RASSEGNA STAMPA

L'UNITA' - L’Italia del G8 il lato oscuro di un paese in eterno debito di verità

Milano, 5 marzo 2009

Conversando con ... Carlo Lucarelli
Scrittore e autore televisivo

«L’Italia del G8 il lato oscuro di un paese in eterno debito di verità»

ORESTE PIVETTA

Il G8, ancora il G8. Lo si rivedrà, in Italia, alla Maddalena, ma la memoria torna a Genova 2001. Il G8 di Berlusconi, dei limoni in piazza Ducale, della zona rossa, della città vietata, delle inferriate, dei container messi giù a far da muraglia cinese, il G8 delle botte, del sangue, dei black bloc, della Diaz, di Carletto Giuliani. Del G8 si è occupato Carlo Lucarelli, il giallista di Parma bravo a inventare intrighi e personaggi, forse ancora più bravo a ricostruire, con severità e lucidità (da sette anni), le storie nostre più drammatiche, per la televisione, il «lato oscuro» dell’Italia, dall’assassinio di Francesca Alinovi ai casi della mafia, di tangentopoli, delle bombe fasciste, della strategia della tensione, di Piazza Fontana. Anche il G8, che ora si può rivedere (e rileggere), pubblicato da Einaudi nella collana Stile Libero. Anche il G8, come tante altre, una «ferita aperta». E da un primato molto italiano, la sequenza di ferite che restano aperte una dopo l’altra, cominciamo la nostra intervista a Carlo Lucarelli.
Perché, Lucarelli, dobbiamo ancora e sempre parlare di «ferite aperte»?
«Perché si ha paura di fare i conti fino in fondo, perché chi dovrebbe e potrebbe non si rimette in discussione e non rimette in discussione la propria storia, perché l’autocensura è sovrana, perché riflettere sul proprio passato mette paura, perché così gli scheletri negli armadi non finiscono mai...».
Tanto è vero che non ci manca neppure un armadio della vergogna, che stava chiuso con le ante contro un muro e che nascondeva i documenti delle stragi naziste e fasciste. Gli hai dedicato una delle tue inchieste...
«Sì. Vorrei aggiungere: non siamo stati capaci di una riflessione storica e politica, che si fondasse sul rifiuto dell’ideologia. C’era sempre qualcosa da difendere, qualcosa per questo da nascondere».
Uno dei tuoi meriti è di non essere contaminato dell’ideologismo. Vorrei aggiungere che sei, per fortuna, esente da scoopismo. Il tuo scopo è enunciare i fatti, mostrare le contraddizioni, porre domande. Però insisto: perché l’autocensura, gli armadi della vergogna?
«Forse per una semplice condizione storica, perché siamo stati un paese di frontiera, al confine e al centro della guerra fredda. Sta di fatto che c’è sempre qualcuno che ha paura della verità. Per cui anche gli altri, la maggioranza, devono rinunciare alla verità. Prendi piazza Fontana. Una verità processuale esiste, sappiamo come sono andate le cose. Le sentenze, soprattutto quelle passate in giudicato, rivelano una sacco di fatti. Ma manca sempre qualcosa. La verità non si riesce mai a conoscerla fino in fondo, perché c’è sempre uno scheletro nell’armadio. Perché, se andiamo al dopoguerra e alla guerra fredda, si potrebbe sempre scoprire che il Pci aveva qualche filo diretto con lo spionaggio sovietico e la Dc con quello americano. Questa è il lato oscuro...».
Il guaio è che il lato oscuro si ripete. Non succede anche per le Br o per i gruppi fascisti?
«Sì, perché i nostri anni di piombo sono avvelenati da fili remoti che corrono tra i vari fronti».
Pensa all’enorme confusione e alla volgare strumentalizzazione che si sono fatte della guerra e della Resistenza.
«È una storia ormai lontana e una memoria condivisa sarebbe possibile. Invece da anni si batte sui ragazzi di Salò o sul “triangolo rosso”, che dà un esempio interessante, perchè c’è una responsabilità in questo dell’antifascismo: aver occultato i delitti del “triangolo rosso”, che peraltro rappresentano ben poco rispetto a ciò che furono i delitti del fascismo. Quel mascheramento ha lasciato spazio alla propaganda d’oggi. È successo con le foibe, dove la dinamica rimozione-memoria è impressionante. An rivendica la memoria delle foibe, ma rimuove la violenza fascista...».
