COMMISSIONE D'INDAGINE

Seduta 05 - 29 Agosto 2001

Audizione del dottor Alfonso Sabella.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Alfonso Sabella.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete, previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Se non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Dottor Sabella, la ringrazio a titolo personale ed a nome del Comitato, scusandomi per il disguido di questa mattina: cercheremo di recuperare il tempo perduto.
Se lei ha predisposto una relazione scritta, la prego di darne lettura.
ALFONSO SABELLA. Non ho predisposto alcuna relazione o meglio, ho predisposto una relazione - tra l'altro è ancora


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una bozza - ad uso dell'amministrazione. Non ho preparato una relazione anche perché non ho ricevuto un'espressa richiesta.
PRESIDENTE. Se non c'è la relazione, credo che lei possa riferire oralmente.
ALFONSO SABELLA. Sono stato incaricato dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - credo con un provvedimento risalente al 28 giugno - di coordinare l'attività dell'amministrazione penitenziaria a Genova per il vertice G8.
Per quello che mi è stato rappresentato, in quella sede erano stati presi accordi con le altre forze di polizia in relazione alla gestione degli arrestati che indubbiamente ci sarebbero stati a seguito delle manifestazioni connesse allo svolgimento del vertice. Di conseguenza, poiché era stato chiesto aiuto alla Polizia penitenziaria, vi era un problema di carattere formale e cioè quello relativo alla gestione di soggetti non ancora formalmente immatricolati da parte di personale appartenente alla Polizia penitenziaria. Occorreva quindi che formalmente costoro, per essere tradotti presso gli istituti di assegnazione, venissero presi in carico dall'amministrazione.
Il problema era, da un lato, di carattere formale, e, dall'altro, di carattere sostanziale in quanto la scelta dell'amministrazione penitenziaria, per evitare problemi di ordine pubblico che potevano verificarsi a Genova, era quella di chiudere le accettazioni degli istituti genovesi (a Genova sono presenti due case circondariali, quella di Marassi e quella di Genova Pontedecimo), in quanto potevano diventare facili bersagli dei violenti che indubbiamente avrebbero partecipato alle manifestazioni.


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In questa fase ho trovato un piano di massima già predisposto; tale piano prevedeva di istituire a Genova quattro o sei matricole «volanti», in maniera da immatricolare formalmente gli arrestati e quindi consegnarli alla Polizia penitenziaria affinché li traducesse negli istituti che erano stati all'uopo individuati principalmente in quelli di Alessandria e Pavia; inoltre, per le donne, altri posti sarebbero stati liberati presso gli istituti di Voghera e di Vercelli.
Erano previste anche delle soluzioni alternative nel caso in cui il numero degli arrestati fosse superiore alle cinquecento unità che prevedevano l'impiego del nuovo carcere di Milano Bollate.
Per ciò che concerne i dati che ci erano stati forniti dalle altre forze di polizia era stata fatta una statistica, una previsione di massima sulla base delle manifestazioni avvenute a Göteborg; si era arrivati alla conclusione che ci dovessero essere circa trecento, trecentocinquanta arrestati.
Non abbiamo avuto grandi problemi se non un po' di fretta, nel senso che l'intervento dell'amministrazione penitenziaria è arrivato all'ultimo minuto.
Mi sono recato a Genova, ho cercato di verificare come potesse essere meglio organizzata questa attività; dalla Polizia di Stato e dai carabinieri erano già stati individuati due siti ove portare i detenuti per la redazione e la notifica dei verbali di arresto. I siti individuati erano rappresentati dal comando provinciale dei Carabinieri di Forte San Giuliano e dalla caserma della Polizia di Stato di Bolzaneto. Lì ho preso contatti con i responsabili delle due strutture, ho chiesto quello che serviva all'amministrazione penitenziaria: in particolare un locale per istituire un ufficio matricole dove poter installare tutti i cablaggi necessari per le apparecchiature informatiche ed un locale da adibire ad infermeria. Abbiamo


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anche dovuto far creare appositamente delle condutture idriche perché si era pensato anche alla necessità di predisporre eventuali docce di decontaminazione, potendosi presentare l'eventualità di personale intossicato da agenti irritanti, da gas lacrimogeni. Abbiamo richiesto almeno una camera di sicurezza al fine di tenere gli arrestati il tempo necessario per l'immatricolazione e la successiva traduzione.
Per quel che mi riguarda tutto si è svolto tranquillamente, così come previsto. Un'altra cosa che abbiamo fatto è stata quella di contattare, anche tramite il prefetto, le direzioni sanitarie degli ospedali San Martino e Sampierdarena che erano stati individuati come luoghi migliori ove poter portare eventuali arrestati le cui condizioni fossero incompatibili con la detenzione.
All'ospedale San Martino, dove era già presente un reparto detentivo, abbiamo ottenuto la possibilità di un allargamento di questo reparto fino ad una ventina di posti. Lo stesso abbiamo fatto per l'ospedale di Sampierdarena, dove avevamo ottenuto un'intera corsia da destinare alla custodia degli arrestati.
Nell'operazione condotta dall'amministrazione penitenziaria era prevista anche un'assistenza da fornire ai magistrati per permettere loro il raggiungimento del luogo dove effettuare le convalide, in particolare i carceri di Alessandria e di Pavia. Per questa assistenza, fornita con l'apporto di uomini e mezzi, l'amministrazione penitenziaria ha ricevuto anche un ringraziamento da parte dei vertici della magistratura genovese. Sul posto sono state portate anche delle unità navali della Polizia penitenziaria laddove durante le traduzioni si fossero verificati degli intoppi che avessero impedito l'utilizzazione delle vie terrestri. Questo dispositivo in realtà non è servito ma in


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seguito, in un'ottica di collaborazione con le forze di polizia, è stato utilizzato, in particolare dalla Polizia di Stato, come supporto al controllo dell'area portuale.
Soltanto a titolo di rappresentanza l'amministrazione penitenziaria ha fornito - credo - quattro motociclisti che avevano il compito di muoversi all'interno nella zona rossa.
Il dispositivo che prevedeva le traduzioni doveva essere supportato da personale del GOM, il gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria, che aveva esclusivamente compiti di supporto ai mezzi blindati. A disposizione del GOM vi era anche una squadra di motociclisti che agivano in abiti borghesi con moto civili di copertura al fine di individuare le strade che permettessero una migliore viabilità per i mezzi che avevano a bordo degli arrestati.
All'interno del sito penitenziario di Bolzaneto - credo sia quello che più interessa alla Commissione - era stato designato l'ispettore Gugliotta, comandante di reparto di un istituto penitenziario, come responsabile dell'ordine e della sicurezza. Per le traduzioni era stato designato l'ispettore Paolo Tolomeo, capo di un ufficio matricola. Dal servizio centrale delle traduzioni erano stati indicati i capitani Bruno Pelliccia ed Ernesto Cimino, due ufficiali del disciolto corpo degli agenti di custodia che avevano il compito di coordinare le traduzioni.
Per quanto riguarda l'attività del gruppo operativo mobile, su Bolzaneto erano presenti due squadre formate da nove uomini, ciascuna con un ispettore a capo, mentre l'intera responsabilità per il GOM di stanza a Bolzaneto era affidata all'ispettore superiore Roberto Reale.
Il GOM non aveva alcun compito nella gestione dei detenuti, anzi aveva ricevuto espresse disposizioni per non


