RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - A Bolzaneto colpo grave alla credibilità della Polizia

Genova, 28 novembre 2008

«A Bolzaneto colpo grave alla credibilità della Polizia»
Processo G8

Le motivazioni della sentenza: «Il processo è stato tecnico, non politico.
Provate condotte inumane e degradanti»
La sentenza su quanto avvenne a Bolzaneto nel G8 ha ora le sue motivazioni. I giudici esprimono amarezza per l'omertà, ma i fatti accaduti e provati «hanno inferto un colpo gravissimo non solo alle vittime, ma anche alla dignità della Polizia».

G8, LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA PER LE VIOLENZE A BOLZANETO

«Colpo alla dignità della polizia»
I giudici: «Condotte inumane e degradanti».Ma il reato di tortura non si può provare

«Condotte inumane e degradanti, pienamente provate, che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di "tortura" adottata nelle convenzioni internazionali», scrive il giudice Renato Delucchi.
Di tortura però «non si può parlare» per i fatti di Bolzaneto, «non solo perché nel nostro ordinamento tale reato non è previsto», ma soprattutto perché l'escamotage dell'abuso di ufficio, adottato dai due pubblici ministeri Vittorio Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello, non ha convinto.
Sono motivi tecnici. Ma in diritto è necessario dimostrare «la volontà dell'imputato nel procurare un danno ingiusto» e questo perché non sempre «non impedire un evento, che si ha l'obbligo di impedire, equivale a causarlo».
Non ci fu tortura, anche se nessuno potrà mai negare i crimini compiuti in quella caserma. E che, come scrive il giudice, «quantunque commessi da un numero limitato di autori, che hanno tradito il giuramento di fedeltà alle leggi della Repubblica italiana, e in una particolare (e si spera irripetibile) situazione ambientale, hanno comunque inferto un colpo gravissimo» non solo alle vittime ma «anche alla dignità delle forze della polizia di Stato e della polizia penitenziaria e alla fiducia di cui questi corpi devono godere».
Sono i cardini delle motivazioni (rese pubbliche ieri) della sentenza per quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto, dove venivano trattenuti i noglobal arrestati per gli scontri in strada durante il G8 del luglio 2001. Il 14 luglio scorso, al termine di un processo durato anni, 15 condanne e 30 assoluzioni con pene variabili fra i 5 mesi e i 5 anni. I reati contestati agli imputati (tutti appartenenti alle forze dell'ordine più un medico) a vario titolo erano abuso d'ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell'ordinamento penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Il processo «si è attenuto al principio costituzionale della responsabilità personale» dei diversi reati: «Sebbene sia stato celebrato in un'atmosfera caratterizzata da forti contrapposizioni politiche, sono stati portati a giudizio non situazioni ambientali o orientamenti ideologici, bensì singoli imputati per specifiche condotte criminose». Se ci sono state «pratiche inumane e degradanti»perché non è stato possibile attribuirle ad alcuno?
Risponde il giudice. Da una parte «questo tribunale ha ritenuto non sufficientemente dimostrata l'esistenza degli episodi riferiti» da parti offese «comunque attendibili».Dall'altra «la maggior parte di chi si è reso direttamente responsabile delle vessazioni provate in dibattimento, è rimasta ignota» per «la scarsa collaborazione delle forze di polizia, originata, forse, da un malinteso "spirito di corpo"».
GLI EPISODI PROVATI.
Nel corso del processo fu provato un elenco di vessazioni, alle quali sono stati sottoposti gli arrestati, che ha dell'incredibile. «Insulti e percosse» inflitti da gruppi di agenti che via via si formavano all'arrivo di nuovi arrestati «feriti»,«menomati»,«obbligati a stare in piedi, a gambe divaricate e braccia alzate diritte sopra la testa, nel cortile, contro il muro della palazzina, nelle celle».Costrizione sostenuta dagli imputati con «motivazioni infondate» e «risibili, se l'argomento di questo procedimento non fosse terribilmente serio e grave». Le percosse, anche nei genitali, erano la reazione alla richiesta di conferire con un magistrato o un avvocato, o di andare in bagno. Il tutto veniva condito da «insulti di ogni tipo, a sfondo sessuale, razzista, di contenuto politico, minacce di morte e di stupro», con «l'obbligodi ingiuriare se stessi e pronunciare inni al fascismo e al nazismo». Insiste il giudice: «Queste ultime espressioni di carattere politico, già di per sé intollerabili sulla bocca di appartenenti a forze di polizia di uno stato democratico, che pone il ripudio del nazifascismo tra i valori della propria Costituzione, sono risultate tanto più ripugnanti e vessatorie in quanto dirette contro persone appartenenti a un'area politico sociale antifascista e antirazzista». Gli arrestati alla scuola Diaz furono «marchiati con il pennarello come se non di persone si trattasse, bensì di capi di bestiame o di imballaggi di merci».
