RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - «Condannate De Gennaro»

Genova, 2 luglio 2009

«Condannate De Gennaro»
di Sara Menafra

Le richieste del pm al processo per istigazione alla falsa testimonianza
Chiesti due anni per l'ex capo della polizia oggi a capo dei servizi

Due anni per l'ex capo della polizia - oggi al vertice dei servizi segreti - Gianni De Gennaro, con l'aggiunta dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici. E un anno e quattro mesi per l'ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola.
Sono condanne pesanti - non esemplari ma «da cittadini comuni», ha spiegato il magistrato in aula - quelle che il pm Enrico Zucca ha chiesto per i dirigenti della polizia che in tre anni di dibattimento hanno cercato di smontare il processo per il pestaggio della Diaz dello scorso G8, quello di Genova di otto anni fa, e sono dunque accusati di istigazione alla falsa testimonianza. L'anniversario di quella «macelleria messicana» incombe - era il 21 luglio 2001 - e il nuovo G8 in Italia è alle porte. A Montecitorio, poi, si parla sempre più spesso dell'inimicizia tra il capo dei servizi segreti italiani oggi alla sbarra e il presidente del consiglio. Eppure, De Gennaro si mostra sereno. Stringe mani, sorride e se ne va, conscio che tra l'udienza abbreviata e dunque a porte chiuse e i tanti scandali che attraversano lo stivale, di questa brutta faccenda ormai parlano in pochi.
E dire che quella in questione è davvero una brutta storia. Secondo la procura fu lui, insieme a Mortola a convincere l'ex questore Francesco Colucci - già rinviato a giudizio per gli stessi fatti - a modificare la testimonianza durante il processo genovese su tre punti fondamentali. Il primo e più importante fra tutti, era escludere qualunque coinvolgimento dello stesso De Gennaro nella notte del pestaggio. Il capo doveva uscirne pulito al cento per cento e per questo Colucci doveva dire in aula che l'idea di convocare all'ingresso della scuola "perquisita" il capo ufficio stampa del Viminale era stata sua. Non di De Gennaro. È lo stesso Colucci a raccontare tutto in una telefonata di fine aprile 2007, all'epoca pubblicata in esclusiva dal manifesto: «Sono stato a Roma, sono tornato ora da Roma e praticamente io il giorno 3 devo venire a Genova - dice a Mortola - il capo m'ha dato le sue dichiarazioni. Mi ha fatto leggere, poi dice... tu devi, bisogna che tu un po' aggiusti il tiro sulla stampa».
L'udienza va come da richiesta. Anzi, Colucci accusa l'unico dirigente della polizia archiviato durante le indagini, Lorenzo Murgolo, di essere stato al vertice della catena di comando dell'operazione, escludendo le responsabilità dei pezzi da novanta presenti quella notte che poi saranno tutti assolti (Gianni Luperi, oggi al dipartimento analisi dell'Aisi, Francesco Gratteri, ora a capo della Anticrimine e Gilberto Calderozzi al vertice dello Sco). Il seguito di quelle intercettazioni è lo scenario di un gioco a squadre. In cui i vertici della polizia passata ma anche presente - anzi, i vice di allora hanno tutti fatto carriera - si affrettano a schierarsi con gli imputati del pestaggio. E contro i pm.
Il 4 maggio, dicono i nastri, Colucci richiama Mortola: «Ieri sera ho chiamato Manganelli .... sei stato bravo - dice l'attuale capo della polizia - è andato tutto molto bene, ce l'hanno detto gli avvocati». Colucci prosegue: «Poi stamattina m'ha chiamato il capo. Dice li hai, li hai maltrattati una cosa del genere, li hai., li hai... gli hai fatto la..., come ha detto, li hai... e no sbranati, li hai... va be insomma, una frase ha detto. In senso positivo, chiaramente». Il 7 maggio a telefonare è Francesco Gratteri: «È che volevamo farti un saluto con Gilberto. Quando si dicono le cose e si dicono come giustamente e correttamente le hai dette tu allora è doveroso, diciamo, da parte nostra insomma rendere omaggio, come posso dire, alle persone per bene. Ti siamo... vicini e riconoscenti...». Colucci ringrazia e aggiunge: «Lui (il pm, ndr) secondo me c'ha preso uno schiaffone da Manganelli. Ce n'ha preso un altro da me». E Gratteri soddisfatto: «Ma diciamo anche due».
Il 22 maggio, inaspettato, arriva l'avviso di garanzia che accusa Colucci di falsa testimonianza. E qualche giorno dopo lui si sfoga, sempre con Mortola: «Manganelli stamattina m'ha detto: dobbiamo dargli una bella botta a sto magistrato, dice mi ha accennato che già qualche d'uno sta pigliando delle carte non troppo regolari».
Le difese di De Gennaro e Mortola hanno già annunciato che respingeranno ogni accusa. L'avvocato Piergiovanni Iunca, che difende l'ex capo della Digos, dice che le intercettazioni sono inutilizzabili. Quello del "capo", il professor Franco Coppi, come il suo assistito dice che l'incontro c'è stato, ma non è avvenuta nessuna manipolazione. Le parti civili che si sono costituite - appena due oltre al Genoa legal forum - hanno risposto in aula che l'inquinamento delle prove «è stato un danno» per le vittime di quella notte. «È grave vedere alti vertici dello stato comportarsi come un sodalizio quasi criminoso», ha sintetizzato l'avvocato Laura Tartarini. Ma la domanda in fondo è una sola, la stessa che ha posto il pm Enrico Zucca in aula: «Dobbiamo credere che non ci sia falso solo perché l'imputato si chiama De Gennaro?». La gup Silvia Carpanini ha deciso di prendersi tutta l'estate per pensarci. La sentenza arriverà a settembre.