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entrare in contatto con i detenuti cosa che, da quello che risulta all'amministrazione penitenziaria, non è avvenuta.
Ovviamente, a seguito dell'articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica, se non erro il 26 luglio scorso, l'amministrazione penitenziaria ha aperto un'inchiesta ed il nuovo capo del dipartimento ha istituito una commissione che sta indagando: è in fase di predisposizione una prima relazione sui fatti di Bolzaneto particolare, che sarà consegnata quanto prima al capo del dipartimento.
Per quanto riguarda Bolzaneto, sono stati arrestati 222 soggetti, mentre per quanto riguarda Forte San Giuliano, il sito istituito presso il comando dei Carabinieri, gli arrestati sono stati 57.
La traduzione è stata affidata al servizio centrale delle traduzioni e la procedura in uso a Bolzaneto era la seguente: gli arrestati venivano condotti dagli uomini della Polizia di Stato, o anche dalle altre forze di polizia diverse dai Carabinieri che ne avevano operato l'arresto, venivano fatti scendere e, sulla base dell'accordo intercorso per le vie brevi con i funzionari della Polizia di Stato (che non era dotata di medici sul posto), i medici dell'amministrazione penitenziaria effettuavano la cosiddetta visita di triage agli arrestati al fine di capire se gli stessi fossero in condizioni di poter sostare ulteriormente nel sito per le procedura di arresto (stiamo quindi parlando di arrestati che erano ancora sotto il controllo della Polizia di Stato), oppure se ci fosse bisogno di cure a seguito delle quali dovessero essere ricoverati in ospedale. Si trattava di una visita molto rapida, finalizzata a verificare la presenza di cosiddetti traumi addominali chiusi o lesioni craniche di un certo rilievo che potevano mettere in pericolo la vita della arrestato, eventualità che non si è mai verificata durante la visita di triage. Di conseguenza gli arrestati, sempre


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controllati dalla Polizia di Stato, venivano sistemati in camere di sicurezza site in fondo alla struttura, dove erano custoditi da personale della Polizia di Stato o, a partire da un certo momento, da personale dell'Arma dei carabinieri.
Una volta espletate le procedure di competenza delle forze di Polizia che avevano proceduto all'arresto, gli arrestati venivano consegnati all'amministrazione penitenziaria con un regolare biglietto di consegna, sul quale il capo dell'ufficio matricola annotava ora e data. Gli arrestati passavano poi in una camera di sicurezza di pertinenza dell'amministrazione penitenziaria (a seconda dei momenti, l'amministrazione penitenziaria ha potuto disporre sul posto di una o due camere di sicurezza); in seguito, venivano quasi immediatamente portati in matricola ed immatricolati e, come da regolamento, le perquisizioni erano eseguite con denudamento e flessione.
A causa di un problema di spazio, a Bolzaneto le perquisizioni venivano effettuate all'interno delle stesse infermerie; ciò, in qualche modo, assicurava una garanzia maggiore agli arrestati perché tutto si svolgeva alla presenza di medici, ma soprattutto evitava agli stessi di doversi spogliare una seconda volta per sottoporsi a visita medica. Ultimata la perquisizione e raccolti al casellario gli oggetti non consentiti (che quindi non potevano essere portati all'interno dell'istituto), gli arrestati - a quel punto i detenuti - venivano regolarmente visitati dai medici e, dopo la redazione di un regolare referto, annotato nel diario clinico, venivano avviati per la traduzione.
Salvo due casi particolari che riguardano gli arrestati nella scuola Diaz ed un gruppo di uomini riguardo i quali è in corso un'indagine interna al fine di capire il motivo di un certo ritardo nella traduzione (si tratta di 18 unità che sono state tradotte con un ritardo di 10 ore dalla consegna all'amministrazione penitenziaria), in questa fase, normalmente, le procedure


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di immatricolazione, visita medica e traduzione, avevano una durata variabile tra 15 minuti e 4 ore. Le quattro ore erano determinate dal fatto che, per economizzare risorse si doveva aspettare di avere un numero di detenuti sufficienti a riempire i pullman che venivano utilizzati per la traduzione.
Riguardo Bolzaneto, attesa la particolare facilità logistica del sito, potevamo utilizzare pullman per le traduzioni, mentre tale utilizzo ci era impedito a Forte San Giuliano, dove anche per problemi materiali (il pullman non passava dal cancello), l'accesso poteva essere consentito solo a mezzi più piccoli, da quattro posti. Si era scelto dunque di dirottare la maggior parte dei pullman a Bolzaneto; d'altro lato, ciò ha allungato le procedure, perché per poter partire con un mezzo, occorreva che ci fossero almeno una decina di detenuti. I tempi di attesa si sono dunque allungati in questo periodo.
Durante la mia permanenza a Genova, la mia attività ha gravitato molto di più a Forte San Giuliano - era mia la responsabilità sia di Forte San Giuliano che di Bolzaneto - in quanto quello era, secondo me, il punto più sensibile in quella fase (probabilmente si è trattato di un errore di valutazione), anche in considerazione dell'episodio che aveva visto la morte del manifestante Giuliani, dato che si trattava di un sito posto nelle immediate vicinanze dei luoghi in cui si svolgevano le manifestazioni.
Il personale di Polizia penitenziaria, impiegato a Forte San Giuliano sia nella giornata di venerdì che, in parte, nella giornata di sabato, ha dovuto agire quasi in una situazione di ordine pubblico: infatti, visti gli attacchi e i lanci di pietre e di altro, di cui veniva fatta oggetto la struttura dei carabinieri e poiché gran parte di questi ultimi erano impegnati all'esterno, in operazioni di ordine pubblico, la Polizia penitenziaria ha per qualche tempo assicurato la sicurezza della


