità dei destinatari, alle «pentole scoppiettanti», ci permette verosimilmente di ascrivere nel novero anche un ordigno esplosivo rinvenuto e disinnescato a Bologna.
Tuttavia, ritengo pacifica la matrice anarco-insurrezionalista di tali azioni. Si tratta di azioni di tipo clandestino che possono essere considerate a tutti gli effetti opera di un'organizzazione che, secondo la nostra ferma convinzione e in base al risultato di indagini che proseguono da anni nei confronti di queste componenti, è basata su un apparente spontaneismo; in realtà, essa è strutturata su un doppio livello: uno di massa, che pratica in alcune occasioni la violenza diffusa e l'illegalità di massa (quella che in altri tempi veniva definita destabilizzazione) ed un livello di lotta clandestina armata, seppur di proporzioni sinora limitate, che rappresenta quella che, secondo i termini adoperati dagli addetti ai lavori, è la componente clandestina dedita alla «destrutturazione». Per tale ragione lo sforzo teso a prevenire tali episodi è stato intensificato proprio nei confronti di situazioni e di soggetti che riteniamo costituire una parte significativa, se non il gruppo dirigente, di tali componenti. Attraverso tali attività abbiamo verificato invece un apparente disinteresse o, comunque, una non partecipazione alle attività pubbliche, ovvero alle manifestazioni di massa del G8.
Per quanto riguarda una classifica di pericolosità dei centri sociali, non credo di essere in grado di stilarla; ciò sarebbe improbo per chiunque. Ho detto che sicuramente vi sono dei centri sociali che, in fase preparatoria, hanno evidenziato


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un'accentuata attività, predisposizioni indicative di una propensione alla violenza; ve ne sono altri, che invece, non hanno dato segnali di questo genere. Abbiamo anche riscontrato, attraverso attività tecniche, che sicuramente molti centri sociali, anche del nord-est, non hanno partecipato ad azioni di devastazione; viceversa, altri centri sociali, anche del nord-est, hanno partecipato a tali attività.
Pertanto, uno degli obiettivi dell'attività investigativa in corso è quello di individuare le responsabilità soggettive.
FILIPPO MANCUSO. Accanto al senso dell'adempimento di un dovere, come componente di questo Comitato, vi è anche un senso di rispetto nei confronti dell'Arma dei carabinieri, della quale una persona della mia famiglia ha fatto parte, sia pure con rango di «base». Le pongo pertanto una domanda le cui motivazioni presentano due aspetti; uno funzionale, l'altro morale, costituito dal ricordo.
Nel corso dell'audizione svoltasi in questa sede, il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha asserito e ribadito successivamente - con riferimento al ROS - che a Genova il grado più elevato dell'Arma era impersonato dal comandante provinciale, colonnello Tesser. L'affermazione del Comandante generale è stata smentita dal colonello Tesser quando ha affermato che lei, signor generale, era a Genova in quei giorni, in collegamento con la vicenda che lì si andava svolgendo.
Oggi lei ha aggravato la défaillance di verità, penosamente fattaci percepire dal Comandante generale, affermando che, oltre a lei stesso, vi era un altro generale, il generale dei Carabinieri Desideri. Pertanto, è due volte menzognera l'affermazione che non vi fosse un altro ufficiale dell'Arma di grado superiore al colonnello Tesser.
Sembra che il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, oltre ad ignorare se nella camionetta dalla quale ebbe


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origine la vicenda conclusasi con la morte del giovane vi fosse o meno l'apparato radio - fatto grave, sia pur nella sua ridotta dimensione -, ignorasse anche che a Genova vi fossero, al di sopra e con grado superiore a quello del colonnello Tesser, ben due generali dell'Arma dei carabinieri. Tutto ciò è possibile? Da lei non voglio che un'asserzione o una negazione circa il punto in questione. È possibile che il comandante generale dei carabinieri ignorasse a tal punto la compagine dell'Arma a Genova, avendoci dato ripetutamente quella risposta?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Credo di essermi espresso in modo incompleto. Sicuramente, il colonnello Tesser era l'unico responsabile per l'Arma dei Carabinieri in relazione alle esigenze di ordine e sicurezza pubblica. Per quanto mi riguarda, ho precisato che il mio compito era esclusivamente quello di raccordo delle attività informative ed investigative delle componenti anticrimine che operavano esclusivamente nell'ambito della polizia giudiziaria. Sempre e soltanto per completezza, in risposta ad una domanda del presidente Violante, ho precisato che a Genova esiste un grado ed un livello superiore a quello del comandante provinciale, che è rappresentato dal comandante regionale dell'Arma dei Carabinieri, generale Desideri.
FILIPPO MANCUSO. Il mio non è un commento, ma una presa d'atto uditiva e razionale su questo punto. La mia domanda, evasa mendacemente dal Comandante generale, era in questi termini: a Genova vi erano ufficiali dell'Arma dei Carabinieri di grado superiore a quello del colonnello Tesser? Non avevo fatto questioni di mansioni, di occasionalità o di permanenza di una o dell'altra struttura dell'Arma.
La genericità della mia domanda allora ebbe come corrispondenza la genericità...


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PRESIDENTE. Vi è lo stenografico, onorevole Mancuso. Credo che su questo punto il Comitato sia d'accordo nel ricordare ciò che lei sta affermando.
FILIPPO MANCUSO. Se lo ha ricordato lei, si figuri il sottoscritto.
PRESIDENTE. Il problema credo sia abbastanza chiaro: a quella domanda ricordiamo tutti ciò che rispose il comandante Siracusa; allo stesso modo, è abbastanza chiara la risposta data in questo momento dal generale Ganzer. Quindi, a domanda il comandante ha risposto non identificando il generale comandante della regione dell'Arma dei carabinieri.
ROBERTO MENIA. Signor generale, vorrei sottoporle due questioni da cui discendono alcune domande.
Innanzitutto, la curiosità di alcuni colleghi è stata sollecitata, o solleticata, dalla presenza di parlamentari di Alleanza nazionale all'interno della centrale operativa, presenza che andava palesemente intesa come segno di solidarietà verso le forze dell'ordine. Io invece sono curioso di avere informazioni riguardo la presenza di altri parlamentari alle manifestazioni, in luoghi o contesti in cui si siano sviluppate azioni violente; le chiedo in merito se può dirci o se può escludere che vi siano stati comportamenti sostanzialmente di sostegno di ciò che stava avvenendo. Le risulta che esistono intercettazioni che documentino la presenza, magari il sostegno, di alcuni di questi parlamentari o anche di uno solo nei fatti di cui dicevamo? Per me è sufficiente che si dica che si può escludere tutto ciò.
Lei si è soffermato a lungo sui black bloc, in gran parte tedeschi. Le chiedo di sapere, perché non vorrei aver percepito qualcosa di differente da quello che è stato lo sviluppo dei fatti


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di Genova, in che misura gli episodi violenti di saccheggio e di devastazione di Genova sono attribuibili ai black bloc stranieri ed in che misura - le chiedo sostanzialmente una percentuale - erano presenti ed attori principali di quei fatti di violenza giovani (o meno giovani) italiani. In questo senso, vorrei anche conoscere quale ruolo abbiano avuto tra i tanti italiani, che mi risulta abbiano partecipato a quei fatti di violenza, i centri sociali, in particolare quelli appartenenti alle cosiddette tute bianche.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. La mia risposta non può che essere parziale, molto parziale, perché, come ho precisato, i nostri compiti e la nostra concreta attività esulavano dall'impegno dell'ordine pubblico. Quindi, non sono in grado di rispondere se alla manifestazione abbiano partecipato, ed a quale titolo, dei parlamentari di diversa appartenenza, né tanto meno sono in grado - ma non mi risulta - di dire se fossero presenti ad azioni di violenza. Posso solo rispondere in senso negativo sull'esistenza di nostre intercettazioni che abbiano avuto parlamentari come soggetto passivo. Per sgombrare il campo da possibili dubbi, se ci fossero state intercettazioni non avrei potuto ovviamente rispondere per ragioni di segreto investigativo; ritengo di poter escludere che ci siano state intercettazioni di tal genere proprio perché non vi è alcun segreto investigativo.
Per quanto concerne le azioni di violenza, nella misura in cui sono state percepite attraverso le nostre attività (che sono per lo più di tipo tecnico e non quindi di osservazione diretta), posso confermare quello che più autorevolmente è stato detto da parte di ufficiali di Polizia giudiziaria e comunque di autorità istituzionali che hanno seguito espressamente ed attentamente questi aspetti, e cioè che le devastazioni, i


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saccheggi e le violenze hanno avuto luogo oltre che da parte di componenti stranieri, sicuramente anche da parte di folte componenti provenienti da gruppi antagonisti italiani.
GIANNICOLA SINISI. Saluto e ringrazio il generale Ganzer, che anche qui ha dato una precisa conoscenza del valore del suo contributo professionale, di un'attività che svolge soprattutto per quanto riguarda la lotta all'eversione, da moltissimi anni, con meriti ampiamente riconosciuti nel nostro paese.
Le pongo cinque questioni. La prima: vorrei sapere se tra il 19 e il 20 luglio la sua base operativa, chiamiamola così, si sia trovata presso il comando provinciale di Forte San Giuliano, a Genova.
La seconda questione è se il Reparto anticrimine interprovinciale del ROS di Genova (e anche il supporto ulteriore del ROS centrale che lei ha fornito) era collegato con la sala operativa del comando provinciale e con la sala operativa comune che era stata realizzata presso la questura di Genova.
La terza questione, signor generale, è un po' più complessa. Lei ci ha dato contezza di questo lavoro di investigazione preventiva e di investigazione giudiziaria che è stato compiuto in relazione al G8, ma soprattutto al grande pianeta, che è il movimento antagonista, delle frange eversive che si muovono nel nostro paese: ci ha parlato di intercettazioni telefoniche e ambientali. Allora, la mia domanda è questa: quale fu il contributo del ROS alla elaborazione dei servizi di ordine pubblico che si andavano predisponendo nei giorni del vertice, proprio sulla base della conoscenza delle modalità operative di questi organismi eversivi o comunque antagonisti? Segnatamente, informaste il questore di Genova quando scrisse la sua ordinanza di servizio del 12 luglio?
Inoltre, siccome il collega Bressa le ha fatto una domanda molto precisa, alla quale lei ha dato una risposta altrettanto


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precisa, dal momento che esiste una norma molto trascurata del codice di procedura penale, secondo la quale bisogna dare al ministro dell'interno ogni informazione acquisita anche durante le attività di polizia giudiziaria, anche sotto la guida dell'autorità giudiziaria, che sia rilevante per l'ordine e la sicurezza pubblica (l'articolo 118 del codice di procedura penale l'abbiamo applicato in alcune occasioni, ma sempre troppo limitatamente), l'altra domanda è la seguente: queste informazioni, da voi direttamente o dall'autorità giudiziaria - e le chiedo di sapere quali siano le autorità giudiziarie con cui avete collaborato -, vennero fornite al ministro dell'interno? Ebbe il ministro dell'interno l'opportunità di fermare alle frontiere le persone che erano state identificate, di svolgere tutta quell'attività di sua competenza? Chiedo di sapere quali siano le autorità interessate perché c'è ovviamente un profilo di diretto interesse: abbiamo saputo di Napoli e di Roma, abbiamo sentito anche di Bologna, se non vado errato, che si sono occupate dell'attività di cui lei ha fatto cenno.
La quarta questione è la seguente: dal momento che lei si trovava a Genova, fu informato della perquisizione compiuta alla scuola Diaz? Sappiamo che ne venne informato il colonnello Tesser, ma lui venne informato?
Le chiedo anche se durante quei giorni partecipò all'attività di perquisizione che - come è evidente - portò all'arresto di un certo componente del centro sociale: nell'ordinanza di servizio cui si riferiva il collega Fontanini si afferma che il centro sociale Immensa fa parte del blocco blu. È nell'ordinanza di servizio del questore: quel centro sociale, cui apparteneva la persona che lei ha così abilmente arrestato con una pipe bomb, faceva parte del blocco blu. Vorrei, quindi,


