RASSEGNA STAMPA

CORRIERE SERA - Celerini e ultras, la febbre dell' odio

Milano, 25 gennaio 2009

SOCIETÀ/1 «ACAB» INDAGA LE RAGIONI DEL CONFLITTO: QUANDO LA VOGLIA DI RISSA CONTAGIA ANCHE PUBBLICI FUNZIONARI
Celerini e ultras, la febbre dell' odio

Dal G8 di Genova all' omicidio Sandri: l' Italia violenta narrata da Carlo Bonini
L' inizio è adrenalina della violenza, agguati in autostrada, furore cieco. La fine invece è una tavolata vista mare, una bella bottiglia di Fiano, una mozzarella di Mondragone a fungere da tarallucci e vino, simbolo dell' impossibilità di qualunque cambiamento. Dopo tanto odio non resta che la mozzarella gentilmente offerta dallo zio ricco. La parabola dei tre celerini protagonisti di questo libro si compie nell' arco di sette anni. Comincia al G8 di Genova, dove partecipano al pestaggio nella scuola Diaz. Da allora, da quella sorta di sacrificio rituale, lo scontro è sempre tra simili. Poliziotti contro ultras. Uguali, nella stessa concezione belluina dell' esistenza, nel meccanismo pavloviano che trasforma le proprie frustrazioni personali in un distillato di odio puro verso il resto del mondo. Bastardi, tutti. Acab (Einaudi Stile libero) è un libro bello e disturbante. Nel raccontare la storia del vicequestore Michelangelo Fournier e dei suoi sottoposti soprannominati «Drago» e «lo Sciatto», l' inviato di Repubblica Carlo Bonini non nasconde nulla. Tre celerini, del reparto mobile di Roma. Li mostra per quello che sono. Non servitori dello Stato, ma «bombe pronte a esplodere». Il conflitto di strada per loro rappresenta l' unico sfogo. Lo vivono allo stesso modo dei «nemici», con adesione totale. Fedeli al caos e non all' ordine. Bonini li segue nel privato e in caserma. Annota ogni dettaglio e lo rende con precisione. Registra gli sproloqui, il fascismo muscolare e rozzo. Entra nella loro chat, la trascrive. Il risultato è agghiacciante. Quelli che potrebbero sembrare i deliri superomistici di tre esaltati sono invece principi condivisi da molti loro colleghi, da quasi tutti coloro che partecipano alla chat. Al termine della lettura si resta senza fiato. Questi celerini, ma il libro insinua la convinzione che non si tratti di una minoranza, sono fisiologicamente incapaci di distinguere un ultras da un romeno spaventato, un delinquente da una ragazza no global. Non ne hanno i mezzi culturali, sono stati programmati e addestrati per non farlo. Capaci solo di provare rancore. L' autore li equipara implicitamente ai peggiori ultras, suggerisce l' idea di un contagio reciproco. Da Genova, il viaggio dei tre celerini prosegue con il presidio di un Cpt. Ci sono poi gli scontri domenicali con i tifosi, il viaggio in una Roma livida di rabbia dopo lo stupro e l' uccisione di Francesca Reggiani per mano del rom Nicolae Mailat, dove il dato che più impressiona è l' assoluta corrispondenza della pulsione principale che domina i teppisti a caccia di romeni e le «guardie» che dovrebbero proteggere i più deboli. «Padroni a casa nostra», desiderio legittimo ma qui declinato esibendo violenza e razzismo. I fuochi di Pianura, l' umiliazione e la sottomissione dello Stato. E infine, la catarsi. La notte in cui la capitale divenne teatro di una caccia all' uomo rovesciata, con gli ultras a braccare i celerini per vendicare la morte del tifoso Gabriele Sandri. Il G8 di Genova non è certo il cuore del libro. Ma le spudorate parole del vicequestore Michelangelo Fournier sugli scontri del luglio 2001 sono la più plastica rappresentazione della tesi nichilista dell' autore. «Odio chiama odio» dice. «Carlo Giuliani è un morto di tutti» sentenzia. Dà giudizi, sentendosi antropologicamente superiore. Lui, condannato a due anni di reclusione per lesioni. «Quella gente gli faceva schifo». A quelli come Fournier fanno tutti schifo. Il disfattismo come unica cifra per leggere la realtà. Eccola, l' incapacità di capire, di trovare differenze. Firmata e sottoscritta da un dirigente che ancora oggi ricopre un ruolo di responsabilità. Ritmo veloce, dialoghi efficaci e scene d' azione che colpiscono per il loro realismo. Bonini sceglie un registro narrativo. Ma il valore di Acab è nel contenuto giornalistico. Un documento inedito. Mostra quel che bolle nella pancia dell' istituzione che dovrebbe vegliare sulla nostra sicurezza. Non può lasciare indifferenti. Non dovrebbe, almeno. Sembra paradossale, ma la storia di questi tre poliziotti di strada giunge alla stessa conclusione fatta propria dai magistrati che hanno indagato sulla loro «macelleria messicana» alla scuola Diaz: la polizia ha un grosso problema al suo interno. Solo che, salvo trascurabili promesse a mezzo stampa, fa finta di non vedere. Acab, invece, obbliga a non distogliere lo sguardo. Non è un merito da poco.

Imarisio Marco