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struttura. In questo frangente ho personalmente autorizzato i poliziotti penitenziari che si trovavano lì a dotarsi di manganelli; ciò era invece vietato a Bolzaneto, dove non vi era assolutamente la necessità di far uso di sfollagente, mentre a Forte San Giuliano questa necessità si rese palese a seguito dell'operazione in cui venne impiegata la polizia penitenziaria e per la quale ha poi ricevuto ringraziamenti da parte del comandante provinciale.
L'operazione di tutela della struttura di Forte San Giuliano....
LUCIANO VIOLANTE. Uscirono fuori?
ALFONSO SABELLA. Sì, per mia espressa disposizione non varcarono il cancello, rimasero appena all'interno della struttura, ma hanno dovuto prendere caschi e manganelli. Anche io ho dovuto indossare il casco, perché ogni tanto arrivava qualche pietra e se il vento cambiava si respirava il fumo di qualche lacrimogeno all'interno della struttura. Dunque, secondo me, il punto sensibile era proprio Forte San Giuliano, dove il personale era più direttamente coinvolto, assisteva più direttamente agli avvenimenti di quei giorni a Genova e dove era quindi più probabile che qualcuno potesse fare qualche «colpo di testa».
Per quanto mi riguarda, posso dire di essere stato a Forte San Giuliano quasi giorno e notte, ma non ho visto ed assistito a niente di tutto ciò che ho letto sui giornali: certo era una situazione non comoda, di emergenza, ma nessun atto di violenza o di abuso, almeno in mia presenza, è stato perpetrato a Forte San Giuliano. Mi recavo a Bolzaneto in media tre o quattro volte al giorno, compatibilmente con la possibilità di lasciare Forte San Giuliano, che spesso era assediato (in un caso ho dovuto far ricorso ai motociclisti con targa civile per


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potermi muovere), ma anche in quelle circostanze non ho notato nulla di particolare anzi, per me a Bolzaneto non era successo assolutamente nulla. Sono dunque rimasto molto stupito nel leggere l'articolo de la Repubblica e le dichiarazioni che ne sono seguite.
Ciononostante, abbiamo avviato un'inchiesta e credo che individueremo sicuramente qualche eccesso, qualche abuso che probabilmente è stato compiuto a Bolzaneto; ripeto però che, nel momento della nostra permanenza, non avemmo coscienza di nulla, salvo della particolare posizione che avevano assunto gli arrestati, anche quelli custoditi dalla polizia penitenziaria. Infatti, notai che molti arrestati, in certe occasioni, venivano fatti sostare addossati al muro, nei pressi del cancello, con le mani appoggiate alla parete. Chiesi lumi al comandante di reparto, il responsabile della sicurezza, il quale mi spiegò che non aveva alternative poichè si erano create una serie di disfunzioni, in parte addebitabili forse all'amministrazione penitenziaria, in parte, forse, ad altre forze di Polizia, per cui all'interno dell'unica camera di sicurezza che, in certi momenti, era a disposizione della Polizia di Stato, si venivano a trovare uomini e donne, detenuti già immatricolati e detenuti da immatricolare, ma soprattutto detenuti da perquisire e detenuti già perquisiti. Ciò ovviamente poteva arrecare gravi pregiudizi alla sicurezza dell'istituto dove gli stessi sarebbero arrivati.
Inoltre, il comandante Gugliotta mi fece presente che la Polizia di Stato aveva deciso di separare, in tutte le camere di sicurezza di cui disponeva, i vari arrestati perché molti di loro appartenevano a gruppi che sarebbero stati contrapposti. Di conseguenza, vi era anche la necessità di evitare possibili scontri fisici all'interno delle celle tra i vari gruppi di manifestanti. Ciò ha determinato la scelta, purtroppo gravosa


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per quanto riguarda gli arrestati, di far assumere una posizione che in qualche modo potesse renderli più facilmente controllabili dall'esterno. Inoltre, le camere di sicurezza non erano dotate di illuminazione artificiale in quanto per ragioni di sicurezza, all'interno delle stesse, non vi erano prese di corrente elettrica. L'unica illuminazione era data dalla luce che filtrava dal corridoio e da faretti posti all'esterno. Avevano inoltre una limitata possibilità di introspezione, soprattutto per quanto riguarda l'angolo sinistro (per chi guardava il cancello). Rilevo, poi che i tecnici incaricati di blindare in qualche modo la struttura, avevano fatto un lavoro sicuramente ottimo, ma frettoloso dato che le barre di ferro che erano state apposte alle finestre erano ancorate in una maniera piuttosto approssimativa. Tale situazione, come risultò da un sopralluogo effettuato dai nostri di ispettori di polizia penitenziaria e dal responsabile della caserma, non garantiva affatto la sicurezza, per cui fu scelto di far sostare gli arrestati il più possibile vicino ai cancelli, per poterli meglio controllare. Ovviamente, ci siamo resi conto che si trattava di una condizione abbastanza vessatoria per gli arrestati, ma purtroppo non avevamo alternative in quel momento. Peraltro, come ho già ripetuto, gli arrestati sono rimasti a disposizione dell'amministrazione penitenziaria soltanto per pochissimo tempo. Quando finalmente potemmo disporre di tutte le celle della struttura, ovvero quando la Polizia di Stato terminò la consegna degli arrestati alla scuola Diaz, questi furono tutti fatti regolarmente sedere e non vi furono altri problemi di sorta, anche perché si poteva contare su più camere di sicurezza. Gli arrestati furono così distribuiti a seconda che fossero uomini o donne, già perquisiti o ancora da perquisire. Proprio per questa ragione ogni tanto c'era anche del personale di Polizia penitenziaria che stava all'interno delle celle.


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PRESIDENTE. Lei ha parlato di una relazione interna, che forse il Comitato potrebbe decidere di acquisire. Quali sono i tempi per poterne disporre?
ALFONSO SABELLA. La prima relazione interna, la relazione della commissione, sta viaggiando attualmente via e-mail, nel senso che ce la stiamo scambiando tra tutti i componenti della commissione d'inchiesta al fine di apportare le modifiche. Posso, però, avvisare subito che si tratta di una relazione che rende l'idea del clima, ma che certamente non fa chiarezza sugli episodi specifici, perché l'amministrazione penitenziaria, al di là di alcune dichiarazioni che ha già acquisito e su cui sono in corso accertamenti da parte nostra, non è in possesso delle dichiarazioni realmente rese dalle presunte vittime degli abusi all'autorità giudiziaria. Di conseguenza ci siamo basati semplicemente sulle notizie pubblicate dai giornali, che spesso sono frammentarie, contraddittorie e quindi prive di possibilità di verifica. Detto ciò, ritengo che i tempi per disporre della relazione dovrebbero essere abbastanza rapidi (forse un paio di giorni).
GRAZIA LABATE. Il dottor Sabella ha riferito di un momento in cui a Forte San Giuliano ha sopperito con un'operazione di polizia giudiziaria in difesa della struttura, però non ha specificato se ciò è avvenuto venerdì 20 o sabato 21 luglio.
ALFONSO SABELLA. La necessità è sorta all'improvviso venerdì 20, in particolare dopo che si era diffusa la notizia della morte di Carlo Giuliani. In quella fase non ero presente sul luogo ma fui rintracciato telefonicamente a Bolzaneto; diedi disposizione affinché i nostri uomini (dato che erano rimasti pochissimi carabinieri perché la maggior parte erano