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sapere - lo ribadisco - se durante i giorni del G8 partecipò ad altre perquisizioni e se fu informato della perquisizione operata alla scuola Diaz.
La quinta ed ultima domanda è la seguente. Non intendo alimentare alcuna polemica sulla questione degli infiltrati dei carabinieri e, certamente, non faccio assolutamente riferimento alla fotografia pubblicata, in quanto reputo del tutto chiaro ed evidente - tanto per sgombrare il campo da equivoci - che si trattasse di personale che stava smontando dal servizio e che abitualmente non opera in divisa. Le chiedo se lei, per le sue investigazioni, utilizza personale sotto copertura e se ne abbia fatto uso durante le attività di investigazione preventiva e giudiziaria che ha svolto per il G8.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Nel periodo tra il 19 e il 22 luglio ho fatto capo essenzialmente alla sede del comando provinciale di Forte San Giuliano, poiché è la sede della sezione anticrimine del ROS presso il comando provinciale. Quindi, il nostro personale ovviamente utilizzava gli uffici della sezione, che era costantemente collegata con la sala operativa del comando provinciale; ma, oltre al collegamento tramite mezzi tecnici con la sala operativa, esisteva il doveroso collegamento diretto del comandante della sezione con il comandante provinciale stesso.
L'unico referente per il ROS è sempre stato - come peraltro previsto dalle disposizioni - il comandante provinciale competente e, in questo caso, il comandante provinciale di Genova che - lo ripeto - era il referente ed il responsabile di tutte le attività, anche se in questo caso non ha trovato applicazione la direttiva Napolitano, perché siamo nel campo dell'eversione che non è ricompresa nel novero delle attività in materia di criminalità organizzata comune. Comunque, riteniamo -


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e in questi termini abbiamo applicato la disposizione sulla circolarità interna - che il raccordo tra componente anticrimine e componente territoriale debba essere assolutamente stretto.
Per quanto riguarda il contributo del ROS ai servizi di ordine pubblico, potrei rispondere che non vi è stato; come ho precisato, il nostro è stato un contributo che ha riguardato esclusivamente attività di polizia giudiziaria, con qualche ricaduta informativa che poteva contribuire a valutazioni che lo stesso comandante provinciale, unitamente ad altri elementi di valutazione, poteva utilizzare.
Quindi, era sempre il comandante provinciale a sfruttare tutti i suoi canali informativi e tutte le attivazioni che comunque gli giungevano per le proprie valutazioni e per raccordarsi con il questore di Genova.
Personalmente, pur essendo sul posto e pur avendo un rapporto anche personale ed amichevole con funzionari della Polizia di Stato, a cominciare dallo stesso direttore del servizio centrale operativo, dottor Gratteri, in quei giorni non ho mai tenuto contatti con responsabili omologhi, proprio per mantenere quella linea e quel canale istituzionale ed esclusivo che doveva essere rappresentato dal rapporto fra questore e comandante provinciale.
Pertanto, non fui neppure informato della perquisizione alla Diaz: lo seppi la mattina successiva; ovviamente non partecipai a quella perquisizione e neppure a perquisizioni condotte dalle stesse articolazioni del ROS, in quanto un comandante di sezione, ufficiale di polizia giudiziaria anziano nel grado di tenente colonnello, mi sembrava più che sufficiente per dirigere le attività.


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Per quanto riguarda l'ultima domanda, escludo che vi siano stati infiltrati del raggruppamento operativo speciale in qualsivoglia attività anche, per connessione riconducibile al G8.
GIANNICOLA SINISI. Vi è una domanda che le ho rivolto e a cui lei non ha dato risposta. Vorrei sapere se ci può indicare le autorità giudiziarie che sono state interessate dall'attività preventiva, investigativa e anche giudiziaria di raccordo che lei ha svolto come ROS e se il ROS o queste autorità giudiziarie informarono tempestivamente il ministro dell'interno in merito alle evenienze di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica che via via risultavano dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, sulla base di quanto previsto dalle norme. Mi sono permesso anche di citare un articolo del codice di procedura penale anche se è sempre una cosa sconveniente.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne le autorità giudiziarie presso cui erano già in corso alcune attività investigative, posso ricordare a memoria Brescia, Bologna, Trento, Trieste, Padova, Firenze, ovviamente Genova, Torino e qualche altra (ricordo quelle su cui erano incentrate le attività, dal nostro punto di vista, più significative).
Ovviamente non abbiamo esteso di nostra iniziativa alcuna informazione e comunicazione formale sugli esiti delle attività investigative se non alle procure della Repubblica. Quindi, mentre alcuni spunti informativi che potevano consentire o contribuire ad una valutazione della minaccia sono state, previo assenso informale delle autorità giudiziarie, partecipate ai responsabili e, in particolare, al comandante provinciale di Genova, altre attività formali sono state comunicate alla procura della Repubblica di Genova dalle stesse procure della


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Repubblica; non sono in grado di dirle se comunicazioni formali siano state inoltrate al ministro dell'interno anche dall'autorità giudiziaria.
FRANCO BASSANINI. Rispondendo al presidente Violante, lei è stato molto chiaro. Ha detto: la grande maggioranza del movimento di dissenso e di contestazione è formata da organizzazioni pacifiche, poi vi è una minoranza di organizzazioni violente e pericolose. Più avanti, fornendo un'altra risposta, ci ha detto che la sua impressione è che tali organizzazioni manifestino un apparente disinteresse per le problematiche del G8, il che mi fa capire - non so se me lo conferma - anche per le problematiche dell'antiglobalizzazione.
Mi chiedevo se quello che lei pensa sia simile a quanto ci ha detto il dottor Andreassi, cioè che la tecnica di queste organizzazioni è quella dell'infiltrazione parassitaria nel movimento. Se tali organizzazioni possono venire allo scoperto utilizzando diversi tipi di manifestazione, anche non necessariamente quelle antiglobalizzazione, mi chiedo se l'obiettivo non debba essere, a suo avviso, quello di cercare il più possibile di realizzare una mappatura precisa delle organizzazioni pericolose e violente e di organizzare il loro isolamento. Alcuni decenni fa si fece lo stesso nei confronti del terrorismo e delle BR: anche allora il problema fondamentale era quello di impedire che reclutassero in un ambiente più ampio.
Vorrei sapere se, sotto questo profilo, vi siate dati un programma di mappatura e di definizione ed isolamento e se, quindi, si possa sperare che in futuro i risultati siano migliori di quelli di Genova. In quella sede, purtroppo, l'operazione di


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isolamento e di prevenzione delle organizzazioni violente non è riuscita e queste hanno potuto confondersi ed infiltrarsi in un movimento in grande maggioranza pacifico.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne una valutazione, seppure empirica, di una percentuale di partecipazione alle violenze, ho risposto in termini di una minoranza di frange violente, ovviamente rispetto a quella che era la massa dei manifestanti del giorno 21 luglio. Credo infatti - anche se non sono probabilmente l'interlocutore più adatto per una valutazione esatta in tema di ordine pubblico - che i gruppi ed i soggetti che hanno prodotto le devastazioni ed i saccheggi possano essere quantificati nell'ordine di alcune migliaia di persone, che, comunque, in termini di problemi di gestione dell'ordine pubblico, non sono poche, anzi.
FRANCO BASSANINI. È evidente che, poiché si stimano in 200-300 mila i manifestanti, alcune migliaia di persone sono tante ma, per fortuna, sono comunque una piccola minoranza.
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per quanto concerne una mappatura delle organizzazioni e dei vari centri sociali secondo una loro dichiarata partecipazione a certe componenti, mi risulta che questa fosse stata effettuata. Mi riferisco alla nota suddivisione nei blocchi rosa, giallo, blu e nero. Indubbiamente si tratta di valutazioni, di organigrammi e di aggiornamenti perfettibili, che richiedono un lavoro continuo sia di tipo informativo sia di tipo investigativo. Mi riferivo, però, in modo particolare alle attività investigative nei confronti di soggetti e di esponenti che riteniamo siano riconducibili non a queste strutture di massa, ma al livello di attività clandestina di alcune componenti.


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Riteniamo, infatti, che queste siano costituite su un doppio livello, di cui quello pubblico, quello appariscente, quello della violenza diffusa in occasione delle manifestazioni è solo uno degli aspetti.
FRANCO BASSANINI. Perché parla di componenti? Sono organizzazioni!
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Per parlare di organizzazioni dovrei già avere elementi tali da configurare un'associazione sovversiva o una banda armata. Parlo ancora di ipotesi investigative (Commenti del deputato Boato). Sto parlando di componenti che, per essere ancora più specifico, possono essere soprattutto questi gruppi di affinità, o pseudogruppi di affinità.
FRANCO BASSANINI. Dunque, componenti per lei significa soggetti?
GIANPAOLO GANZER, Vicecomandante del ROS dell'Arma dei carabinieri. Componenti significa aggregazioni aventi caratteristiche tali per cui nella fattispecie viene ipotizzata una valenza eversiva e, quindi, un'ipotesi associativa. Quello che abbiamo registrato nella fase delle manifestazioni, quindi nel periodo 19-22 luglio, è che i soggetti su cui erano in corso le indagini per questa specifica ipotesi di organizzazione di cellule clandestine non hanno partecipato alle manifestazioni.
PRESIDENTE. Generale Ganzer, la ringrazio ancora una volta e le auguro buon lavoro anche a nome di tutto il Comitato.
Prima di procedere ad una breve sospensione dei lavori informo i colleghi che, in assenza di obiezioni, le audizioni del dottor Adriano Lauro e del dottor Maurizio Fiorillo saranno svolte congiuntamente.


