RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - I vertici della polizia sul banco degli imputati

Genova, 13 novembre 2008

LE MOLOTOV
I vertici della polizia sul banco degli imputati

SARA MENAFRA
INVIATA A GENOVA

La sentenza è attesa per questa sera, forse già nel pomeriggio. Tutto dipende dalle difficili scelte del collegio presieduto da Gabrio Barone. Dopo quasi tre anni di dibattimento e più di 200 udienze dovrà pronunciarsi sulla sorte di 29 poliziotti, alcuni dei quali dirigenti di primissimo piano del Dipartimento di pubblica sicurezza, tutti accusati di essere i responsabili della perquisizione e del pestaggio compiuti nella scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001. Probabilmente, è il processo più importante nato dalle giornate del g8 genovese. L'unico che abbia chiamato al banco degli imputati i vertici della polizia passata e futura, se si esclude quello al capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro, ancora in udienza preliminare.
Gli autori delle violenze nel dormitorio organizzato dal Genoa social forum, perquisito coi manganelli in pugno con la scusa dell'assalto a un'auto della polizia in realtà mai avvenuto, non sono mai stati identificati con chiarezza. Solo a uno di loro, appena qualche giorno fa, i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini sono riusciti a dare un nome ed è probabile che a suo carico parta a breve una nuova richiesta di rinvio a giudizio. Per tutte le altre braccia fratturate e teste rotte, il tribunale giudicherà i funzionari e non gli agenti del Settimo nucleo antisommossa di Roma, all'epoca diretto da Vincenzo Canterini. Rischiano tutti 3 anni e 6 mesi per lesioni.
Prima di ogni altra cosa però, il tribunale di Genova dovrà decidere cosa fare del destino dell'attuale capo dell'antiterrorismo Francesco Gratteri, del direttore del dipartimento analisi dell'Aisi (ex numero due dell'antiterrorismo) Giovanni Luperi e del direttore dello Sco Gilberto Calderozzi immortalati dalle telecamere della televisione genovese Primo canale mentre discutono di un sacchetto con dentro due bottiglie molotov. I due ordigni - sequestrati in piazza il giorno prima ma portati nei pressi dell'edificio dai due funzionari Troiani e Gava che rischiano 5 e 4 anni per violazione della legge sulle armi - furono essenziali per arricchire il magro bottino della perquisizione di quella sera e accusare i 93 manifestanti che dormivano all'interno della scuola di essere tra i responsabili del cosidetto «black bloc».
Nel corso del processo qualcuno alla Digos di Genova ha deciso di buttar via quelle bottiglie che persino in fotografia restano la prova più importante portata davanti al tribunale di Genova. Sono quelle che collegano con più chiarezza i dirigenti della polizia italiana non solo alla perquisizione della Diaz ma anche alla scelta di accusare i manifestanti all'interno della scuola di crimini inesistenti. I magistrati hanno chiesto una pena di 4 anni e 6 mesi per tutti i dirigenti coinvolti in quel gigantesco falso. Se il tribunale deciderà di accogliere le richieste molti di loro non perderanno il posto, visto che i regolamenti del dipartimento di sicurezza consentono di bloccare la sospensione dal servizio con un semplice ricorso in appello.
Nei mesi passati la ricostruzione delle parti civili ha mostrato con sufficiente chiarezza il passaggio di consegne tra i dirigenti di polizia all'esterno del cortile e la dirigente della digos di Firenze Daniela Mengoni. C'è un fotogramma che la mostra all'interno della scuola ed è stata lei stessa a raccontare al processo di aver visto «il dottor Luperi che aveva questo sacchetto in mano»: «Ho visto il dottore che aveva questo sacchetto con in mano due bottiglie. Lui mi ha visto e mi ha chiamata». Il percorso di quelle bottiglie è stato spiegato più volte: da una piazza genovese lontana alcuni chilometri, fin nell'interno della scuola, poi subito fuori tra le mani dei dirigenti di polizia (antenna 1 mostra Gianni Luperi con quel sacchetto azzurro tra le mani) e infine di nuovo dentro alla scuola. Immagini mostrate ai giornalisti di tutto il mondo come prova delle violenze dei manifestanti.
Nelle ultime settimane, la politica italiana ha preferito ignorare la vicenda genovese e la sentenza attesa. A nome del governo Berlusconi ha parlato l'avvocatura di stato, la stessa che durante il processo Bolzaneto aveva avuto il coraggio di ammettere le violenze e chiedere scusa ai manifestanti. Visto che stavolta si parla della Diaz e dei capi della polizia italiana, in aula i legali hanno chiesto l'assoluzione per tutti. E davanti al lungo elenco di violenze che ha colpito ragazzi inermi, spesso giovanissimi, l'avvocato Domenico Salvemini ha detto solo: «Le botte non sono state indistinte e contro tutti. C'è stato chi ha picchiato e chi no, la democrazia non è mai stata in pericolo». Sapremo oggi se il dottor Barone è della stessa opinione.