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impegnati in operazioni di ordine pubblico) potessero garantire la sicurezza del sito. Sabato, invece, ci venne espressamente chiesto un supporto da parte dei vertici dei carabinieri presenti sul posto, perché si sarebbe potuta verificare una situazione analoga in relazione alle manifestazioni che si svolgevano contemporaneamente su corso Italia e sulla strada posta a monte di Forte San Giuliano (di cui non ricordo il nome). In quel momento, Forte San Giuliano risultava molto esposta, perché vi erano tre ingressi: oltre all'ingresso principale ve ne era uno che dava direttamente su corso Italia e l'altro sul lato diametralmente opposto, entrambi utilizzati dai mezzi di polizia. Il cancello fu rinforzato appoggiando un furgone blindato della Polizia penitenziaria che si trovava lì dentro - questo lo ricordo perché ero personalmente sul posto - mentre il personale di Polizia penitenziaria con scudi, caschi e manganelli è rimasto nei pressi delle mura, da un lato, e del recinto, dall'altro, per evitare che qualche manifestante si infilasse all'interno della struttura. Devo dire che però, al di là di un po' di rumore, non c'è stato nessun concreto intervento.
ANTONIO TOMASSINI. Le premetto, signor presidente, che il mio capogruppo, onorevole Saponara, mi ha autorizzato, e di questo lo ringrazio, ad utilizzare tutto il tempo a disposizione del mio gruppo.
Ringrazio il dottore Sabella, per la sua relazione, anche se ho il dovere di dire che mi è sembrata un po' superficiale e frettolosa, soprattutto laddove afferma che, almeno a suo giudizio non sembra sia successo nulla a Bolzaneto; ciò è in aperto contrasto con la documentazione fornita e con le dichiarazioni rese dalle persone che l'hanno preceduta. Lei, per esempio, fa riferimento a quattro o due matricole volanti, mentre i documenti e le dichiarazioni parlano di sette. Lei fa


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cenno ad una o due camere di sicurezza, mentre dal racconto del questore dovevano essere di più; lei ha parlato di cinquecento arrestati e allora non si riesce a capire come possa avere ipotizzato solo due camere di sicurezza. Prima di essere tradotti, mentre per lei si è trattato al massimo di quattro ore. A suo dire i detenuti sono stati fatti scendere, mentre invece pare che gran parte di questi fossero feriti, anche in modo grave.
Tutto ciò mi spinge a chiederle, prima di tutto, quale fosse il termine preciso e i limiti del mandato che lei aveva avuto nelle due strutture e quindi i ruoli gerarchici che si svolgevano all'interno di queste strutture, in particolare a Bolzaneto. In proposito, un giornale preso a caso - per quello che possono valere i giornali - riferisce della dura presa di posizione da parte del sindacato degli ispettori penitenziari, i quali denunciano che a Bolzaneto è accaduto quello che sappiamo, perché non c'era chi comandava. Secondo i poliziotti sindacalisti non c'era nè vigilanza, né coordinamento. Tutto questo è pienamente confermato dalla relazione ufficiale dell'ispettore preposto a questo, di cui evito di fare il nome, anche se è oltremodo noto, che parla di carenze di direttive, di mancanza di relazione, addirittura di comportamenti omissivi in qualche caso, o reticenti, di confusione dei ruoli della Polizia penitenziaria con altro personale di polizia e, come ripeto, di assenza assoluta di ruolo della gerarchia. Questo è il primo punto su cui lei ci deve rispondere in maniera molto più approfondita, perché è chiaro che le critiche si rivolgono anche, e soprattutto, nei confronti della sua persona.
Le postazioni, che nei piani di previsione dovevano essere 7, proprio nel momento cruciale si sono rivelate essere 2 e il questore ha fornito una spiegazione, dicendo che non dipendeva da lui ma dalla organizzazione in turni. Essendo sorti


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molti problemi per le condizioni anche fisiche dei detenuti le chiedo come mai non si è ritenuto, durante le 20 ore in cui questi sono stati trattenuti, di riadeguare nuclei che dovevano garantire il ciclo continuo di accettazione?
Veniamo ora al problema più grave: pare che siano arrivati a Bolzaneto un quarto dei feriti totali, pari a circa il 66 per cento dei tradotti, di cui ben il 43 per cento portava prognosi riservate e prognosi tra gli 11, i 21ed i 40 giorni. Sicuramente, feriti seri e gravi, per i quali ho già criticato il fatto che fosse stata prevista la visita dello stesso medico, sia in arrivo sia in accettazione nella funzione carceraria (lo trovo molto grave). Chiedo allora che lei ci fornisca le documentazioni delle refertazioni e del «percorso» dei feriti. Del resto, non possono essere sufficienti le risposte che ci vengono date, anche se sappiamo - per quanto mi è possibile conoscere direttamente dalla relazione sanitaria che ho chiesto di mettere a disposizione di tutti i commissari - che coloro che sono stati trasportati nelle strutture del Galliera, del San Martino e di Villa Scassa, sono stati curati adeguatamente senza pressioni o sollecitazioni.
ALFONSO SABELLA. Innanzitutto, desidero scusarmi se la relazione è apparsa frettolosa, ma ritenevo che fosse una precisa esigenza di questo Comitato poter focalizzare al meglio i punti di interesse. Probabilmente, la relazione è stata realmente frettolosa, atteso che non sono riuscito a spiegare quali erano i compiti dell'amministrazione penitenziaria e quelli delle altre forze di polizia.
Quando parlo di tempi di attesa tra i 15 minuti e le 4 ore, mi riferisco esclusivamente al momento in cui l'arrestato è stato consegnato alla Polizia penitenziaria. Ad esempio, gli arrestati della scuola Diaz sono giunti a Bolzaneto tra le 2 e le 3 di notte e sono stati consegnati all'amministrazione