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Sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 16,50, è ripresa alle 16,55.
Audizione del dottor Adriano Lauro, vicequestore aggiunto presso la questura di Roma, e del dottor Maurizio Fiorillo, vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Adriano Lauro, vicequestore aggiunto presso la questura di Roma, e del dottor Maurizio Fiorillo, vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio entrambi i nostri ospiti e li invito a riferire. Il dottor Fiorillo darà lettura di una relazione che poi metterà a disposizione del Comitato.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Si tratta di una relazione redatta, a Genova, nell'imminenza dei fatti e sulla base di ciò che ho


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potuto vedere. Sorvolerò sulla parte iniziale, limitandomi a leggervi quanto segue: «Nella mattinata odierna, venivo comandato di servizio, unitamente a 50 agenti del reparto mobile di Milano, in piazza Verdi, a disposizione del dottor Gaggiano. Intorno alle ore 17,45 si avvicinava un agente del reparto mobile di Padova e mi riferiva che il suo contingente, posizionato in via Caffa, era in difficoltà, in quanto stremato dalle continue azioni di contenimento messe in atto per fronteggiare i ripetuti attacchi da parte dei manifestanti. Aveva esaurito lacrimogeni e filtri per le maschere. Decidevo, pertanto, su autorizzazione del dirigente del servizio, dottor Gaggiano, di portare ausilio ai colleghi e, pertanto, mi spostavo, unitamente al contingente, in via Caffa, angolo piazza Tommaseo. Qui, dopo aver respinto vari tentativi di sfondamento da parte dei manifestanti, notavo che, alle nostre spalle, un contingente dei carabinieri, precisamente in piazza Alimonda, veniva travolto da un numero impressionante di manifestanti che tentavano di attaccare alle spalle gli uomini a mia disposizione. Dopo alcuni istanti, la colonna dei carabinieri veniva travolta e precisamente due fuoristrada, tipo Land Rover, rimanevano isolati all'interno del gruppo dei manifestanti e venivano accerchiati. Immediatamente dopo, i due fuoristrada dei carabinieri riuscivano a guadagnare la fuga ma sul posto rimaneva, riversa in terra, esanime, una persona di sesso maschile, con il volto coperto da un passamontagna di colore nero. Accanto a lui vi era un estintore, che successivamente veniva recuperato a qualche metro di distanza e consegnato al personal della squadra mobile».
Questo è quanto io ho redatto.
PRESIDENTE. La ringrazio. D'altra parte, quanto da lei letto fa parte dei documenti a noi già pervenuti, inviati con il vincolo della riservatezza dall'ex questore di Genova.


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LUCIANO VIOLANTE. Siccome gli auditi erano vicini ed in considerazione del fatto che a noi interessa il quadro complessivo, vorrei ascoltare sin d'ora la versione del dottor Lauro.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Io mi trovavo in via Caffa, angolo piazza Tommaseo; la posizione del collega, invece, era alle mie spalle, proprio in piazza Alimonda (ad una distanza, penso, di 400 o 500 metri).
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Ero responsabile di un centinaio di carabinieri. Quando erano circa le 16,30 stavamo facendo ritorno ai mezzi lasciati in prossimità della Fiera; avevamo riunito il gruppo dei carabinieri: era giunto sul posto un tenente colonnello che, preposto al loro comando, coordinava le varie squadre. Aveva fatto un appello, perché il personale era abbastanza esausto. Credo che in quel momento...
LUCIANO VIOLANTE. Cosa stavano facendo?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Praticamente, essendo militari, dopo aver eseguito delle cariche, i carabinieri hanno approfittato di quel momento per ricompattarsi. Invero, più che di appello si è trattato di una ricomposizione del gruppo; ogni caposquadra, infatti, ha riordinato la sua squadra. In quel frangente hanno anche verificato se vi fossero feriti; credo sia stato quello il momento nel quale uno dei due carabinieri, intossicato dai gas lacrimogeni, è salito sulla famosa camionetta. Successivamente, visto che il gruppo era abbastanza esausto (era dalla mattina che attraversavamo tutta la città), abbiamo deciso di tornare ai mezzi - che erano abbastanza distanti - al fine di


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ricomporci e attendere nuove disposizioni. Mentre stavamo così procedendo, ho appreso dalla radio dell'esistenza di problemi nei pressi della stazione; ho saputo dopo che detti problemi erano legati al famoso corteo delle tute bianche che, cercando di sfondare le barriere nei pressi della stazione, si era scontrato con nostro personale. A quel punto, ho deciso di dare man forte e di dirigermi...
LUCIANO VIOLANTE. Che ore erano?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Circa le 16,30-16,45. Ho pensato, dicevo prima, di dirigere in quella direzione per dare man forte ai colleghi, visto che erano abbastanza allarmati e si trovavano in difficoltà (almeno così sembrava da quanto sentivo via radio). Proprio mentre, in quel momento, stavo attraversando piazza Alimonda, ho visto nella parallela alla mia destra - Fiorillo si trovava sulla sinistra, in un'altra parallela, ma io non avevo ancora notato il suo gruppo - centinaia di persone che correvano. Si trattava, praticamente, dello stesso corteo delle tute bianche che tornava indietro. Ho saputo, in un momento successivo, che erano circa 10 mila persone, forse anche di più. Appena ci hanno avvistato, ci siamo guardati vicendevolmente; quindi, presi alcuni cassonetti, li hanno posizionati tutti davanti, in via Caffa, mentre noi stavamo in piazza Alimonda: eravamo, praticamente, divisi da via Caffa. Hanno cominciato a marciare nella nostra direzione con questi cassonetti.
LUCIANO VIOLANTE. Spingevano i cassonetti?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, sì, spingevano i cassonetti in avanti e procedevano nella nostra direzione. A quel punto, chiesi al capitano che


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comandava il gruppo dei carabinieri se se la sentisse, in considerazione del loro notevole numero, di fronteggiare i manifestanti. Questi rispose affermativamente. Dunque, siamo entrati in via Caffa procedendo verso il corteo; a metà di via Caffa sono iniziati gli scontri. È mancato un contatto diretto perché siamo arrivati all'altezza dei cassonetti. Praticamente, i cassonetti restavano in mezzo; noi ed i manifestanti, ai due opposti lati dei medesimi, quasi dietro una barricata. Loro tiravano sassi mentre noi cercavamo di fronteggiarli come potevamo. Avrei voluto passare dall'altra parte ma, purtroppo, era quasi impossibile, anche perché ciò avrebbe comportato la necessità per noi di scavalcare, uno per volta, i cassonetti: potete bene immaginare cosa poteva succedere. A quel punto, è successo quanto non immaginavamo potesse accadere. Infatti, la mole dei manifestanti aumentava sempre di più perché, probabilmente, il corteo, che tornava indietro, procedeva nella nostra direzione. Stavano scappando ma, quando hanno avvistato il gruppo di carabinieri (il nostro), composto da un centinaio di uomini, che comunque erano niente al cospetto di migliaia di manifestanti, hanno cominciato ad avanzare ed a spingere. Dunque, abbiamo iniziato ad indietreggiare, con gli scudi protesi. Per tornare a piazza Alimonda dovevamo percorrere una cinquantina di metri; siamo arretrati, con i carabinieri in formazione e, arrivati in piazza Alimonda, abbiamo visto giungere, dalle due vie laterali, correndo, altri manifestanti. Quindi, praticamente, eravamo circondati; infatti, la via che avevamo di fronte contava molte strade laterali, imboccando le quali i manifestanti, essendo così numerosi, erano giunti sul punto di accerchiarci.
LUCIANO VIOLANTE. C'eravate solo voi?


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ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. A quel punto, ci siamo girati, ed il nostro regolare indietreggiare si è di necessità trasformato in un arretramento scomposto: ebbene, a quel punto, ho potuto vedere i mezzi del dottor Fiorillo che stavano in fondo alla strada ed alla piazza, in fondo a via Caffa ma dall'altro lato; allora, ho preso quella direzione perché venivano i manifestanti sia da dietro sia da tutti i lati.
Premetto che dalla mattina giravo con il personale a piedi, perché non avevo mezzi a disposizione. Ho saputo dopo, poiché prima lo ignoravo, che quelle due famose camionette erano una del capitano, mio diretto interlocutore nel comando dei carabinieri, e l'altra del famoso tenente colonnello citato prima, che era il coordinatore. Praticamente, quando abbiamo deciso di ritornare ai mezzi, le stesse camionette si erano allontanate, ci avevano salutato ed erano andate via e, quindi, ho ripreso la via dei mezzi marciando a piedi con i miei 100 carabinieri. Le due camionette le ho poi riviste alla fine, dopo che sono successi i noti fatti; dalle immagini televisive ho dedotto che, probabilmente, nel momento in cui noi siamo entrati nel vicolo e abbiamo avuto lo scontro - siccome i carabinieri sono dotati di laringofono, uno strumento che attaccato alla gola consente di parlare tra di loro rapidamente -, il loro tenente colonnello avrà sentito dello scontro in atto, sarà tornato indietro, forse per dare manforte, ed avrà posizionato le due camionette dietro al gruppo. Nel momento in cui noi siamo arretrati in quella maniera scomposta (probabilmente si è determinata anche una sorpresa da parte del gruppo che non si aspettava queste due camionette) e i manifestanti affluivano dalle vie laterali, non c'è stato neanche il tempo di prendere una difesa delle camionette stesse, anche perché forse si pensava che queste riuscissero a svicolare in


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maniera diversa ed invece si sono bloccate. Dopodiché mi sono diretto verso di lui, senza la possibilità di voltarmi perché mi arrivavano pietre da tutte le parti, sono arrivato ai mezzi, perché cercavamo rifugio negli stessi per poter poi ripartire, e lì ho notato la camionetta che veniva a marcia indietro e due carabinieri che facevano segno di andare sul posto. Sono arrivato e, in quel momento, ho visto la persona riversa in terra; ho cominciato a chiamare i soccorsi e non capisco perché i manifestanti erano spariti, dal momento che non avevo sentito il colpo di pistola. Solo dopo ho capito tutto.
PRESIDENTE. Lei, dottor Fiorillo, ha altro da aggiungere relativamente a questo fatto ?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Da via Caffa, che era in fondo alla strada, non mi sono accorto di questi scontri perché in piazza Tommaseo i manifestanti ci attaccavano e tentavano di sfondare. Quindi, abbiamo mantenuto la posizione, però ho capito che dietro stavano avvenendo altri scontri; mi sono girato e sono riuscito a vedere un battaglione di carabinieri che indietreggiava e spariva in qualche strada adiacente, non in via Caffa. Successivamente, ho visto le due camionette dei carabinieri; una riusciva a farsi strada e ad andare dietro al battaglione che a piedi tentava di rifugiarsi non so dove, l'altra, invece, ha tamponato un contenitore di immondizia e si è bloccata contro un muro o qualcosa del genere: questo è ciò che vedevo da lontano.
Non mi sono accorto del colpo di pistola perché non si sentiva niente: infatti, era in corso proprio una battaglia, con lacrimogeni, fumo e una confusione enorme. Tuttavia, ad un certo punto ho visto che la camionetta riusciva a ripartire, a inserire la retromarcia e ad andare via, mentre i manifestanti


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accerchiavano la camionetta ed uno in particolare che tentava di sfondarla con una trave.
Immediatamente, ho radunato una ventina di uomini e, lasciando via Caffa coperta dal resto del contingente - in quanto, nel frattempo, i manifestanti continuavano a spingere - ho cercato di risalire la strada, anche perché tutti i mezzi del reparto erano schierati in fila indiana e avevo paura che li incendiassero. Non sapevo ancora che c'era un morto in terra. Risalendo ho notato la camionetta che andava via e il morto in terra; intuendo che qualcosa non era andato, ho preso il numero di targa della stessa perché, in effetti, non ho sentito né visto sparare, né ho visto investire, ma solo dopo mi sono accorto della camionetta che faceva retromarcia e andava via tutta sfondata. Poi, il resto l'ho visto in televisione.
LUCIANO VIOLANTE. Lei, dottor Lauro, ad un certo punto ha parlato di tute bianche e poi ha dato una cifra: ma 10 mila: ma 10 mila erano tutte le persone o solo le tute bianche ?
Per quanto concerne la funzione delle camionette, se non ho capito male, dottor Fiorillo, erano a disposizione una del tenente colonnello e l'altra del capitano. Quindi, la loro funzione era di accompagnamento dei due ufficiali o di sostegno logistico al gruppo ?
Terza questione: come era vestita la persona stesa a terra quando ciascuno di voi l'ha vista? Quando si è reso conto che era stato colpito con un'arma? Vicino al corpo vi erano delle pietre o una pietra insanguinata ?
Risulterebbe da qualche relazione di servizio o da alcune dichiarazioni che ad un certo punto un ragazzo è scappato verso la scalinata della chiesa ed è stato inseguito non so bene se da poliziotti o da carabinieri, che ritenevano che avesse colpito il ragazzo morto con un sasso o qualcosa del genere. Risulterebbe che un sacerdote di quella chiesa si era avvicinato