LA CRUDELTA' ESCLUSA.
Nell'esame dei personaggi simbolo si ritrovano molte spiegazioni. L'ispettore Antonio Biagio Gugliotta subisce la condanna più alta in assoluto (5 anni e 2 mesi) poiché avendo un compito di coordinamento «sapeva cos'avveniva nella struttura e relative adiacenze, ed è da ritenerlo responsabile e consapevole anche per fatti accaduti in sua assenza». Antonello Gaetano, poliziotto condannato per lesioni, non può beneficiare delle testimonianze dei colleghi, che pure aveva citato, poiché «irrilevanti». Ma non gli vengono contestati i «motivi abietti» per una questione tecnica: occorre che il movente del reato, per quanto ravvisato, sia identificato con certezza.
Importante il caso di Massimo Pigozzi, l'agente che lacerò una mano divaricando le dita a Giuseppe Azzolina. Su quel fatto la vittima «ha dato dichiarazioni coerenti e non inficiate da motivi di vendetta». Non è tuttavia riconosciuta l'aggravante della crudeltà: «Può essere ravvisata soltanto se il soggetto inserisce un surplus di efferatezza, che in questo caso non si ravvisa».
FALSI A CAUSA DEL CAOS.
Un passaggio chiave è quello sui documenti precompilati che furono fatti firmare a molti detenuti, a loro insaputa.
I giudici confermano in qualche modo quello che d'acchito sembra un inganno, ma escludono il reato. «È stata accertata la parziale precompilazione dei moduli utilizzati per raccogliere le dichiarazioni di primo ingresso».Però: «Il collegio ritiene che la mera predisposizione dei moduli con una parte compilata in anticipo non configuri una falsificazione,qualora vi sia corrispondenza fra quanto verbalizzato in anticipo e la dichiarazione raccolta in seguito». Non va dimenticato «il problema della mancata comprensione della lingua italiana.
Questa circostanzapuò avere determinato un difetto di comprensione reciproca, da parte dell'arrestato straniero, della domanda formulata dal personale e, da parte del verbalizzante, del contenuto della risposta. La difficoltà di comprensione non consente di ritenere raggiunta la prova del contenuto stesso delle dichiarazioni, e della conseguente falsità di quelle registrate».
OMERTA' ININFERMERIA.
Inequivocabile il giudizio complessivo sulla situazione in infermeria: «Il trattamento degli arrestati non fu sempre rispondente alla tutela della salute delle persone. Il clima complessivo conseguente non fu dei migliori per il comportamento degli addetti, a volte violento e prevaricatore. La visita medica è stata «occasione di ulteriore umiliazione e denigrazione o violenza»,e non ha creato le condizioni per consentire a coloro che avevano subito in precedenza ferite,dispiegare precisamente cosa avevano. La responsabilità più grave è del dirigente, il dottor Giacomo Toccafondi (un anno e due mesi), che ha persino «precluso» di avviare indagini sull'utilizzo di gas lacrimogeno in caserma, con «un atteggiamento omertoso».
NESSUNADIFESA.
Anche se «insuperabili dubbi» hanno mitigato le condanne, l'incubo non finì con la scarcerazione.
Le vittime hanno patito le conseguenze dei reati per lungo tempo, «per arrivare alla guarigione e al recupero sul piano psicologico». I pestaggi non furono «condotte isolate bensì estese». E alla fine è innegabile «la soggezione estrema dei reclusi, fra cui stranieri che per l'ignoranza della lingua italiana erano nell'impossibilità di comunicare», oppure «la condivisa percezione di impotenza a reagire».
Perciò si delinea nel complesso «un contesto in cui, a fronte di comportamenti violenti e inumani da parte di coloro che erano preposti alla custodia o alla cura delle persone, le vittime non hanno potuto opporre alcuna difesa nei confronti degli illeciti».
Il punto è che non era possibile individuare i colpevoli uno a uno.

GRAZIANO CETARA
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