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penitenziaria alle 22,05 di domenica. Non pensavamo, infatti, di dover gestire gli arrestati di lunedì, anche perché si era convinti che la maggior parte degli arresti sarebbero avvenuti tra venerdì e sabato, concludendo quindi il nostro lavoro la domenica.
Per quanto riguarda i 7 centri, non so da dove il dato sia stato tratto e, purtroppo, non conosco gli atti: non vorrei che ci fosse un equivoco tra punti di identificazione, fotosegnalamento ed il resto. Ricordo che si tratta di un ufficio matricola.
LUCIANO VIOLANTE. In realtà credo che si faccia confusione tra polizia giudiziaria e penitenziaria.
ANTONIO TOMASSINI. Dalle dichiarazioni del questore si capisce che i centri matricola dovevano essere 7 per garantire sia una parte sia l'altra...
PRESIDENTE. Credo che stiamo parlando di due cose diverse.
ALFONSO SABELLA. Per l'amministrazione penitenziaria gli uffici matricola dovevano essere 2, uno a Bolzaneto e l'altro a Forte San Giuliano. Formalmente, però, ed anche sostanzialmente, erano di più. In realtà, infatti, sia a Bolzaneto sia a Forte San Giuliano avevamo 3 terminali per ogni sito e una cosiddetta valigetta informatica che ci consentiva di collegarci telematicamente con le matricole degli istituti interessati. Per ragioni di carattere tecnico potevamo però operare con uno solo ufficio matricola per volta; ciò non ha comportato ritardi perché le immatricolazioni non hanno mai avuto una durata superiore ai 5, 10 minuti, considerando la lingua parlata dal soggetto da immatricolare. L'ufficio matricola ha un carattere esclusivamente burocratico: in esso si procede al fotosegnalamento,


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alla compilazione materiale del cosiddetto modello «IP3», alle indicazioni delle generalità, ad affrontare problemi di incolumità del detenuto e per i detenuti stranieri è prevista la richiesta volontaria di avvisare le autorità diplomatiche. Sostanzialmente, è un'attività molto rapida.
Sulle linee di comando devo dire che per la prima volta in verità, e solo dall'ANSA di ieri, ho sentito parlare del sindacato degli ispettori penitenziari. Non so quanti iscritti abbia, e se ce ne sia qualcuno in più di chi ha parlato ai giornali. Purtroppo, in tali operazioni devo denunciare azioni di sciacallaggio commesse da alcuni soggetti, che hanno approfittato della difficoltà dell'amministrazione penitenziaria per consumare singole vendette personali. Questo è il caso dell'ispettore Manis, che parla a nome del sindacato di Polizia penitenziaria, e probabilmente del professore Ceraudo, che parla a nome della AMAPI.
MARCO BOATO. Scusi, parla « a nome» o è il presidente di quella associazione?
ALFONSO SABELLA. È presidente della AMAPI.
MARCO BOATO. È anche direttore del centro clinico di Pisa, o mi sbaglio?
ALFONSO SABELLA. Sì, esattamente.
MARCO BOATO. Insomma, non è uno qualunque!
ALFONSO SABELLA. No, infatti, non è un qualunque; per questo, la cosa mi stupisce. Mi assumo comunque la responsabilità di quello che sto dicendo, avendo una documentazione chiara ed inequivocabile, anche se non voglio fare polemica!


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ANTONIO TOMASSINI. Desidero ricordarle che queste cose sono citate anche nella relazione ufficiale dall'ispettore che ha riferito su Bolzaneto. Come lei ha detto (anche se per Ceraudo si tratta di un discorso diverso) si tratta di casi particolari, ma la relazione dell'ispettore è stata acquisita come atto ufficiale del Comitato.
ALFONSO SABELLA. Io non ho letto la relazione dell'ispettore della Polizia, ma credo che questa possa riguardare le linee di comando della Polizia di Stato. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria, i ruoli erano ben definiti e ben determinati. Io ero il responsabile per Genova di tutte le operazioni della Polizia penitenziaria che venivano compiute. Per Bolzaneto erano presenti un comandante di reparto, due ufficiali responsabili delle traduzioni e uno coordinatore sanitario; inoltre, le responsabilità ed i termini di intervento di ciascuna unità erano stati tutti dettagliatamente indicati in precisi ordini di servizio, dettati per il servizio delle traduzioni dal dirigente del servizio centrale traduzioni e piantonamenti, presente a Genova, generale Claudio Ricci; per l'intervento del GOM, dal generale Alfonso Mattello, anch'egli presente a Genova; per l'ufficio matricola invece erano presenti un capo matricola e, addirittura, un ispettore superiore allo scopo di coordinare il lavoro delle due matricole di Bolzaneto e di Forte San Giuliano. Esistevano perciò linee di comando e direttive assolutamente precise, e - lo ripeto - sino a quando non sono andato via da Genova non ho percepito alcuna disfunzione.
In realtà è probabile che lì si sia creato un problema circa eventuali sovrapposizioni di competenze, nel senso che, purtroppo, si è rivelata abbastanza infelice - ma ciò è possibile dirlo solo con il senno di poi - la scelta di avvalerci della medesima struttura dove operava la Polizia di Stato. Non avevamo però alternative, in quanto eravamo ospiti in casa


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d'altri. Non ho comunque letto sui giornali una sola parola di ragazzi presenti nella scuola Diaz che hanno detto di essere stati trattati male a partire dalle ore 22 di domenica 22. Abbiamo avuto delle difficoltà per le traduzioni, in quanto abbiamo visto arrivare tutti assieme 93 arrestati: in tal caso anche cinque minuti a testa per la visita medica, la matricola, le perquisizioni, il casellario e tutte le altre procedure, hanno obiettivamente comportato tempi piuttosto lunghi. La mattina del lunedì, in mia presenza, è venuta un'addetta consolare americana che, a me personalmente e ai due ufficiali delle traduzioni, ha rivolto i complimenti per come avevamo trattato i detenuti della scuola Diaz.
Nel momento in cui quella struttura è servita solo ad una forza di polizia, non si è verificato assolutamente nulla, almeno per quello che ho appreso dalla stampa (e non ho notizie di fatti diversi). Probabilmente in una prima fase, soprattutto il venerdì, si è creato un momento di confusione, perché quando gli arrestati venivano portati lì, qualcuno non si era posto - ma ciò non riguarda l'amministrazione penitenziaria - il problema della loro custodia. Per esempio, il personale della Polizia di Stato - non posso parlare però di problemi di altri - si è trovato impreparato nella gestione della cosa più stupida: l'accesso al bagno delle ragazze arrestate. Era il personale della Polizia penitenziaria a sopperire in quella fase alla carenza di personale femminile della Polizia di Stato per accompagnare al bagno le arrestate che ne avevano bisogno. In questa fase è chiaro che si è creato qualche problema, ma che in ogni caso non riguardava l'amministrazione penitenziaria. Questa, sul punto, aveva un responsabile per ogni attività che è stata svolta. Lo ripeto, vi erano due ufficiali che si alternavano, ma che molto spesso erano entrambi presenti in loco, e che si occupavano delle