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per benedire la salma, ma ciò gli era stato impedito: capisco la situazione e la confusione, però vorrei sapere se questo fatto sia vero o no. Se fosse vero, sarebbe probabilmente, spiegabile; non è una contestazione, ma si tratta di capire cosa è avvenuto per ricostruire l'andamento dei fatti.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Su come fosse vestita la persona morta, posso dire soltanto come l'ho vista in terra perché da lontano ho notato solo dei movimenti. Indossava un passamontagna nero che copriva il volto; questo è stato tolto da noi quando sono venuti i medici rianimatori. Abbiamo notato immediatamente che aveva un buco in fronte o qualcosa del genere; al momento sulla fronte non c'era molto sangue e, quindi, poteva sembrare opera anche di una pietra.
Infatti, ricordo che a terra c'erano delle pietre - a parte l'estintore - ma non ricordo se una di esse fosse insanguinata.
LUCIANO VIOLANTE. Lei ha parlato di un passamontagna. E addosso cos'altro aveva?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Ricordo che aveva sul braccio un rotolo di scotch o qualcosa del genere; il resto non lo ricordo.
LUCIANO VIOLANTE. Aveva degli indumenti chiari o scuri?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Non lo ricordo.
Per quanto riguarda il sacerdote, sono stato sul posto tutto il tempo e non ho visto avvicinarsi alcun sacerdote, assolutamente; anche se abbiamo fatto scudo con la polizia, non si è avvicinato nessuno.


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ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Per quanto riguarda la prima domanda, in realtà io prima ho detto che ho saputo in seguito che erano tute bianche e che erano circa 10 mila. L'ho saputo in una fase successiva, perché sono stato ascoltato dagli ispettori di Genova, i quali mi chiesero se ero al corrente che il gruppo con il quale mi ero scontrato era il corteo delle tute bianche che passava per via Tolemaide. In quell'occasione risposi che l'ho saputo solo dopo; se poi erano 10 mila, 20 mila o 30 mila, non lo so. So semplicemente che quelli che sono venuti nella nostra direzione erano sicuramente qualche migliaio.
Con riferimento alla funzione delle camionette, noi avevamo lasciato i mezzi in prossimità della fiera, in quanto vi erano diversi luoghi in cui non si poteva passare; quindi avevamo creato una sorta di nucleo mobile ed io mi spostavo a piedi in varie zone. La prima volta che abbiamo avuto il contatto con le due camionette è stato verso le 16, quando hanno portato dei viveri. Infatti, dopo tutta la mattina che giravamo, chiesi al capitano se era possibile avere un po' d'acqua, perché a Genova era tutto chiuso e noi non avevamo né mangiato né bevuto. Dunque, alle 16 sono arrivate le camionette - quella era la prima volta che le vedevamo - e hanno portato dei viveri. Una - ripeto - era del capitano, l'altra del tenente colonnello che, però, si avvicinava ai vari gruppi di carabinieri che coordinava e poi andavano via insieme. Le due camionette sono ricomparse la seconda volta verso le 16,30-17 (non sono molto preciso con gli orari), comunque circa dopo un'ora dalla prima volta, per fare il famoso appello che abbiamo detto, per vedere se c'era qualche ferito. Successivamente a tale appello e dopo che ogni caposquadra ebbe verificato la consistenza del suo gruppo e dei


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suoi uomini, sono andate nuovamente via. Infatti, ricordo che il tenente colonnello mi disse e chi ci saremmo rivisti più tardi ai mezzi, e così noi abbiamo proseguito a piedi.
LUCIANO VIOLANTE. Il tenente colonnello era sulla macchina?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, era sulla macchina quando se ne è andato. Il capitano stava con me, era il responsabile diretto di quel gruppo, mentre il tenente colonnello coordinava, immagino, più gruppi e quindi andava a verificare.
LUCIANO VIOLANTE. Il colonnello, quindi, era sulla macchina che poi si è allontanata, mentre quella rimasta era senza ufficiale?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. No, tutte e due le macchine se ne sono andate; viaggiavano insieme.
PRESIDENTE. Il tenente colonnello è andato via su una delle due?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, su una delle due, nel momento in cui noi abbiamo detto che ci saremmo diretti verso i mezzi. Successivamente, quando abbiamo avvistato il gruppo di manifestanti e c'è stato lo scontro, loro probabilmente sono arretrati. La sera ho visto delle immagini, delle due camionette che arretravano velocemente e si posizionavano dietro di noi. A quel punto, il tenente colonnello Truglio mi ha detto di essere sceso a piedi, lasciando le due camionette, e di essersi avvicinato al gruppo con i carabinieri. Quando c'è stato l'arretramento credo che lui


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non vi fosse più (almeno così il tenente colonnello mi ha riferito). Quindi, la funzione delle camionette è stata quella di supporto logistico e di accompagnamento del tenente colonnello per quanto riguarda gli spostamenti.
Sull'abbigliamento della persona morta, quando l'ho vista per terra ricordo di aver capito subito la situazione, perché usciva moltissimo sangue da una delle tempie, dall'occhio in particolare; aveva un cappuccio in testa, la canottiera bianca e, mi sembra, i pantaloni scuri. Sicuramente alcune immagini sono sovrapposte a quelle televisive, tuttavia ciò che ricordo perfettamente era il cappuccio nero che indossava.
LUCIANO VIOLANTE. Usciva molto sangue?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Tantissimo. Io stavo a dieci metri di distanza e credevo che fosse stata una pietra; infatti, mentre andavo in quella direzione anch'io sono stato colpito da alcune pietre dietro la schiena. Quando ho visto il ragazzo per terra e ho visto un «fuggi fuggi» generale; mi sono avvicinato a quel lago di sangue che usciva e ho visto una pietra, come quella che ha visto il dottor Fiorillo, intrisa di sangue e molto vicina alla tempia; dunque ho pensato che il giovane fosse stato colpito dalla pietra. In parte ero convinto che fosse stata la pietra, in parte credevo che se loro non avessero attaccato, non sarebbe accaduto questo fatto; ecco il senso di quella frase famosa.
LUCIANO VIOLANTE. E il sacerdote?
MARCO BOATO. Il senso della frase famosa quale sarebbe?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Per quanto riguarda il sacerdote, nell'immediatezza,


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resici conto di quanto accaduto, abbiamo fatto un cordone di carabinieri o poliziotti (non ricordo bene: mi sembra che fossero carabinieri). Sul posto c'era molta gente, quindi non posso escludere che magari un sacerdote si sia avvicinato ad uno dei carabinieri del cordone e che questi non l'abbia fatto passare. Comunque, nessuno mi ha detto che c'era una sacerdote che voleva benedire la salma. Tra l'altro, io ero certo che fosse morto - ho una certa esperienza -, mentre due esponenti del Global social forum con la Croce rossa, che sono intervenuti e sono stati i primi a toglierli il cappuccio, pensavano ancora che si potesse salvare, hanno cercato di rianimarlo e mi hanno chiesto di fare intervenire un'unità di rianimazione, che ho chiesto via radio. Quindi, se fosse venuto un sacerdote per dargli la benedizione (Interruzione del deputato Violante)...
Dopo un po' è arrivata l'ambulanza che avevo chiamato; infatti, lì non c'era alcun medico. A questo punto è arrivato il medico con un'altra persona che indossava un casco con disegnata la croce rossa e io li ho fatti passare, in quanto pensavo che fosse personale infermieristico; hanno cominciato ad armeggiare intorno alla persona, a soccorrerla, a cercare di rianimarla, a prestargli le cure del caso. Dopo un po', circa cinque minuti, questa persona che aveva il caschetto con la croce... anzi è venuto un poliziotto a dirmi che c'era una persona che sosteneva di aver trovato un bossolo. Ho detto di indicarmelo, ed era proprio l'uomo con il casco. Questa persona mi ha detto di essere un giornalista de La Repubblica, di scrivere per il giornale di Genova - adesso non ricordo il nome - e di aver trovato un bossolo a circa tre metri di distanza. A quel punto gli ho detto che con il suo comportamento mi aveva preso in giro, in quanto io lo avevo fatto passare perché pensavo fosse un medico. Egli mi ha risposto


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che conosceva il dottore che gli avrebbe chiesto di dargli una mano. Sul momento ho detto «va bene», comunque mi sentivo preso in giro da questa situazione. Questa è stata la giustificazione che mi ha fornito.
Per quanto riguarda il bossolo, non si fidava neanche di darmelo in mano, pensava che io l'avrei fatto sparire. Così gli ho detto che di certo non sarei arrivato a tanto. Dopo di che è intervenuto il magistrato, il capo della mobile e, alla fine, si è convinto e mi ha dato il bossolo. Io gliel'ho ridato in attesa che arrivasse la mobile e il magistrato per consegnarlo a loro e così è stato.
LUCIANO VIOLANTE. E arrivato il magistrato?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, il procuratore capo, credo si chiami Meloni (Commenti).
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. L'ha detto il mio collega, parlavo dell'ambulanza che abbiamo chiamato e dei primi soccorsi quando hanno tentato di rianimarlo. L'ha detto il collega, quindi non ho altro da aggiungere.
SAURO TURRONI. I due nostri ospiti hanno già risposto ai quesiti posti dal presidente Violante, ad alcune domande che io avrei posto, quindi non ripeterò le stesse domande.
Vi sono alcune questioni però, su cui vorrei ci soffermassimo. In particolare, desidero chiedere al dottor Lauro dove fossero stati impiegati i carabinieri che agivano sotto la sua direzione, prima di intervenire in piazza Alimonda. La seconda domanda si riferisce all'«appello»: il tenente colonnello Truglio venne lì intorno alle 16,30 - come diceva poc'anzi - per fare questo appello, cioè per verificare quanti fossero i carabinieri?


