RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - Perchè dico no alla commissione

Roma, 2 novembre 2007

Luca Casarini Nessuno di coloro che si battono per le stesse ragioni che sei anni orsono ci portarono a Genova può certo rallegrarsi della bocciatura della commissione d'inchiesta parlamentare dell'altro giorno. E' l'ennesima riprova, semmai ce ne fosse bisogno, che in quel luogo, il parlamento, alberga di tutto fuorché la voglia di democrazia. Ma questa considerazione quasi ovvia, naturale, non deve impedirci di guardare dentro le cose per quello che sono realmente, non come appaiono. La politica «ufficiale» è maestra nel confondere e nel mistificare. Non solo per una evidente corruzione, in senso filosofico e oltre, che la pervade, ma anche per la natura del «gioco» a cui partecipa e che tiene in piedi. L'autonomia della politica è fare una cosa per intenderne un'altra, dire a tizio perché caio si convinca. Separare la sostanza dalla forma, ma rovesciando l'ordine di importanza: la seconda, con tutte le sue ricadute mediatiche e quindi di consenso e legittimazione, è spesso molto più importante della prima. Questa «arte», come la chiamano, non è che si eserciti su quisquilie. Guerra, galera, libertà democratiche, cittadinanza, diritti civili. Dall'Afghanistan alle prime espulsioni prefettizie di cittadini comunitari, ne abbiamo tristi esempi. La Commissione d'inchiesta su Genova, dice Giuliano Pisapia, persona che stimo molto, sul manifesto di ieri, è un atto politico, è un modo di impedire che venga insabbiata la verità. Lo rispetto, ma non sono d'accordo. Non è lì, in Parlamento, o peggio nei tribunali, che si conquista la verità. In primo luogo perché la verità non può essere disgiunta dalla libertà. Di tutti coloro che per Genova sono finiti sotto processo, innanzitutto, e sono divenuti ostaggi per la vendetta del potere. Ma la verità, quella di Genova, delle persone, dei movimenti, troverà sempre contrasto nelle istituzioni. Perché si fonda proprio su una loro messa in crisi profonda, sul disvelamento della loro natura dispotica e autoritaria, che ha scatenato quella guerra nel luglio del 2001. Può il parlamento ammettere che in quei giorni sia stata sospesa la Costituzione? Può far scricchiolare i suoi apparati, polizia, carabinieri, servizi che proteggono il «gioco», sia esso al tavolo grande del G8 o in quello più piccolo di un singolo governo? La risposta è stata la promozione di De Gennaro. Basta e avanza. Credo che insistere su una Commissione d'inchiesta che, come dice Veltroni, non potrà che essere «sulle devastazioni compiute dai manifestanti e sugli abusi della polizia», sia sbagliato, e riprodurrebbe solo una verità del potere, pericolosa per i movimenti e necessaria per chi comanda. Sarebbe molto più utile a tutti mettersi al servizio dei movimenti, battersi per garantire agli uomini e alle donne i treni a prezzo politico per poter raggiungere Genova il prossimo 17 novembre, e crederci, al conflitto sociale, alla sua potenza che essa sola è in grado di cambiare veramente lo stato di cose presenti. E usare questa bocciatura come la cartina di tornasole della debolezza del potere, che non indaga su sé stesso perché è già colpevole.