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traduzioni; vi era un comandante di reparto, come avviene in qualsiasi carcere, che si occupava della sicurezza e dell'ordine del sito; infine erano presenti un capo dell'ufficio matricola e un coordinatore sanitario. Da questo punto di vista, non avevamo problemi di sorta. Forse, con il senno di poi, si potrebbe dire che si sarebbe potuta prevedere nel sito la presenza di un direttore di istituto penitenziario. Probabilmente ciò sarebbe stato giusto. Però l'operazione che eravamo chiamati a compiere doveva essere un'operazione, mi scuso con gli arrestati per il termine che sto usando, quasi a catena di montaggio, nel senso che noi avremmo dovuto ricevere i detenuti, immatricolarli e tradurli. Tale compito siamo riusciti normalmente a svolgerlo, salvo quando sono arrivati gruppi di arrestati come quelli della scuola Diaz (93 persone tutte assieme). Non possono però essere addebitati all'amministrazione penitenziaria i tempi di attesa per la consegna, tempi di attesa che, peraltro - sto ora parlando della mia esperienza di magistrato - non è che siano stati eccessivamente lunghi rispetto ai normali arresti. Infatti, normalmente, come previsto dallo stesso codice, l'arrestato deve essere messo a disposizione del pubblico ministero entro ventiquattro ore dall'arresto stesso mediante la conduzione in carcere. Mi sembra quindi che tale termine non sia stato sforato in modo sostanziale nemmeno dalla Polizia di Stato.
Quando si parla di tante ore di detenzione, queste non sono quindi addebitabili in alcun modo alla Polizia penitenziaria, ad eccezione di un gruppo di diciotto detenuti che è restato più di nove ore a disposizione della Polizia (e stiamo cercando di capire che cosa sia accaduto in quel tempo) e per gli arrestati della scuola Diaz, per i quali obiettivamente vi è stato un momento di impasse.Nonostante le lunghe ore che questi ragazzi hanno trascorso nella caserma di Bolzaneto nelle mani


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dell'amministrazione penitenziaria, non mi risulta comunque che sia stato mosso alcun atto di accusa nei confronti della Polizia penitenziaria per come essi sono stati trattati in quella sede. Anzi, sono state fornite coperte, cibo, acqua e generi di conforto e, scusandomi per l'argomento magari poco felice, assorbenti igienici alle ragazze che ne avevano bisogno. Tutti sono stati assistiti con l'umanità che si può avere in quei casi.
Per quanto riguarda i danni fisici, gli arrestati - li ho visti personalmente, ma vi sono anche i referti medici a testimoniare tale situazione - sono arrivati per la maggior parte con lesioni, ecchimosi e segni di percosse. In questa fase il medico dell'amministrazione penitenziaria non era chiamato a compiere alcuna visita medica. Si è però detto: «Dottore, ci sono questi ragazzi che arrivano in tali condizioni; diamo loro un'occhiata e non facciamo che qualcuno ci muoia qui».
Mi scuso per la brutalità, ma erano questi i ragionamenti che si facevano. Allora, i medici dell'amministrazione penitenziaria e gli infermieri si sono attivati ed hanno visitato i ragazzi, facendo alzare loro le braccia, controllando se avevano segni di lesioni, problemi al torace e così via. Ad esempio, un ragazzo ferito alla milza, visitato da un medico dall'amministrazione penitenziaria, è stato ricoverato in ospedale, prima ancora che l'amministrazione stessa lo prendesse in carico. Questa visita ha rappresentato quindi una forma di collaborazione ed un atto di umanità. Non era nostro compito farla, ma l'abbiamo fatta, e volentieri, e credo che la rifaremmo.
Quando poi la visita medica veniva conclusa, il compito del sanitario in quella fase era come prima cosa quello di dire se il soggetto visitato fosse compatibile con la detenzione penitenziaria e, inoltre, se per lo stesso si fossero potuti presentare problemi in caso di traduzione e di trasporto. Il medico,


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effettuata la visita vera e propria, segnalava quindi il nulla osta, o meno, alla traduzione. Non risulta, per la professionalità del personale che lì è stato impiegato, che alcuno degli arrestati tradotti, anche con lesioni od ecchimosi, abbia avuto problemi di salute. Ritengo quindi che dal punto di vista professionale, pur con i limiti dell'amministrazione penitenziaria, in quella fase sia stato svolto un ottimo lavoro.
Forse sono stato frainteso quando ho detto di essermene andato dalla caserma di Bolzaneto senza aver capito che lì avvenivano episodi gravi e riprovevoli. Li ho letti sui giornali: si tratta di episodi di una gravità enorme, su cui l'amministrazione penitenziaria farà piena luce. Il mandato e l'ordine che era stato impartito a tutti gli agenti e a tutte le unità impiegate in quella sede era infatti il seguente: dobbiamo essere lo Stato che agisce in condizioni di normalità; lo scontro di piazza è ormai terminato, per cui quando l'arrestato arriva da noi deve avere la sensazione di trovarsi in una situazione di assoluta normalità per quanto compatibile con la detenzione.
È stata ricordata una mia frase: avevo infatti detto che l'arrestato, da noi, doveva sentirsi in salvo. Questo era il mandato che avevano tutti i nostri uomini. Ero convinto che, salvo qualche piccolo eccesso che può essersi verificato (in quanto questo deve sempre essere messo in bilancio), la macchina avesse tenuto bene. Purtroppo, mi sono poi scontrato con una realtà apparentemente diversa da quella che mi ero rappresentato.
PIERLUIGI PETRINI. Interverrò ripetendo in parte le domande poste dal mio collega che, a parer mio, non esauriscono l'argomento in quanto ci troviamo di fronte ad alcune contraddizioni. L'ispettore Montanaro ha analizzato il caso di tredici persone che avrebbero denunciato violenze


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subite nella caserma di Bolzaneto. Nella sua relazione egli afferma che di queste tredici persone solamente una aveva un referto medico, peraltro non esteso nella caserma dal medico della polizia penitenziaria, bensì all'ospedale San Martino di Genova. Negli altri dodici casi valutati dal dottor Montanaro, nessuno avrebbe un referto medico. Questo contrasterebbe con le procedure che lei ci ha riferito e che peraltro sono le stesse che già ci aveva illustrato il dottor Di Somma. Come mai l'ispettore Montanaro non trova i referti medici di dodici persone che sono state trattate nella caserma di Bolzaneto, nonostante quattro di queste abbiano traumi in regione cranio-facciale documentati dal rilevamento fotosegnaletico?...
La seconda questione riguarda invece l'ispezione del dottor Micalizio, che, invece, valuta la situazione delle 93 persone arrestate nella scuola Pertini, trasferite successivamente nella caserma di Bolzaneto. Il dottor Micalizio ci dice invece che 62 persone delle 93 hanno subìto lesioni con prognosi variabile da cinque giorni fino alla prognosi riservata. Ora, lei ha affermato nella relazione che la visita di cosiddetto triage non aveva dato luogo a trasferimenti in ospedale. Successivamente, rispondendo al collega, ha detto che nella visita di triage è stata rilevata una lesione alla milza e mi auguro che il ragazzo sia stato trasferito in ospedale. Tuttavia, risulta nella relazione del dottor Micalizio che le prognosi riservate (le prognosi riservate sono tali quod vitam) sono il 5 per cento delle 62 persone refertate. Quindi, sono tre le persone che hanno avuto una prognosi riservata. Le chiedo pertanto: chi ha steso tali prognosi? Il personale medico dipendente della polizia penitenziaria? Quando sono state rilevate queste tre prognosi riservate? Nella visita di triage o successivamente? Qual è poi