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Abbiamo visto foto e filmati - immagino che a questo tendessero le domande del presidente Violante alle quali, per la verità, avete risposto, ma rimane una questione che vorremmo capire - in cui compare questo ragazzo steso a terra, prima con il passamontagna, poi senza, ma comunque nelle prime immagini sempre con la canottiera bianca. Successivamente, abbiamo visto sul suo corpo steso un giubbotto o una maglietta nera. Vorremmo sapere se ne eravate a conoscenza e come si sia potuto verificare questo fatto.
In questi giorni, guardando vari filmati che riprendono la vicenda da diversi punti di vista, ne ho visto uno in particolare che riprende alle spalle l'episodio che lei ha descritto. Posso dunque affermare che i fatti si sono svolti esattamente come lei li ha prospettati. In particolare, le due camionette erano posizionate esattamente alle spalle del gruppo di carabinieri - non so dire se fosse un plotone o un'altra cosa - che lei stava dirigendo. Tuttavia, la questione è diversa a proposito di un particolare e, mentre stavate svolgendo la vostra relazione, ho cercato di esaminare anche le carte. Infatti, la via a cui vi siete riferiti - via Caffa - sia in direzione della ferrovia da dove arrivano i manifestanti, sia dalla parte che da piazza Alimonda va verso l'altra piazza, è composta da due tratti di neppure cento metri l'uno. Inizialmente, il dottor Fiorillo - o comunque uno di voi due - ha parlato di 500 metri circa: mi rendo conto del particolare momento di difficoltà durante l'aggressione, però le distanze erano decisamente inferiori. Avete quindi valutato, anche successivamente, se sarebbe stato possibile avere un soccorso più veloce e, quindi, una maggiore difesa di queste camionette? Infatti, mentre i carabinieri precipitosamente si allontanano dal luogo dello scontro, contemporaneamente le due camionette iniziano la manovra di retromarcia per potersi poi allontanare anch'esse e una delle


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due va a sbattere, restando bloccata sul cassonetto dell'immondizia. La domanda riguarda, quindi, anche il modo in cui i fatti si sono svolti e se in proposito abbiate fatto una valutazione «a futura memoria», per i futuri interventi. Poiché ad un certo punto vediamo un gruppo di carabinieri abbastanza consistente che è a pochi metri dalla camionetta, mentre quelle persone la stavano ancora colpendo, vorremmo capire per quale ragione non si siano immediatamente precipitati a difenderla. Infatti, dal filmato vediamo un gruppo non numerosissimo di persone che si scaglia contro la camionetta, un gruppo di carabinieri tutti schierati ed allineati a pochissima distanza e due carabinieri che si trovano tra la camionetta e questo gruppo.
Un'ultima domanda riguarda la questione del giornalista Eligio Paoni. Non so se il filmato che ho potuto vedere individui l'aggressione che subisce il giornalista Paoni. Vediamo una persona che indossa una divisa e un casco e che si butta addosso a questo giornalista, gli dà una randellata e gli afferra la macchina fotografica. Ne segue una colluttazione ed il poliziotto (o il carabiniere) che ha aggredito il fotografo - il quale ha la pettorina gialla - viene trattenuto da un altro; il giornalista si allontana, ma un altro lo insegue e lo cattura nuovamente; vi è una seconda colluttazione ed infine egli riesce a divincolarsi. Non so se questa persona fosse Eligio Paoni, ma sappiamo che la macchina di Eligio Paoni è stata distrutta, gli è stata sottratta la pellicola fotografica, ha una mano rotta ed è stato picchiato alla testa. Tali episodi si sono verificati al termine della vicenda, quando essa si era conclusa ormai tragicamente: il corpo era a terra e costoro si erano avvicinati per riprendere la scena. Vorremmo sapere qualcosa di più e se abbiate potuto identificare chi si è reso responsabile di questi atti che, credo, debbano essere perseguiti.


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ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Vorrei iniziare dalla questione dell'impiego dei carabinieri. Come ho già detto prima, eravamo in servizio dalla mattina, quindi eravamo stati impiegati in tutta la città, in diversi scontri. In particolare, ve ne era stato uno all'altezza di corso Italia, in una via perpendicolare di cui non ricordo il nome, che tra l'altro è piuttosto strano...
MARCO BOATO. Via Casaregis.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, via Casaregis.
MARCO BOATO. Non sono mai stato a Genova ma ho imparato quasi tutto!
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Verso le 13 o le 14 mi hanno chiamato dalla sala operativa dicendo di dirigermi verso corso Italia. Poiché non conoscevo benissimo le strade di Genova, essendo di Roma, ho preso questa via perché andava verso il mare e pensavo così di sbucare in corso Italia. Infatti, sono sbucato all'altezza di questo gruppo di manifestanti: erano circa 500 persone - vestite di nero - e quando ci hanno visto sono indietreggiate, hanno attraversato corso Italia (che dà sul mare) e si sono rinchiuse all'interno di uno spazio protetto da cancellate, chiudendole dall'interno e disponendovi a protezione cassonetti di ferro. Da lì hanno cominciato a tirare molotov e pietre. Siamo rimasti davanti al cancello circa mezz'ora, forse tre quarti d'ora, quindi è arrivato in ausilio il battaglione Tuscania - credo fosse tale reparto o comunque erano paracadutisti -, ma nel frattempo questi signori erano scappati quasi tutti dalla parte del mare ed allora, quando sono arrivati i carabinieri,


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che poi hanno sfondato il cancello, ho proseguito lungo corso Italia per raggiungerli. Per circa un chilometro abbiamo liberato alcune strade dai manifestanti che andavano in quella direzione. Ho però l'immagine chiara di queste persone vestite di nero che lanciavano molotov e pietre. Io stesso sono stato raggiunto al collo da una pietra abbastanza grande, ma avevo il giubbotto antiproiettile e mi è andata bene. Quando siamo andati via, per terra ci saranno state almeno duemila pietre.
SAURO TURRONI. A che ora?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Alle 13,30 o 14. Questo è uno dei vari impieghi che abbiamo avuto nella mattinata.
Per quanto riguarda la questione del tenente colonnello Truglio (se sia venuto a «fare l'appello»), io l'ho chiamato «appello», ma in realtà egli è venuto a verificare la condizione dei carabinieri: se vi erano feriti, se tutto era in ordine, se qualcuno aveva bisogno di qualcosa ed era - io credo - un compito importante.
Per quanto riguarda il giubbotto nero, sinceramente - lo ripeto - ho chiara l'immagine di questo ragazzo con il cappuccio nero ed il sangue che gli usciva dalla testa. Riguardo a quello che indossava dopo, ho sovrapposto l'immagine televisiva e fotografica, per cui non posso dire nulla della canottiera e dei pantaloni, perché sarebbe quello che ho visto nelle immagini televisive.
MARCO BOATO. Ad un certo punto, nelle foto, non ha più solo una canottiera, ma ha anche un giubbotto e dei pantaloni. Qualcuno deve averglieli messi.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Sì, è probabile, però io non lo ricordo. Potrebbe


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essere stata quella ragazza del GSF, perché quando è intervenuta ha tolto il cappuccio, lo ha alzato e, dopo aver cercato di fare un massaggio, ha chiesto l'ambulanza. Quindi, io mi sono allontanato per chiamare via radio e via telefono; può darsi che sia accaduto in quel frangente, perché dopo sono andato incontro all'ambulanza. Poi il dottore gli ha fatto alzare la maglietta, gli ha messo qualcosa (penso per rianimarlo), quindi non ricordo.
Può darsi che sia accaduto in quel momento il fatto relativo alla maglietta nera indossata.
Per quanto riguarda le distanze, confermo ciò che lei ha detto: le distanze erano quelle da lui indicati: tra piazza Alimonda e la ferrovia, c'erano cento metri ed anche dal lato suo. Forse ci siamo espressi male noi. Almeno io non credo di aver indicato queste distanze, però, erano cento metri. Lo scontro è avvenuto a metà della strada, dalla parte della ferrovia; dopodiché siamo entrati in piazza Alimonda e ci siamo diretti dalla parte sua.
Per quanto riguarda il discorso del gruppo di carabinieri che lei sostiene di aver visto in disparte, senza intervenire, ripeto che siamo entrati, arretrando da via Caffa, in piazza Alimonda, mentre ai due lati arrivava una moltitudine di manifestanti. In quel momento l'arretramento composto non era più possibile perché se continuavamo ad arretrare a testuggine ci massacravano. Ci siamo girati; io ho pensato di andare nella direzione dei mezzi suoi; chiaramente, in quel momento, cento persone non sono più facilmente coordinabili. In base alle disposizioni di Genova, ogni gruppo rispondeva direttamente al suo comandante che, in quel caso, era il capitano. Io ero il responsabile dell'ordine pubblico, però dovevo dare gli ordini al capitano che gestiva materialmente gli uomini. Quindi, in quel momento, in quella situazione, era


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impossibile cercare il capitano tra cento carabinieri vestiti allo stesso modo! In più, loro erano collegati con il laringofono, io non ero collegato con loro. Di conseguenza, non potevo più dare ordini al capitano. L'arretramento scomposto non è governabile in quei momenti. Mi sono diretto con un gruppetto di carabinieri - non so adesso quanti fossero, perché in quel momento non era facile stabilirlo - verso di loro, ritenendo che fosse la cosa più giusta da fare perché da tutti i lati giungevano manifestanti e loro potevano darci una mano. Siamo andati da quella parte. Questo gruppo, di cui lei parla, che si è messo in disparte, non lo ricordo proprio. Lei mi ha detto di aver visto attraverso le immagini televisive - probabilmente è così - un gruppo di carabinieri che si era messo in disparte...
MARCO BOATO. Non ho detto che fossero carabinieri!
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Non lo so. Non ricordo. Ricordo di essere entrato con qualche carabiniere. Sono stato l'ultimo a lasciare via Caffa. Tra l'altro, mi ero piantato davanti con un carabiniere, cercando di rimanere. Dopodiché, quando sono andato verso il collega Fiorillo, ricordo di avere avuto con me un gruppetto di carabinieri (ossia inseguivo questo gruppetto di carabinieri). Successivamente, siamo entrati in questa via, ci siamo fermati, ci siamo girati per ripartire con il loro ausilio e in quel momento ho visto il ragazzo steso per terra. Quindi, da quel momento tutto è cambiato, non c'è stata più alcuna strategia, vi era una situazione di shock totale.
A questo punto posso rispondere alla seconda domanda che mi ha rivolto relativa all'aggressione del giornalista. Sinceramente, dal quel momento, la mia preoccupazione è stata il ragazzo in terra; non mi sono più occupato di alcunché. Ho


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visto che la piazza era sgombra perché i manifestanti se ne erano andati, e c'era il ragazzo a terra. Mi sono collegato via radio per chiamare i soccorsi (poi vi è stato l'episodio di quel manifestante che io, un po' sconvolto, pensavo, ripeto, che fosse stato lui). Tra l'altro, c'è stato quel giornalista che, approfittando un po' della situazione, è riuscito ad entrare in quel gruppo. Mi sono occupato del ragazzo personalmente. Probabilmente ricordo di aver dato l'ordine al gruppo di carabinieri e poliziotti di non far avvicinare più nessuno, però dall'ordinare di non far avvicinare nessuno al dire «correte dietro al fotografo» ce ne vuole, anche perché, sinceramente, abbiamo operato per tre giorni - e lo sapevamo da tempo - con le telecamere; quindi, qualsiasi gesto da parte nostra... Se io avessi impedito ad un fotografo di riprendermi sapevo che lo avrebbero fatto altre dieci telecamere: nessuno del mio gruppo credo abbia fatto altrettanto. Ripeto, ho cercato di soccorrere il ragazzo, per quanto fosse possibile.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Per quanto riguarda la prima domanda, relativamente a come vestiva il manifestante morto, ho risposto in precedenza (considerate che anch'io ho la sovrapposizione di immagini viste in televisione). Ricordo con tranquillità che indossava il passamontagna nero sfilato dai primi soccorritori. Adesso mi sono ricordato che, per quanto riguarda gli arti inferiori, indossava una tuta blu o qualcosa del genere, mi sembra. Questo è ciò che riesco a ricordare l'abbigliamento del manifestante.
Per quanto attiene al riferimento ai 500 metri, tenendo presente che ho abbandonato Genova quel giorno, non ci sono più tornato neanche per fare sopralluoghi, posso ripetere che mi trovavo in via Caffa, angolo piazza Tommaseo, dove alcuni manifestanti tentavano di sfondare; quindi, la mia attenzione


