RASSEGNA STAMPA

La Repubblica - Valérie, prima nella caserma degli orrori "A Bolzaneto mi hanno rubato l´anima"

Avignone, 6 maggio 2008

Diventa un film-documentario il caso della donna francese che il 20 luglio 2001 alle 14.40 violò la Zona rossa
Valérie, prima nella caserma degli orrori "A Bolzaneto mi hanno rubato l´anima"
Due giorni in balia dei carcerieri: "Il loro obiettivo era solo annientarci"

MASSIMO CALANDRI

E´ cominciato tutto con quella stretta al braccio. Una mano maschile l´ha presa e trascinata giù dall´auto della polizia. «La violenza con cui mi ha afferrato. La brutalità, che in quel momento mi è apparsa inutile. E´ stato un attimo, e dietro l´inquietudine è arrivata la consapevolezza. Stava per accadere qualcosa di brutto. E io c´ero dentro fino al collo».
Valérie Vie, francese. Nel pomeriggio del 20 luglio 2001 violò la Zona Rossa, in piazza Dante. Fu la prima arrestata del G8. E la prima ad entrare nella caserma di Bolzaneto. Sarà la protagonista di un film-documentario di Pierre Carles, il Michael Moore francese. Che in questi anni l´ha seguita con una telecamera, e continuerà a farlo fino al termine del processo genovese. Carles vuole denunciare la follia di quel "centro di temporanea detenzione" che ha scandalizzato l´Europa.
Raccontando la storia di Valérie. Che accetta per la prima volta di ricordare con un giornalista. «Avevo le mani legate dietro la schiena.
Sono scesa nel piazzale della caserma. C´era un gran sole, quel giorno. E un silenzio irreale. Strano. Intorno a me ho visto tantissimi uomini, in divisa o in borghese. Non parlavano, mi guardavano fisso. Mi odiavano».
Era tutto così strano. Così inquietante, ripete. «Pensavo di dover parlare con qualche funzionario di polizia. Resterò qui un qualche minuto, mi sono detta. Mezz´ora, al massimo. Mi chiederanno i documenti, spiegherò che quando si è aperta quella grata io ho fatto un passo in avanti. Gli dirò che volevo parlare con gli Otto Grandi, che è un altro mondo è davvero possibile. Mi lasceranno andare subito». Invece no. Lascerà Bolzaneto solo due notti dopo. Picchiata, insultata, minacciata: "Le vedi le foto dei tuoi figli? Non li vedrai mai più". Senza aver mangiato, umiliata, derisa.
«Mi hanno sbattuto in una cella. C´era una ragazza tedesca che piangeva, la faccia rivolta al muro. Non possono farti questo, le ho detto in inglese, questo non è il Medio Evo. "No grazie, preferisco così. Ed è meglio che lo fai anche tu. Questa gente è cattiva", mi ha risposto».
Succede tutto molto rapidamente, giura. Che ti sale la paura, sempre più forte. Non è la paura del male fisico, è qualcosa di più profondo. E nero. «Ho compreso che la situazione era più grave di quanto potessi immaginare. Ed è stata la fine, psicologicamente. C´erano ragazzi grandi e grossi.
Terrorizzati. Si muovevano come automi, obbedivano agli ordini che gli urlavano al di là delle sbarre. E´ terribile vedere uomini forti ridotti così, sottomessi. Ho visto che in un corridoio picchiavano un poveretto, e quello che lo colpiva mi si è avvicinato gridandomi di restare faccia al muro. L´ho fatto». Perché è così che succede. Che ad un certo punto pensi solo a te stesso, a sopravvivere. «Quando ci siamo rivisti, anni dopo prima del processo, ci siamo abbracciati e abbiamo pianto. Per le nostre paure, per il rimorso. Ci avevano ridotti a non più resistere, pensare, agire. Ci avevano obbligati a rinunciare a tutto, perché questo era il loro obiettivo: l´annientamento». E nella mente si fa tutto buio, tra squarci di orrore. «Le urla che salgono con il passare delle ore, insieme ai lamenti. Il sangue. La notte, noi che cerchiamo di stare vicini e quelli che ci spaventano dalle finestre. Battendo i caschi sulle sbarre, facendo versi d´animali». E pensare che quattro mesi dopo il direttore della scuola della sua bambina l´aveva convocata, preoccupato. «Un
poliziotto era andato a parlare in classe agli studenti, diceva che loro proteggono la brava gente. ‘Non è vero: voi la brava gente la picchiate!´, gli aveva risposto mia figlia». Non le interessa che gli imputati siano condannati. «Non mi importa che vadano in galera. Mi interessa parlare di quello che è accaduto. Ricordare, documentare. Perché tutto questo non accada di nuovo. Mai più».