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la storia clinica di queste persone, non soltanto di quei soggetti con la prognosi riservata? Dovrebbero essere 11 i soggetti con prognosi da 21 a 40 giorni.
ALFONSO SABELLA. Non si trovano i referti medici perché la Polizia di Stato non ne è in possesso, mentre lo è l'amministrazione penitenziaria. Nessun medico della Polizia di Stato ha visitato gli arrestati mentre i nostri medici sì; i referti medici esistono non per tutte le persone condotte a Bolzaneto ma per tutte le persone immatricolate. A Bolzaneto sono state portate tante altre persone che poi, alla fine, non sono state fermate. Molte persone giustamente venivano portate lì; poi, anche sulla base delle norme di legge, l'ufficiale probabilmente - ma questo lo ipotizzo semplicemente - valutava che non vi fossero le condizioni per l'arresto, lo rimetteva in libertà e lo denunciava a piede libero.
A Bolzaneto sono state portate tantissime altre persone per cui è stata effettuata, a titolo di cortesia, la visita di triage della quale non è stato redatto alcun referto medico. Ciò semplicemente perché tali persone non sono state arrestate; se lo fossero state, ci sarebbe un referto medico.
In tale caso, addirittura ce ne sarebbero due: uno redatto a Bolzaneto e l'altro anche all'istituto di assegnazione. Il referto medico è stato redatto per tutti i soggetti visitati, anche per coloro che non presentavano lesioni o ecchimosi, perché il medico penitenziario ha il dovere di compilare il diario clinico nel quale indicare tutto ciò che si rileva in un'anamnesi medica assolutamente normale: la tossicodipendenza, la presenza di malattie in famiglia. I referti medici esistono per tutti. Non so se il dottor Montanaro lo ha chiesto all'amministrazione penitenziaria. Se l'avesse fatto credo che avrebbe ricevuto una risposta negativa da parte nostra perché, per ragioni ovviamente di riservatezza noi, senza l'ordine dell'autorità


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giudiziaria, non possiamo nemmeno trasmetterli alla Polizia qualora ce li chiedesse, a meno che non agisca su delega di indagine dell'autorità giudiziaria. Noi, comunque, abbiamo il dovere di tutelare la privacy degli arrestati. Tuttavia, posso assicurarle che esistono referti medici per tutti gli arrestati, nessuno escluso. Ne esistono due per tutti.
PIERLUIGI PETRINI. Vorrei chiarire una questione. Queste persone hanno avuto il cosiddetto fotosegnalamento; il che significa che sono state prese in consegna dalla Polizia penitenziaria.
ALFONSO SABELLA. Erano due i fotosegnalamenti, mi scusi. Purtroppo, accanto alla caserma di Bolzaneto, all'edificio dove si trova anche il sito penitenziario, c'è la palestra nella quale (credo che tra gli appartenenti all'amministrazione penitenziaria l'unico che ci abbia messo piede sono stato soltanto io; una mia amica che ho incontrato lì, una poliziotta, infatti, me l'ha fatto visitare) era stato istituito un centro di fotosegnalamento e un centro informatico della Polizia di Stato, con impronte digitali, la banca dati interforze. Ciò al fine di sapere se ovviamente, nel momento della identificazione di un soggetto, costui avesse dei precedenti di polizia o meno o se fosse uno straniero da espellere e così seguitando. Ovviamente, hanno fatto il loro dovere come avrebbero dovuto. Il fotosegnalamento era quindi duplice. Prima avveniva quello effettuato dalla Polizia di Stato e il rilievo delle impronte, poi avveniva quello fatto in maniera più artigianale dalla Polizia di Stato con una Polaroid e il rilievo delle impronte con il classico tampone di inchiostro. Non c'è stato il tempo per attrezzarci con macchine più moderne perché siamo arrivati


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all'ultimo minuto. Pertanto, i fotosegnalamenti erano due. Per quanto riguarda, invece, il problema delle prognosi, i nostri medici non emettevano prognosi.
Il nostro medico doveva semplicemente dire: è compatibile con la detenzione, nulla osta alla traduzione e segnalare le lesioni. Le dirò che i nostri medici hanno violato una mia precisa disposizione di servizio. Con una nota del 9 luglio avevo invitato i medici (anzi addirittura avevo scritto ai due coordinatori sanitari di San Giuliano e di Bolzaneto) non solo a riportare le dichiarazioni del detenuto circa le modalità con cui si era procurato quelle lesioni ma anche ad esprimere un giudizio di compatibilità tra le dichiarazioni del detenuto e le lesioni, cosa che in effetti non è accaduto. È stato quindi violato un ordine di servizio che era stato emesso in data 9 luglio ai coordinatori sanitari (è tuttavia un problema che riguarderà poi l'amministrazione penitenziaria). Al di fuori di ciò, il loro dovere era esclusivamente quello di emettere un nulla osta alla traduzione e dire: questo soggetto è compatibile, può andare in carcere o meno, può viaggiare per andare in carcere o non può viaggiare per andare in carcere. Per quanto mi riguarda, le prognosi non le hanno mai emesse, salvo per qualche poliziotto e carabiniere ferito che hanno chiesto la cortesia di farsi refertare sia a San Giuliano che a ...
PIERLUIGI PETRINI. Allora i dati che ci fornisce il dottor Micalizio?
ALFONSO SABELLA. Credo che siano i dati tratti dall'ospedale perché nell'elenco, per esempio, dei detenuti che abbiamo immatricolato a Bolzaneto troviamo 16 soggetti nei confronti dei quali sussiste la dizione «non immatricolabile». Il che significa che si tratta di soggetti che sono stati formalmente presi in carico dall'amministrazione penitenziaria


