RASSEGNA STAMPA

LA REPUBBLICA - G8, l´ultima beffa Il poliziotto identificato sette anni dopo

Genova, 31 ottobre 2008

Aveva picchiato alla Diaz
G8, l´ultima beffa Il poliziotto identificato sette anni dopo
G8, il poliziotto "fantasma" spunta 7 anni dopo

Picchiò alla Diaz ma è stato identificato solo da poco. Il pm Zucca: è l´ultima beffa
L´agente partecipava alle sedute in aula, ma nessuno lo "conosceva"
MASSIMO CALANDRI

L´ULTIMA beffa, la chiama il pubblico ministero. L´ultima vergogna, la degna conclusione per una delle pagine più nere nella storia della Polizia di Stato. La clamorosa rivelazione fatta ieri in aula nel corso del processo per il blitz della scuola Diaz lascia stupefatti. Amareggiati.
Comprensibilmente impauriti. Il pm Enrico Zucca ha svelato il cosiddetto «mistero» dell´agente con la coda di cavallo. E la soluzione dell´enigma, anziché rasserenare, lascia più inquieti che indignati. Un filmato, girato quella maledetta notte di sette anni fa, mostrava un poliziotto in borghese che menava manganellate sulla testa dei poveretti ospiti della scuola. Chi era quell´uomo? I magistrati lo avevano chiesto all´allora questore Oscar Fioriolli, mandato dal ministero dell´Interno a «collaborare» - vale la pena di scriverlo tra virgolette, a questo punto � nelle indagini. L´agente con la coda di cavallo è inquadrato in primo piano, la procura � e siamo nell´agosto del 2001 - chiede ai suoi colleghi che sia identificato. Inutilmente. Passano i giorni, i mesi, gli anni. I fotogrammi vengono trasmessi in tutte le questure italiane, ma nessuno è in grado di riconoscerlo. Uno scandalo, una vergogna che con il trascorrere del tempo rischia di essere archiviata insieme alle tante altre. Come la famigerata quattordicesima firma sui verbali di arresto, che nessun pubblico ufficiale ha mai il coraggio di indicare come propria.
Come i fazzoletti calati sui volti dei «celerini» protagonisti dell´irruzione. Come l´omertà intorno ai poliziotti che massacrarono a calci � è ancora aperto un fascicolo per tentato omicidio a carico di ignoti � il giornalista inglese Mark Covell. Nei giorni scorsi è però arrivato un colpo di scena, perché la procura è riuscita ad identificare
l´uomo che portava la coda di cavallo e che tirava mazzate sul capo di ragazzi inermi. Attenzione: sono stati i magistrati a dargli un nome, perché i poliziotti non hanno mai aperto bocca. Il picchiatore «misterioso» è un poliziotto della questura di Genova, ha rivelato Zucca.
Uno che ha avuto la sfacciataggine, l´impunità di presentarsi anche nell´aula-bunker per assistere ad alcune udienze. Lo hanno fotografato, e le immagini sono state messe a confronto con il filmato. E´ lui, non ci sono dubbi. Ieri Zucca e il collega Francesco Cardona Albini hanno parlato per l´ultima volta. Il processo volge al termine, la sentenza slitta di qualche giorno ma è comunque attesa per il 12 novembre. Sono imputati 29 tra agenti e super-poliziotti. Per la procura, che ha citato Amnesty International, quella notte del 21 luglio di sette anni fa è stata perpetrata «la più grave violazione dei diritti umani in un Paese democratico dal dopoguerra». I pubblici ministeri, riferendosi agli indagati, hanno denunciato che nel corso dell´inchiesta «furono proposti dei patti, patti che abbiamo rifiutato perseguendo la legalità a tutti i costi». Rivolgendosi al presidente del tribunale Gabrio Barone, hanno stigmatizzato, ricordando gli interventi della difesa («di una violenza ingiustificata, utile solo a inquinare la serenità del giudizio»): «Abbiamo ascoltato l´ira di chi non accetta di essere sul banco degli imputati, e quella delle persone offese che hanno aspettato il processo. E ora il processo c´è stato. Non cedete all´arroganza». Qualcuno a nome degli imputati aveva sottolineato il "clima di guerra" di quei giorni, quasi a giustificare i soprusi delle forze dell´ordine. «Non potete accettare nemmeno come paradosso che la sospensione del diritto si sia avuta perché la polizia è stata costretta a fuggire», hanno detto i pm, attaccando anche l´Avvocatura dello Stato: «L´Avvocatura ha detto che non vi è danno in un falso formale? Il falso è un reato plurioffensivo.
All´accertamento della verità si è opposta la reticenza e la falsità di alcuni». Perché la maggior parte degli imputati, in particolare quelli più alti in grado, ha preferito fare scena muta. E chi ha parlato � Cardona Albini ha citato non a caso Michelangelo Fournier, quello assistette alla "macelleria messicana" � si è rivelato in realtà reticente.