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era rivolta verso questa piazza Tommaseo. Mi sono accorto all'improvviso dei carabinieri dietro di noi, precisamente a piazza Alimonda, angolo via Caffa - dal lato opposto - ed ho iniziato a preoccuparmi quando ho visto i carabinieri che indietreggiavano in altra direzione, non su via Caffa, in quanto vi era una colonna di mezzi dei miei uomini in fila indiana e quindi avevo paura che i carabinieri, abbandonando la posizione, lasciassero spazio e possibilità ai manifestanti di bruciare i mezzi. Quando ho pensato a ciò - e ho avuto paura - ho tentato, con un piccolo nucleo di uomini - una quindicina, in quanto non potevo abbandonare piazza Tommaseo perché vi erano altri manifestanti che ci attaccavano - di risalire la strada; ho parlato di 500 metri; lei mi dice 100, sicuramente saranno 100, non ne ho la minima idea! Comunque, ho tentato di risalire la strada e in quel momento ho visto le due camionette: una riprendeva la strada e l'altra l'ho vista chiaramente accerchiata dai manifestanti. Ho visto un giovane con la trave, con il legno, non so cosa fosse, che sfondava il vetro; poi ho visto chiaramente che faceva retromarcia. Non ho visto investire né ho sentito sparare, perché era un momento di guerriglia, con la nebbia causata dai lacrimogeni; c'erano rumori, non si sentiva niente (anche perché indossavamo maschere, caschi Ubbot e giubbotti). Quindi sono risalito, ho visto il manifestante a terra, mi sono reso conto che, se non era morto, era grave e ho visto la camionetta andare via. In quel momento la nostra attenzione - almeno la mia, ma penso anche quella del collega - si è focalizzata sulla persona a terra in quanto anche i manifestanti si sono resi conto della gravità della situazione. Quindi, quel folto gruppo di manifestanti si è sciolto, sono rimasti, penso, un centinaio, duecento: comparivano, sparivano, andavano avanti e dietro. Quindi, mi sono preoccupato di far


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circondare il manifestante a terra per tutelare eventuali prove o cose del genere da eventuali persone che potessero passare. Il collega ha chiesto con il cellulare l'ausilio di un'ambulanza.
Non ho visto l'aggressione al fotografo però se lei mi parla di due carabinieri, in piazza c'era un capitano dei carabinieri, quindi sarebbe opportuno chiederlo anche a lui. A noi risponde l'ufficiale, l'ufficiale dà ordini ai carabinieri. Diciamo che è abbastanza complicato - in momenti caldi - cercare l'ufficiale (Commenti del deputato Violante). Diciamo che deve essere l'ufficiale a dare ordini ai carabinieri. Noi parliamo con l'ufficiale o con il capogruppo, che può essere un maresciallo quando sono gruppi più piccoli, e l'ufficiale dà il comando. Quindi, non ho visto i carabinieri e non ho visto picchiare assolutamente questo fotografo. Mi sono preoccupato di far circondare i manifestanti da poliziotti per tenere la zona libera da altre persone. Nient'altro.
LUCIANO MAGNALBÒ. Signor presidente, nell'ambito di questo regolare processo intentato alle forze dell'ordine, con tanto di procura e difensori dall'altra parte, cui stiamo assistendo, vorrei fare - anche se avevo quasi perso la voglia per via di ciò che ho ascoltato - una domanda, con riferimento a quanto detto prima dall'onorevole Boato e dal senatore Turroni. Si tratta di una domanda ben precisa: vorrei sapere se quei ragazzi che stavano in piazza nelle condizioni in cui si sono trovati, si siano accorti, per caso, che a Genova vi erano delle compagnie teatrali estere o italiane che, nelle strade, davano spettacolo con attrezzature da guerriglia compresa maschera antigas. Vorrei sapere se siano riusciti a capire il senso di ciò che è accaduto, cioè che si trattava di uno spettacolo teatrale, e se sì, se abbiano trovato di loro gradimento questo spettacolo.


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PRESIDENTE. Senatore Magnalbò, io credo che non sappiano nemmeno a cosa faccia riferimento la sua domanda.
LUCIANO MAGNALBÒ. L'ho spiegato!
PRESIDENTE. Poiché nella precedente audizione si è parlato di alcuni austriaci che fanno parte di una compagnia teatrale, la domanda è se a voi sia noto che a Genova occupavano le piazze per delle manifestazioni.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Per quanto mi riguarda, l'ho appreso dalla televisione. Dalla mia posizione non li ho visti, tuttavia sapevamo di quanto ha riferito il senatore.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. No, io non li ho visti.
KATIA ZANOTTI. Poiché sull'argomento hanno già posto delle domande l'onorevole Violante ed altri, ne farò soltanto una. Capisco che su alcune questioni non è possibile avere delle risposte, indipendentemente dalla volontà del dottor Lauro e del dottor Fiorillo; rimane, pertanto, un buco nero circa la presenza di un gruppo di poliziotti, a 15, 20 metri dalla camionetta. Tale presenza è stata confermata da fotografie, immagini televisive e testimonianze. Non si riesce a capire perché queste persone non si siano mosse di un millimetro di fronte all'aggressione alla camionetta che stava avendo luogo. Pertanto non farò la domanda perché non c'è una risposta.
Vorrei invece chiedere al dottor Lauro perché nel rispondere alla domanda del presidente Violante ha segnalato la presenza della pietra sporca di sangue molto vicina alla testa


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di Carlo Giuliani. Dalle immagini televisive che abbiamo visto e che sono depositate presso il Comitato non abbiamo avuto modo di riscontrare la presenza di questa pietra.
Con riferimento alle immagini successive, dove si vede il ragazzo sui gradini della chiesa che urla «assassini» e voi che rispondete: «l'avete ucciso voi!», vorrei chiedere se, per un attimo, avete avuto l'impressione che la dinamica dei fatti fosse stata questa.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma.Per quanto riguarda la presenza del gruppo vicino alla camionetta, ho già risposto. Quando si arretra in quel modo è necessario girarsi e non mi sono reso conto che c'era un gruppo di carabinieri e poliziotti che sarebbe potuto intervenire. Quando sono entrato nella piazza ricordo soltanto di aver visto questo ragazzo e di essermi diretto verso di lui; di aver chiamato a raccolta gli uomini per andare in quella direzione e, sinceramente, non mi sono accorto che c'era un gruppo di persone vicine che poteva intervenire.
Per quanto riguarda la pietra, l'ho vista. C'erano dei soldi vicino alla pietra; ricordo chiaramente di aver visto una banconota da 10.000 lire ed un mucchietto di soldi. Poi credo sia intervenuta la scientifica per fare i rilievi necessari. Credo che la pietra sia stata refertata. La mia impressione che il ragazzo fosse stato colpito da una pietra nasceva proprio dalla vista di quella pietra per terra. L'ho detto prima.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. La pietra l'ho vista anch'io, non ricordo se fosse insanguinata, ma era vicina al morto come pure l'estintore. Per quanto riguarda i carabinieri vicino alla camionetta non li ho visti ma ritengo, conoscendo il lavoro, che nei momenti di caos può succedere di tutto, anche che questi


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carabinieri potessero essere impauriti oppure che volgessero lo sguardo altrove. Non credo che si sarebbero allontanati se avessero visto una loro camionetta in difficoltà. Dobbiamo sempre ricordare che non si trattava di una situazione normale, «a freddo» come ora, in quest'aula; ci trovavamo in una situazione di grande tensione nella quale ci si comporta in maniera diversa.
GRAZIA LABATE. Vorrei fare una premessa prima di rivolgere alcune domande ai vicequestori aggiunti Lauro e Fiorillo ed è che la massa di informazioni intorno alla dinamica di piazza Alimonda viene rilevata dalle relazioni di servizio, fornite dal questore Colucci nonché da alcuni materiali a nostra disposizione, tipo video - vi hanno fatto riferimento alcuni colleghi che sono intervenuti - e, in modo particolare, da un articolo pubblicato su la Repubblica-lavoro, pagina genovese, il 21 luglio, a firma Filetto, che riporta, tra virgolette, le dichiarazioni dei vicequestori presenti agli accadimenti. In modo particolare penso si riferisca a lei, vicequestore Lauro, perché parla soltanto di un vicequestore molto giovane con ancora un manganello in mano e un ragazzo morto davanti ai piedi; un ragazzo giovanissimo con un paio di pantaloni blu, il rinforzo alle ginocchia... Penso si tratti di lei, vicequestore Lauro, non saprei dire con esattezza. Questa è la premessa. Io parto da questa massa di informazioni - che peraltro è a disposizione di tutti colleghi -, dal materiale video e dalle relazioni.
Rispetto alle loro introduzioni trovo alcune incongruenze e per questo faccio le domande.
Lei, vicequestore Lauro, ha parlato di diverse migliaia di manifestanti, mentre nella sua dichiarazione parla di circa mille manifestanti che hanno tentato una carica con sassaiole dirette anche alla sua persona. Vorrei quindi capire se si


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trattava, effettivamente, di una massa ingente, cioè mille, duemila, tremila persone o se erano soltanto mille. Si tratta solo di una domanda per amore della verità, perché questo è il nostro fine; noi non abbiamo poteri inquisitori e mi dispiace anche il riferimento che qualche collega può aver fatto, pensando che le nostre domande, ancorché precise, possano, in qualche modo, mettere in discussione o in difficoltà il vostro operato. Peraltro, per quanto riguarda me, essendo genovese, ed essendo stata lì, in quei giorni, comprendo perfettamente ciò che è avvenuto e comprendo anche il clima di ansia e di preoccupazione che era in tutti.
Per quanto riguarda la famosa questione della pietra, mentre trovo nel verbale del dottor Lauro la dichiarazione di aver visto vicino alla testa una pietra insanguinata, nelle dichiarazioni del dottor Fiorillo non si fa menzione della pietra ma si parla solo di un estintore vicino al corpo, a terra. Dunque il dubbio c'è, perché abbiamo ben 13 videocassette, più alcune videocassette delle tv locali ed anche le immagini mandate in onda la sera stessa dai telegiornali mostravano la testa in una pozza di sangue e credo che una pietra - lasciamo perdere il colore - grande o piccola, sarebbe stata visibile. Nelle immagini a nostra disposizione non abbiamo avuto modo di vedere la pietra ma può darsi che ciò sia dovuto soltanto al fatto che ci hanno fornito delle immagini dove non si riesce a vederla. Tuttavia questo elemento rimane non chiaro ma, lo ripeto, non si tratta di un'accusa, stiamo cercando soltanto di fare chiarezza perché vorremmo capire la dinamica degli avvenimenti.
Inoltre, lei ha fatto diversi tentativi di chiamare la centrale operativa della questura per riferire degli accadimenti, ma la centrale non rispose e quindi lei si rivolse, col suo cellulare, ad un vicequestore, per dire di mandare immediatamente i


