RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Città chiusa, i genovesi non si sono fidati

Genova, 18 Novembre 2007

Città chiusa, i genovesi non si sono fidati
Nonostante le rassicurazioni di polizia e amministratori ha prevalso il ricordo dei tragici giorni di sei anni fa

L'eco del «vaffanculo» di don Andrea Gallo «ai profeti di sventura» resiste nelle strade deserte attraversate dal corteo. Resta nell'aria come uno degli slogan urlati in piazza e scritti sugli adesivi attaccati ai muri, vergati con la vernice spray nel sottopasso di Caricamento, scarabocchiati con il pennarello sui cartelloni della pubblicità. E dà il ritmo alla manifestazione più dei woofer scatenati dalla band "Assalto frontale".
È il messaggio che la città blindata, impaurita ha atteso chiudendo i negozi, sbarrando banche e uffici pubblici. E ha visto dispiegarsi nelle vie del centro insieme ai 50 mila del "ritorno a Genova". Che ha ascoltato prestando l'orecchio alla colonna sonora del movimento di protesta, nato da una delle ultime udienze del g8. L'udienza dei 224 anni di carcere e sei mesi chiesti dai pubblici ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani per 25 no global, 25 «capri espiatori», così definiti in un messaggio inviato alla piazza da Alex Zanotelli, il padre comboniano che è tra i leader nazionali della contestazione non violenta e del pacifismo.
La città temeva di rivivere i giorni del luglio 2001. Aveva torto. La scommessa di don Gallo è stata vinta. Per strada sono scesi tutti: dagli anarchici più radicali ai Cobas più arrabbiati; dagli studenti che la mattina avevano fatto il percorso inverso per manifestare su altri argomenti, ai no global che sono alla sbarra e aspettano il giudizio; dai tifosi senza bandiere, con il pensiero a Gabriele Sandri e al poliziotto che lo ha freddato con un folle colpo di pistola, ai ragazzi rasta dei centri sociali. Non è volata una sola di quelle bottiglie di vetro vendute persino dagli ambulanti, alla faccia della prevenzione. Poteva andare peggio.
E il peggio si aspettavano i negozianti che hanno tenuto le saracinesche abbassate quasi fosse una normale domenica di deserto metropolitano e non un sabato. Qualcuno lungo il percorso toccato dal corteo ha resistito alla tentazione di un giorno di festa. E ha fatto affari d'oro, a forza di thé caldi, caffè, tramezzini e birra.
Il timore dei commercianti, con il senno del dopo manifestazione, ha deluso il sindaco Marta Vincenzi, che li aveva invitati a tenere aperto e ad avere coraggio: «Dispiace che i negozi siano rimasti chiusi. Spero che questa sia l'ultima volta e che la giornata di oggi (ieri per chi legge, ndr) contribuisca a ricreare un clima di fiducia da parte degli operatori economici. L'appello a tenere le saracinesche alzate era stato lanciato perché avevamo una ragionevole certezza sul corretto svolgimento della manifestazione - ha aggiunto Marta Vincenzi - ma evidentemente le ferite erano ancora aperte e c'era ancora troppa paura che il corteo potesse trasformarsi in un saccheggio».
I genovesi che non sono scesi in piazza sono rimasti in casa e persino quelli del centro hanno seguito alla radio e in televisione quanto avveniva in strada, magari proprio davanti alle loro finestre. «Ho visto sventolare bandiere cubane, bandiere comuniste, bandiere americane in fiamme - protesta via telefono un abitante di Albaro - ho cercato almeno un tricolore ma non l'ho trovato». Segni. Come le scritte comparse sui muri lungo il percorso della manifestazione, contro la polizia, l'esercito e le banche. Al porto antico è stato scritto ''10 - 100 - 1000 Raciti", a Carignano, vicino alla caserma del comando regionale dell'Esercito, "Morte agli eserciti - Nassiriya docet", mentre in via Dante sulla sede della Banca d'Italia e della direzione delle Poste sono comparsi slogan contro gli istituti di credito e inviti a non votare.
Il corteo ha attraversato la città dalla Stazione marittima fino a De Ferrari, quasi ignorato dalle forze dell'ordine, schierate a distanza di sicurezza, per non dare un obiettivo ai più violenti. Il traffico, deviato con efficacia, non ha subito grossi contraccolpi. Grazie all'impiego di cento vigili, 25 auto e 30 moto. Sono rimasti i graffiti, che l'Amiu ha cominciato subito a rimuovere, quando ancora si cantava, grazie agli sforzi di sessanta addetti con 2 autogru, 6 spazzatrici, 15 porter e 4 compattatori. Già oggi, le campane della raccolta differenziata e i cassonetti rimossi per ragioni di sicurezza torneranno al loro posto. E sarà ripiegata la tenda gialla dell'unità di decontaminazione nbcr (nucleare, batteriologico, chimico e radiologico), montata dagli uomini del 118 di Genova nel piazzale dell'ospedale San Martino per soccorrere le persone eventualmente colpite da gas lacrimogeni durante la manifestazione. Non è servita a niente. Se non a rendere ancora più forte l'eco del grido di don Gallo rivolto «ai profeti di sventura».

Graziano Cetara