Dall’incendio della Narodni Dom, la casa della cultura slovena di Trieste, nel 1920, opera delle squadracce nere. Sono stati gli studiosi di sinistra, primi fra tutti, a ripercorerre la vicenda delle foibe. Torniamo al G8: la nostra «ferita aperta». Perché lo dobbiamo ricordare?
«Perché ha rappresentato una rottura rispetto ai decenni precedenti. Perchè i giovani che erano a Genova, i protagonisti del G8, non avevano mai visto nulla del genere, di quella drammaticità. L’importanza la capisco parlando con la gente, scoprendo quanti c’erano, quanti sono stati i testimoni. Le immagini sono indelebili. Quel G8 nella violenza e nel sangue ha scosso le coscienze e proprio questa impressione, di massa, ci consente di dire che sarà irripetibile. Come pensare che si possa ripetere un “assalto alla Diaz”? Comepensare che polizia e carabinieri possano ripetere quei gesti? La nostra polizia e i nostri carabinieri sono altro».
Resta la domanda. Ce la siamo posti allora, ce la poniamo oggi. Come è stato possibile?
«La sensazione è che siano caduti tutti in una trappola».
Chi ha allestito la trappola?
«Questa risposta viene dalla valutazione storica e politica».
Alla fine citi la visita dell’allora vicepresidente del Consiglio Fini alla caserma dei carabinieri, per «stringere la mano» alle forze dell’ordine, come ricorda un parlamentare di An, Ascierto, un altro ospite dei carabinieri.
«Io registro tre cose: dal punto di vista dell’ordine pubblico, è successo un casino; qualcuno l’ha lasciato succedere; qualcuno l’ha organizzato. Con una conseguenza...».
La fine di un movimento?
«La fine di un movimento. A Genova hai visto l’onda nuova, quella vera, grande, di grandi idealità. L’onda dei giovani che gridavano che un altro mondo è possibile. Mi pare che nessuno lo dica più. Mi pare che un corteo come quello dei trecentomila aggrediti dalla polizia, cresciuto quasi spontaneamente, giovani e vecchi, cattolici e no, così variegato, così coeso nell’immaginare una rivoluzione pacifica, non sia più pensabile.
Il giorno dopo, è sparito tutto... Sono spariti per fortuna anche i black bloc».
Sono rimasti la morte di Carletto Giuliani, la violenza di Bolzaneto, i processi. Che cosa pensi della morte di Carletto Giuliani?
«Ne abbiamo versioni che lasciano una infinità di dubbi. Come la storia, secondo la ricostruzione di un perito ufficiale, di un proiettile che intercetta in volo una pietra, si spezza e una scheggia uccide Carletto».
Malgrado la documentazione... Genova è stata l’apoteosi delle piccole telecamere...
«Fu una specie di sperimentazione di massa di nuovi strumenti di comunicazione. La prima volta che ti fa dire: certe cose non potranno più succedere».

Documento
I giorni del furore, dalla morte di Carletto Giuliani a Bolzaneto
La vicenda del G8 di Genova torna con Carlo Lucarelli in un libro e in un dvd (che riproduce lo speciale di «Blu notte»), pubblicati da Einaudi: «G8. Cronaca di una battaglia» (Stile libero, un libro di 144 pagine e un dvd di 135 minuti, 24 euro). Libro e dvd sono il racconto dettagliato delle quattro giornate di Genova, dal 18 al 21 luglio 2001, delle decisioni che le precedettero, delle polemiche e dei processi che seguirono. Al centro la morte di Carletto Giuliani, l’assalto alla scuola Diaz, le violenze tra gli inni fascisti nei confronti dei ragazzi nella caserma di Bolzaneto. In appendice le prime sentenze dei primi processi, compresa quella più recente del 13 novembre scorso, di straordinaria efficacia: basterebbe leggere le pagine di Bolzaneto per capire a quale obbrobrio si giunse allora, mentre le guardie penitenziarie cantavano «Un due tre, viva Pinochet».