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soccorsi medici. Intervengono due tipi di soccorso: il primo, di tipo volontario, da parte della Croce rossa ed il secondo, quello da lei chiamato, dell'auto medica del servizio di pronto soccorso del 118. Qui si inserisce - cito sempre dall'articolo che depositerò agli atti perché vi si riportano frasi virgolettate - la questione del giornalista che mostra il bossolo ad un carabiniere, che dichiara trattarsi di un bossolo non di arma da fuoco ma di lancia lacrimogeni e, a questo punto, lei interviene e si fa carico di chiamare un suo superiore e la scientifica, nella persona della dottoressa Bucci, che individua il bossolo e quindi attiva i passaggi verso la magistratura. La magistratura, con il procuratore, arriva alle 19 della sera, quindi non immediatamente.
La domanda che volevo farle è: non le parve strano che chiamando la centrale operativa non ricevesse alcuna risposta in una giornata come quella del 20 luglio, che, effettivamente, fu una giornata di ferro e fuoco in tutta la città? Le centrali operative erano allertate per provvedere a dare risposte in tutte le sedi operative.
L'ultima domanda che vorrei porre - lei comprenderà la mia accoratezza, essendo deputato di quella città - riguarda il fatto che risulta anche a me che il parroco don Timossi, della basilica di nostra Signora di piazza Alimonda, abbia chiesto di benedire la salma e che gli sia stato opposto un rifiuto. Comprendo una motivazione legata all'attesa dell'arrivo della Polizia scientifica: ovviamente, nessuno doveva avvicinarsi. Però, un atto di carità cristiana poteva essere accordato. Chiederei questi chiarimenti.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Quando lei ha detto Filetto, mi sono ricordato del cognome. La persona con il casco in testa e con la croce, in seguito mi ha detto di essere Filetto, un giornalista locale di


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la Repubblica. Sinceramente non ho letto le mie «dichiarazioni» (uso questo termine tra virgolette) riportate il giorno dopo dai giornali, quindi non so cosa ho detto, o meglio, che cosa abbia riportato di ciò che ho detto: mi sembra - come ha detto lei - che ammisi che era il bossolo. All'inizio il giornalista non si fidava e poi me lo ha dato (gli ho detto anche il mio cognome, che forse lui non ha citato).
Riguardo la domanda se i manifestanti fossero mille o migliaia, prima ho affermato che ho appreso in un momento successivo che fossero migliaia, quando sono stato ascoltato dalla commissione. In quel momento, come ho scritto, per me erano un migliaio. Il fatto che siamo stati costretti ad arretrare era causato dalla pressione che esercitavano dietro di noi i manifestanti: pressione nel senso che avanzavano verso di noi in gran numero. Ho dedotto - e poi ho saputo - che non erano solamente i mille che ho visto, ma un po' di più.
Ho citato la questione della pietra, probabilmente, nella relazione che ho redatto: ho subito avuto quella reazione perché ho visto quella pietra ed anche quelle che erano fischiate dietro la mia testa: avevo il casco, ho visto questo ragazzo con il passamontagna ed ho, forse ingenuamente, pensato che potesse essere stata una pietra. Sinceramente, ho avuto quella reazione. Avanzo un'altra interpretazione: se non ci avesse lanciato le pietre, ciò non sarebbe successo. Quindi fornisco una mia duplice interpretazione.
Per quanto riguarda il problema della centrale che non ha risposto subito, vorrei chiarire che durante quella giornata c'erano scontri ovunque che rendevano molto difficili i collegamenti. Quando ho chiamato, stavano avvenendo tafferugli altrove ed i colleghi chiamavano con urgenza: a quel punto ho capito che si stava verificando un intasamento ed ho chiamato telefonicamente un collega, che mi ha risposto. Non siamo


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abituati a situazioni di ordine pubblico così vaste come quella in cui ci siamo trovati, dove c'erano focolai dappertutto: è difficile in quel momento rispondere alle chiamate. Penso sia stato questo il motivo della mancanza di risposta immediata.
La magistratura non è intervenuta alle ore 19: non ricordo sinceramente gli orari, probabilmente erano le 19, però mi trovavo sul posto ed il dottor Meloni mi rivolse anche qualche domanda: ad esempio, se aveva il cappuccio. Probabilmente erano le 19, ma io ero ancora lì.
Non nego che possa essere avvenuto l'episodio del parroco ma, poiché con il collega abbiamo dato l'ordine di circondare la zona e non fare entrare nessuno, è logico pensare che un carabiniere od un poliziotto lo esegua alla lettera e magari in quel momento non tiene conto di quel senso di carità cristiana citato all'onorevole Labate: può essere accaduto.
LUCIANO VIOLANTE . A che ora ha preso servizio?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Alle 6 della mattina.
PRESIDENTE. Fino alle 16 sono 10 ore.
LUCIANO VIOLANTE. Era lì da 11 ore.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Ho pranzato intorno alle 16, 15,30: ho bevuto un po' d'acqua alle 15,30.
PRESIDENTE. Dottor Fiorillo, ha altro da aggiungere, oltre a ciò che ha dichiarato il suo collega?
MAURIZIO FIORILLO. Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Volevo precisare che non ho citato la pietra


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nella relazione, ma la pietra c'era, non ricordo se con il sangue. La mia attenzione si è focalizzata su ben altro, visto che abbiamo accertato in loco che la morte del ragazzo era avvenuta non a causa della pietra stessa, ma di altro, essa è diventata un particolare irrilevante che avrò dimenticato, ma che non aveva alcuna consistenza. Posso in ogni momento, se mi viene chiesto, riferire quanto ho visto: c'era una pietra, non ricordo se insanguinata, vicino al cadavere, a terra, vicino alla testa .
Riguardo alla centrale operativa, il mio collega è stato abbastanza esauriente: vorrei semplicemente aggiungere che la città di Genova in quelle ore aveva mille focolai, i canali erano 1 o 2 e c'erano centinaia di chiamate da parte di tanti colleghi che si trovavano tutti in difficoltà. È semplice quindi sovrapporsi, si tratta di spingere la radio con un dito: nel momento in cui un collega la spinge, io sono bloccato. Non era la centrale che non rispondeva, ma si è trattato di un fatto tecnico.
Per quanto riguarda il parroco; la legge indica l'obbligo di preservare le prove. Anche se la carità cristiana esiste, c'è una legge che ci impedisce di applicarla in quel momento; comunque né io né il collega, mi sembra, abbiamo visto questo parroco. Posso dire con certezza di aver ordinato ai poliziotti di mettersi intorno al cadavere della persona e di non far passare nessuno. Però non ho assistito a questo fatto: se ci sono immagini televisive, può darsi che il parroco sia stato ripreso, ma ero presente e non l'ho visto.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Vorrei aggiungere, rispondendo alla domanda del presidente Violante che mi ha chiesto a che ora avevo cominciato il servizio: eravamo sul luogo alle sei del mattino,


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ma mi sono alzato alle 4 perché eravamo a 40 chilometri di distanza dal posto.
LUCIANO VIOLANTE. È importante che si sappia.
MAURIZIO FIORILLO. Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Questo vale anche per me, era normale per tutti in quelle giornate.
MARCO BOATO. Dove eravate alloggiati?
MAURIZIO FIORILLO. Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Anche io a Rapallo.
PRESIDENTE. Va bene, la ringrazio.
MARCO BOATO. Garbatamente, presidente, mi rivolgo a lei, riguardo un intervento di poco fa. Stiamo svolgendo un'indagine conoscitiva: i funzionari, gli ufficiali dei carabinieri che ascoltiamo sanno che riferiscono di fronte ad un Commitato parlamentare che è istituzionalmente costituito per conoscere. Ognuno con la propria sensibilità rivolge domande a cui vengono fornite risposte con molta correttezza. Poiché è stata pronunciata un'affermazione e non c'è stato nessun intervento che l'abbia censurata, vorrei ribadire che dobbiamo tutti rispettarci reciprocamente poiché stiamo svolgendo una funzione parlamentare. Se qualcuno conoscesse la storia di altri paesi forse saprebbe che ci sono esperienze anche che più approfondite di queste.
Vorrei esprimere la mia solidarietà ai vicequestori Lauro e Fiorillo per il lavoro che hanno svolto e per il modo in cui stanno rispondendo.
Ho incidentalmente rivolto la domanda - mi pare abbia cominciato il presidente Violante - sul modo in cui era vestito


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il ragazzo Carlo Giuliani: tutti abbiamo visto come era vestito, nelle fotografie, in televisione. Il dottor Lauro ed il dottor Fiorillo hanno detto che non sanno rispondere su questa questione: bisogna prendere atto che sono sinceri, ma ad un certo momento, dopo la morte, compare un giubbotto nero sopra il ragazzo. Questo fatto è stato poi interpretato, non da noi ma a livello giornalistico, come una sorta di attribuzione postuma di un'identità black bloc, a persona che stava perpetrando una aggressione - la stava facendo - ma che non apparteneva a quel gruppo (Commenti del deputato Ascierto); questa è la ragione per cui si è sollevato l'interesse - anche se non condiviso da qualche altro collega, come si sente dal rumoreggiare - del tutto legittimo di un Comitato parlamentare.
Per quanto riguarda invece l'episodio del fotogiornalista Eligio Paoni, è un episodio documentato, fotografato, filmato, conosciuto; lo abbiamo chiesto ed il dottor Lauro ed il dottor Fiorillo dicono che non sanno nulla. Prendiamo atto di ciò.
L'unica, residuale, domanda che rivolgo, non riguarda l'episodio specifico: avete avuto, in quanto funzionari di pubblica sicurezza con la responsabilità dei reparti, rapporti di qualche tipo, anche soltanto via radio, con il funzionario che qualche ora prima aveva cominciato a comandare i reparti, sia della Polizia che dei carabinieri (così ci ha detto il dottor Donnini, riferendoci la circostanza), che sono intervenuti all'inizio di quella serie di vicende di cui avete vissuto le estreme conseguenze e cioè intorno all'una in via Tolemaide, quando c'è stato il primo fronteggiamento tra reparti di carabinieri e Polizia ed il corteo che proveniva dallo stadio Carlini? Il funzionario, ci dice il dottor Donnini, che comandava quella operazione di polizia era il dottor Gaggiano. Vi chiedo: avete avuto qualche rapporto con il dottor Gaggiano,


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sapete che aveva svolto e stava ancora svolgendo la funzione di sovrintendere, come autorità di pubblica sicurezza, alle operazioni di polizia più generali rispetto a quelle specifiche che svolgevate anche voi? Vi ringrazio della risposta e vi auguro buon lavoro
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. No, lì vi erano appunto diversi tipi di situazioni. Questa del dottor Gaggiano era un'altra, probabilmente precedente alla vicenda che ne è scaturita dopo, ma posso dire che non avevo contatti con lui.
In merito al discorso del giubbotto nero, personalmente non me ne sono accorto, però secondo me se così è stato (visto che i carabinieri erano intorno e nessuno si sarebbe avvicinato e non credo che qualcuno dei miei uomini glielo avrebbe potuto mettere), può essere stata la stessa ragazza, che era molto compassionevole e cercava di coprirlo, preoccupata per questo ragazzo, come tutti noi d'altronde.
GIANNICOLA SINISI. Ringrazio il dottor Lauro e il dottor Fiorillo. Non voglio manifestare soltanto la mia solidarietà, bensì anche la mia gratitudine, perché attraverso ciò che ci avete detto, al di là delle vicende specifiche, ci avete aiutato nella nostra funzione specifica, che è non soltanto quella di capire i fatti di Genova, ma anche di ragionare su come meglio possa operare il nostro paese nel fronteggiare le situazioni di ordine pubblico. Ci avete fornito uno spaccato molto autentico ed anche molto problematico di come in realtà avvengono questi episodi e di come in concreto operate.
Credo sia stato molto importante per noi sapere delle vostre 14 ore continuative di servizio, con un bicchier d'acqua alle ore 16.


