RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - Le scuse di Manganelli non bastano

Roma, 18 novembre 2008

Genova 2001, nessuna riconciliazione possibile senza verità e giustizia.

Le scuse di Manganelli non bastano
E D'Avanzo ha fretta di stendere un velo

Graziella Mascia

La notizia più interessante della lettera del capo della polizia, dottor Manganelli, è la costituzione di una scuola di polizia per la tutela dell'ordine pubblico. Se il dottor Manganelli è interessato a caratterizzare in modo particolare «l'ultimo capitolo della sua storia professionale» apra questa scuola alla società, consenta a noi, che siamo stati a Genova e in tutti questi anni ci siamo battuti per conoscere la verità sui fatti del 2001, di confrontarci con quanto decideranno di insegnare in questa scuola. Le forze dell'ordine devono sempre rispondere alla costituzione e non ai governi, ma in quei giorni del G8 la costituzione è stata sospesa. La formazione che è stata fatta prima di Genova, come abbiamo accertato nel comitato di indagine parlamentare, vedeva la presenza di tre sceriffi di Los Angeles che insegnavano a usare i manganelli tonfa, per la prima volta dati in dotazione alla polizia. A Genova i tonfa sono stati usati al contrario, come dei martelli: le ferite da taglio sulla testa dei manifestanti superano qualsiasi percentuale precedente. Potrei aggiungere altro, a tal proposito. Ma il senso di questa richiesta è una sola: qual è la finalità dell'intervento della polizia in problemi di ordine pubblico? Teoricamente lo sappiamo, dovrebbe essere quello di contenere la situazione, di ridimensionare i problemi, evitare che qualcuno si faccia male, eccetera. Sappiamo anche che non sempre è andata così.
Genova rappresenta, da questo punto di vista, una esperienza drammatica ed eccezionale ma anche le piccole esperienze di questi anni ci dicono che molto c'è da fare per tutelare i diritti costituzionali anche nelle situazioni delicate che richiedono l'intervento di forze di polizia. Se il dottor Manganelli vuole lasciare un segno, nella sua gestione, questa mi sembra la strada più interessante. Per il resto non vedo nessun coraggio, semmai vedo un grande ritardo. Le scuse vanno sempre bene, e in ogni caso devono essere in primo luogo le vittime ad accettarle, per quanto, seppure in modo diverso, siamo tutte vittime. E in ogni caso, qualsiasi scusa non può lenire le ferite morali di questi anni, dopo quelle fisiche del 2001, che si confermano in modo particolarmente grave nella sentenza dell'altro giorno: dall'assoluzione dei vertici della polizia all'entità delle pene per i condannati, ai ridicoli risarcimenti. Dal punto di vista simbolico un vero scandalo. Non so se è lo sdegno che ha seguito questa sentenza ad aver scosso il dottor Manganelli e a spingerlo nel dire tutto quello che sa. Vorrei però sottolineare alcune questioni.
Primo, la verità sui fatti di Genova emerge in gran parte dalle ricostruzioni giornalistiche, dai filmati, dalle testimonianze che si sono accumulati nel corso di questi anni, e che hanno raggiunto un livello di sofisticazione tale da poter essere utilizzati nel corso dei processi. Il dibattimento in aula sulla scuola Diaz ha rivelato altri particolari fondamentali, che consentono a chi è veramente interessato di ricostruire la verità. La sentenza poteva rappresentare un risarcimento morale in assenza di quello del parlamento, che ha bocciato in modo definitivo la commissione di inchiesta. E qualsiasi altra invenzione a tal proposito - o una commissione senza coloro che si sono sempre battuti e oggi sono fuori dal parlamento, oppure altri tipi di audizione o trovata istituzionale - rischia di essere una farsa, un modo per celebrare la copertura della verità che anche il tribunale ha deciso.
Secondo, forse Giuseppe D'Avanzo considera desolanti queste considerazioni ma, ricordo che nel 2001 l'allora ministro dell'interno Scajola si impegnò per una indagine amministrativa interna per individuare le responsabilità per gli abusi del G8. Non lo ha fatto lui, che è ancora ministro, non lo hanno fatto coloro che lo hanno seguito, non lo ha fatto il dottor Manganelli. Il capo della polizia ha tutti gli strumenti per dire o aggiungere quanto ritiene utile, in Parlamento o in altre sedi istituzionali. Non possiamo però dimenticare che in occasione di ogni udienza del processo sulla scuola Diaz, in particolare, piovevano comunicati da tutte le parti: dai sindacati di polizia agli esponenti di An, Forza Italia, Udc; tutti in difesa della polizia. Si è determinata cioè una pressione incredibile sugli stessi pubblici ministeri, da far apparire quei magistrati veramente coraggiosi, oltre che rigorosi. Non abbiamo sentito da nessuno in quelle occasioni che semplicemente chiedessero rispetto per il loro lavoro e il ripristino di un clima di serenità. Aggiungo che nel corso delle udienze, fra le altre cose, il pubblico ministero ha potuto riconoscere nel pubblico un poliziotto che da tempo stava cercando senza successo. Si tratta di un poliziotto con la coda di cavallo che nella scuola, come si vede dai filmati, picchiava senza ritegno dei ragazzini inermi: il Pm ha chiesto aiuto a tutti i responsabili della polizia, dal capo nazionale in giù. Nessuna segnalazione è venuta, salvo poi riconoscerlo in aula e scoprire che è della Digos di Genova.
Terzo, il dottor Manganelli non era a Genova, ma allora era già vice capo della polizia e a questo titolo è stato sentito come testimone, nel processo per la scuola Diaz, giurando di dire tutta la verità. Cosa è intervenuto di nuovo o di così importante, che egli non abbia potuto dire in quella sede, o che non abbia potuto dire in questi anni?
Per noi la vicenda di Genova non è chiusa, e faremo di tutto per tenere viva la memoria e per chiedere giustizia, anche avvenisse tra anni. Dunque, non c'è problema, qualsiasi elemento di novità è benvenuto. Ma - caro D'Avanzo - una «riconciliazione tra le forze dell'ordine e una generazione» ha bisogno di ben altro che qualche rivelazione, per quanto autorevole. Le verità devono essere sempre precedute, quanto meno, da un contraddittorio, e ciò sarebbe stato possibile in una commissione d'inchiesta e in un'aula di tribunale, nonostante le differenze sostanziali rispetto a ruoli e obiettivi delle due sedi. E, dopo le verità, devono seguire le condanne morali, penali e amministrative. Fin qui non abbiamo avuto neanche quelle morali. Forse, dopo questi presupposti minimi si può avviare un processo di riconciliazione che peraltro, anche quello, deve essere sostenuto da fatti concreti nei comportamenti quotidiani, per dimostrare che si è aperta un'altra fase. Francamente, non vedo nulla di tutto ciò.