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Credo, altresì, sia stato molto importante per noi sapere - e su questo vi rivolgo in particolare la domanda - che mentre l'Arma dei carabinieri è informata al proprio interno attraverso il laringofono, non c'è invece una comunicazione con il funzionario di pubblica sicurezza che sovraintende alle operazioni di ordine pubblico. Per inciso, vorrei anche sapere se poi questo laringofono è collegato con il comando provinciale dell'Arma dei carabinieri, dove c'è la sala operativa. Ritengo che la risposta sia positiva, ma le formulo espressamente una domanda in tal senso. Inoltre, vorrei sapere se avete a disposizione delle radio ricetrasmittenti dell'Arma dei Carabinieri mentre svolgete il servizio, per essere in contatto con l'ufficiale dell'Arma che comanda il plotone o il reparto messo a vostra disposizione.
Infine mi permetto, presidente, dopo un mese di lavori, di fare una piccola digressione: personalmente ho svolto un servizio di ordine pubblico 20 anni fa con esiti del tutto disastrosi per l'ordine pubblico ma senza alcuna conseguenza, e ancora me lo ricordo.
Sotto questo aspetto, non vi invidio per l'esperienza che avete fatto, ma vi debbo dire con franchezza che sono certo che per voi sarà un'esperienza importante che vi consentirà di affrontare con ancora maggiore competenza i servizi che renderete al nostro paese, attraverso l'attività di ordine pubblico.
Mi permetto di fare una considerazione, che vorrei sottolineare proprio a lei, dottor Lauro. Sono rimasto molto impressionato da un episodio del tutto marginale da lei raccontato: mi riferisco al bossolo da lei restituito al giornalista, nonostante avesse saputo che era un giornalista, per il solo fatto che potesse sospettare o temere di lei. Ecco, dopo 14 ore di servizio, questo è un gesto di assoluta mancanza di


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arroganza e credo che le faccia onore perché davvero esprime l'idea della forza del buon senso e della misura che lei ha saputo esercitare in quell'occasione. Mi permetta - lei è molto giovane - di fargliene personalmente testimonianza e di dargliene atto in questa circostanza, perché so che alle persone giovani che sono impegnate in un mestiere così difficile non accade così frequentemente che qualcuno gli riconosca un bel gesto.
MARCO BOATO. Vorrei aggiungere solo una considerazione.
PRESIDENTE. L'onorevole Sinisi, al di là delle osservazioni e delle considerazioni svolte, ha posto due domande relative alla possibilità di collegamento con il funzionario di pubblica sicurezza e con la sala operativa dei carabinieri.
LUCIANO VIOLANTE. Chi utilizza il laringofono?
PRESIDENTE. L'hanno già detto: i carabinieri.
LUCIANO VIOLANTE. Tutti i carabinieri o solo gli ufficiali?
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. C'era l'ufficiale e i capisquadra. I cento erano divisi in squadre, da cinque mi sembra, o da dieci; ogni caposquadra era collegato con l'ufficiale attraverso il laringofono e gli ufficiali erano collegati tra di loro. Se fossero collegati, o meno, con il comando provinciale, sinceramente non saprei dire. Ma noi non avevamo collegamento con loro.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Vorrei aggiungere che noi non disponevamo


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del laringofono, perché non è in dotazione. In genere c'è l'ufficiale dei carabinieri o il maresciallo o il caposquadra, che sta vicino a noi, e qui noi diamo disposizioni in merito al movimento della forza. Il loro laringofono era sicuramente collegato con la loro sala operativa, così come noi eravamo collegati con la nostra, mediante radio, con un microfono sul giubbotto. Il problema, che voi conoscete, è che non abbiamo una sala operativa comune. Quindi, di certo loro non ascoltano noi così come noi non ascoltiamo loro: questo lo sapete. Però, normalmente abbiamo vicino a noi il referente che è l'ufficiale o il caposquadra.
GIANNICOLA SINISI. Veniva data una ricetrasmittente dell'Arma dei carabinieri al funzionario preposto al servizio dell'ordine pubblico?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. No.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. No, personalmente non l'ho avuta. Comunque, per quanto riguarda il laringofono, forse il reparto mobile di Roma ce l'aveva, forse era l'unico gruppo ad averlo.
PRESIDENTE. Un numero limitato in confronto a tutte le unità.
MARCO BOATO. Avevo chiesto ai due vicequestori se avessero avuto rapporti con il funzionario responsabile, il dottor Gaggiano. Vedendo adesso la relazione di servizio del dottor Fiorillo, questa inizia dicendo: «Ero a disposizione del dottor Gaggiano». Dato che al riguardo il dottor Fiorillo non mi aveva risposto, ma lo aveva fatto il dottor Lauro, mi pare


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invece che egli, questo rapporto con il dottor Gaggiano, lo avesse e lo ha scritto anche nella sua relazione. Le chiedo, quindi, dottor Fiorillo, se può confermarmi ciò.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Ritengo che ciò che lei ha chiesto riguardi il giorno successivo, non il giorno 20.
MARCO BOATO. No, riguarda proprio il giorno stesso, quelle ore.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Il giorno 20 ero in piazza Verdi, ove era responsabile il dottore Gaggiano; ero fermo con il reparto, come risulta dalla mia relazione. Credevo che lei si riferisse al giorno dopo, perché il dottor Gaggiano era con me in quella piazza, anzi ero io insieme al dottor Gaggiano. Quando è arrivato l'agente del reparto mobile di Padova per chiedere soccorso, perché era in difficoltà in via Caffa, ho chiesto l'autorizzazione al dottor Gaggiano e sono partito da piazza Verdi. Ecco perché ritenevo che si trattasse del giorno successivo, il 21.
MARCO BOATO. La ringrazio di questi chiarimenti. Abbiamo sempre parlato delle stesse ore (lei ha detto: ho cominciato un paio d'ore prima, tre ore prima, in via Alimonda).
Dal momento che lei ha chiesto l'autorizzazione al dottor Gaggiano, mi conferma che il responsabile, anche a lei sovraordinato, dell'ordine pubblico in quella circostanza fosse il dottor Gaggiano? O gli ha chiesto l'autorizzazione in qualità di pari grado?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Il dottor Gaggiano era il mio superiore e


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comunque era responsabile in piazza Verdi, e non in un'altra zona, perché ciascuno aveva le proprie zone. In piazza Verdi, dove io ero con parte del reparto, si trovava il dottor Gaggiano, e c'era anche qualche altro funzionario; ho chiesto a lui l'autorizzazione al movimento del reparto. Ciò è avvenuto in piazza Verdi.
LUCIANO VIOLANTE. Ci interessa sapere questo: avevate una ripartizione per competenze territoriali? Cioè lei doveva stare in un posto, un suo collega in un altro, eccetera: era così? E non dovevate muovervi da lì salvo che succedesse qualcosa di straordinario: era così? È chiara la domanda?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Normalmente è così: ci viene assegnato un luogo di servizio...
LUCIANO VIOLANTE. A Genova era così?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. A Genova io stavo in piazza Verdi e attendevo disposizioni.
LUCIANO VIOLANTE. Con quale indirizzo?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Stare fermo e attendere disposizioni.
LUCIANO VIOLANTE. Volta per volta, riceveva disposizioni?
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Sì, o attraverso la radio o tramite il dirigente del servizio di piazza Verdi, che era il dottor Gaggiano.


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LUCIANO VIOLANTE. Grazie.
FILIPPO ASCIERTO. Anch'io - come ha fatto prima l'onorevole Sinisi - devo esprimere la vicinanza, che è ovvia, a chi svolge questa particolare attività. Chi, come me, ha svolto attività di ordine pubblico in piazza più di altri, così come l'onorevole Sinisi a suo tempo, tanti anni fa, ha fatto, meglio può comprendere cosa significhi essere sottoposto a sassaiole e ad una violenza particolare. Mi meraviglia che, al di là delle espressioni di solidarietà che giungono frequentemente, ma non sempre, un po' da tutte le parti nei confronti delle forze dell'ordine, vi sia la morbosa ricerca di alcuni episodi particolari, di alcune immagini tratte dai filmati, come, ad esempio, voler cercare attraverso quella camicia, quel panno, quella giacca nera, una precostituita verità su presunti inquinamenti dei fatti. Ci troviamo di fronte a telecamere, a fotografi, a circostanze ben precise, abbiamo visto tutti che costui aveva una canottiera bianca, ma alla fine vogliamo far apparire le forze dell'ordine come coloro che mistificano la verità e vogliono far diventare costui un black bloc. Sappiamo tutti che non vi erano soltanto i black bloc, sappiamo, anche dalle audizioni precedenti, che quello era il corteo che partiva dal Carlini, che, insieme a quelli di Brignole, aveva ormai devastato mezza città e in quel frangente vi erano le tute bianche. Sul posto vi erano cittadini italiani, in quanto italiano è il ragazzo che, purtroppo, è morto e italiano è quello che è stato arrestato un paio di giorni fa. Penso che tale morbosa attenzione nei confronti di alcuni episodi scemerà nelle prossime ore e che si arriverà poi a una conclusione più ovvia dei lavori che stiamo svolgendo.
Volevo porre ai funzionari due domande. Complessivamente quanti assalti hanno subito in questa lunga giornata? Mi dispiace che sia stata molto lunga per loro, ma di solito le


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giornate degli appartenenti alle forze dell'ordine sono sempre lunghe, non solo in circostanze drammatiche come quelle di Genova ma in senso generale (mi fa piacere che tali aspetti emergano quando poniamo loro le domande). Quanto sono durati complessivamente tali assalti? Ritenete di poter escludere la seguente circostanza (che forse, fino ad oggi, neanche abbiamo citato): alcuni degli stessi dimostranti sono stati feriti dalle pietre che lanciavano? Vi è, infatti, un episodio filmato nel quale un ragazzo con la fronte insanguinata, molto distante dalle forze dell'ordine, dice: «mi hanno preso, mi hanno preso!». Vorrei sapere se i sassi lanciati hanno poi colpito gli stessi dimostranti.
ADRIANO LAURO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Roma. Non ho conoscenza diretta di tale ultimo episodio, ma non posso escludere che sia accaduto in quanto i lanci di oggetti erano moltissimi.
Per quanto riguarda il numero degli assalti che abbiamo ricevuto posso rispondere in questo modo: sono dieci anni che faccio questo lavoro e la sensazione mia e dei miei colleghi era che l'aspetto negativo non fosse ciò che stava succedendo in quel momento, bensì il fatto che il giorno successivo sarebbe ricominciato tutto.
MAURIZIO FIORILLO, Vicequestore aggiunto presso la questura di Napoli. Per quanto mi riguarda, posso dire che si trattava di momenti interminabili: anche un solo minuto di quegli assalti non costituiva attività di ordine pubblico come siamo abituati o, almeno, sono abituato a svolgere. Secondo me si trattava di guerriglia. Lavoro a Napoli da molti anni, ho svolto attività di ordine pubblico per la polizia, sia in Italia sia all'estero, e non ho mai visto tale violenza: ciò che abbiamo subito a Genova non riguarda l'ordine pubblico, ma ben altro.


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Per quanto riguarda il lancio delle pietre, non ho conoscenza diretta del fatto, ma sicuramente alcune pietre, che venivano lanciate da tutte le parti, come colpivano noi, potevano colpire anche la testa dei manifestanti. Dato che venivano lanciate da dietro, quindi, potevano arrivare a noi ma anche ricadere sugli stessi manifestanti.
PRESIDENTE. Ringrazio a nome personale e dell'intero Comitato i vicequestori per la loro collaborazione e auguro loro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione e ricordo che il Comitato è convocato domani, giovedì 6 settembre 2001, alle 9.
La seduta termina alle 18,25.