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ma non ancora immatricolati, perché sono stati ricoverati in ospedale, prima di poter effettuare le procedure di immatricolazione. Quindi, da tale dato emerge chiaramente che per tali soggetti vi sono referti medici redatti in ospedale, secondo le norme dell'ospedale stesso. È probabile, quindi, che di questi referti medici si parli.
PIERLUIGI PETRINI. La ringrazio. Vorrei anche....
PRESIDENTE. Senatore Petrini, tenga conto che del suo gruppo tutti hanno chiesto di intervenire. Lo dico perché non vorrei che si creasse....
ALFONSO SABELLA. ...Mi scusi, sono di più i soggetti «non immatricolabili».
PIERLUIGI PETRINI. A tale proposito, c'è una questione che non ho capito. Lei ci dice che queste 93 persone sono state prese in carico alle 22 della domenica. Pertanto, la visita medica che stabilisce la non immatricolibilità ed il trasferimento in ospedale - immagino - è avvenuta dopo le 22 di domenica?
ALFONSO SABELLA. Molte persone probabilmente la Polizia le ha portate direttamente in ospedale e successivamente noi abbiamo rilevato il piantonamento. La Polizia, quindi, ci ha comunicato il verbale di arresto e l'avvenuto accompagnamento in ospedale. A quel punto, la Polizia penitenziaria, secondo gli accordi interforze, nelle ventiquattr'ore ha rilevato il piantonamento in ospedale. Si trattava quindi di soggetti per cui veniva fatta semplicemente l'annotazione. Per i soggetti non immatricolabili non disponiamo di un orario di consegna, ma semplicemente di una comunicazione;


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sugli altri soggetti consegnati sì. Per esempio, i soggetti arrestati alla Diaz cominciano ad essere consegnati alla Polizia di Stato a partire dalle 22.05 del 22 luglio.
MARCO BOATO. Un giorno dopo.
ALFONSO SABELLA. Sì, un giorno dopo. Nel verbale di arresto si parla delle tre di notte. Ripeto, per quanto riguarda l'esperienza, siamo nelle ventiquattr'ore.
KATIA ZANOTTI. Condivido anch'io l'impressione dei colleghi intervenuti fino a questo momento ed anch'io inevitabilmente devo dire che la presentazione del lavoro svolto dall'amministrazione penitenziaria relativamente alla struttura di Bolzaneto è, in modo preoccupante, estremamente lacunosa.
Le dico questo non sulla base della lettura dei giornali, che ci ha autorizzato anche a trarre considerazioni molto preoccupate, bensì naturalmente, dopo la lettura dei documenti dell'indagine amministrativa del Ministero dell'interno, che usa parole pesanti per quanto riguarda la situazione di Bolzaneto, parlando di gravi carenze di direttive, sia nel momento organizzativo che in quello gestionale, di indeterminatezza ed imprecisione nel momento della custodia e vigilanza dei fermati, di viavai di Carabinieri, di Polizia penitenziaria e di Stato, di corpi separati che agiscono dentro Bolzaneto, nonché di lungo e pesante disagio sopportato dai fermati sino a rudezze, forse determinate dallo stato di tensione degli agenti.
Ho citato i suddetti episodi perché abbiamo sotto mano questo materiale ed abbiamo bisogno di capire come si sia svolta la vicenda di Bolzaneto, insieme a molte altre vicende gravi avvenute a Genova. Dobbiamo farlo anche perché si è evidenziata una struttura che era gestita in maniera tutt'altro che funzionale. Da questo punto di vista, lei era a Genova in


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qualità di coordinatore, per quanto riguarda, se ho ben capito, il trattamento dei fermati ed aveva deciso di mantenere una presenza consistente a San Giuliano e meno consistente a Bolzaneto.
Le chiedo, dal momento che lei ci riferisce di un'indagine giudiziaria in corso di cui abbiamo letto sui giornali, nonché di un'indagine amministrativa, - credo anch'io che sarebbe molto utile, prima della conclusione dei lavori, disporre delle conclusioni di tale indagine amministrativa - se sia possibile rispondere ad alcune rapide domande. Le chiedo cioè se i diritti dei fermati fossero garantiti: in particolare, il diritto ad informare un terzo, al momento della traduzione a Bolzaneto, dell'avvenuto fermo, la possibilità di ricorrere ad un avvocato difensore, nonchè, naturalmente, come è già stata chiesto dai colleghi, tutto ciò che inerisce le cure mediche e la refertazione relativa ai controlli medici.
Le chiedo inoltre se la sua presenza a Bolzaneto fosse di qualche ora o se, invece, fosse un rapido passaggio di controllo della situazione. In questo caso, se ho ben compreso, vi erano due ispettori, che lei ha indicato quale punto di riferimento delle responsabilità della struttura di Bolzaneto, per quanto riguarda tutto ciò che ineriva alla parte relativa alla gestione della amministrazione penitenziaria.
Li chiedo se sia possibile che, dopo la sua visita a Bolzaneto, potessero determinarsi situazioni di incontrollabilità in quella struttura. In ogni caso, le chiedo se questi due ispettori le abbiano riferito di situazioni anomale che si stavano verificando, non solo per quanto concerne la Polizia penitenziaria, ma anche per quanto investe il comportamento nei confronti dei fermati da parte della Polizia di Stato o della Guardia di finanza.


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Le chiedo, inoltre, se da tale indagine interna emerga che i GOM non abbiano davvero avuto contatti con i fermati. In ogni caso, le chiedo se anche i GOM, che andavano e venivano in ragione della loro funzione, non le abbiano raccontato di teste sbattute, di calci ai testicoli, di fermati che venivano bloccati per 17 o 18 ore con la testa contro il muro e prendevano pugni se si giravano.
Un'altra domanda riguarda il medico dell'infermeria, dipendente dell'amministrazione penitenziaria. Abbiamo letto i giornali ed abbiamo appreso dell'avviso di garanzia. Abbiamo letto persino l'intervista del medico e, mi lasci dire - si tratta di una opinione personale - che, dal punto di vista deontologico, un medico che si presenta in tuta mimetica e giustifica l'abbigliamento nel modo in cui lo ha giustificato sui giornali sarebbe comunque da considerare come minimo suscettibile di censura da parte dell'amministrazione penitenziaria.
In ogni caso, di quel medico si dice che abbia strappato piercing alle ragazze con violenza e si dice anche abbia tenuto un comportamento sicuramente non professionalmente rigoroso.
Concludo pertanto questa serie di domande, dal momento che tutto questo nasce dall'esigenza, legata alla funzione di questo Comitato, di arrivare a qualche conclusione di verità e, soprattutto, essendo in corso un'indagine interna, le chiedo, alla luce di questa, cosa stia emergendo.
ALFONSO SABELLA. Le dico in linea di massima che, per motivi di correttezza, non mi sembra opportuno entrare nei minimi dettagli, dal momento che non ho ancora trasmesso la relazione al capo del dipartimento.
Tuttavia, posso affermare che qualche elemento di un certo rilievo è emerso nel corso dell'indagine amministrativa, che merita un certo approfondimento e un'attenta valutazione.


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Per quanto concerne il comportamento del medico, non posso ovviamente entrare nel merito, dal momento che anche per me sarebbe l'anticipazione di un giudizio sulle considerazioni che lei ha espresso. Mi sembra tuttavia che siano obiettivamente condivisibili da chiunque, sia per quanto riguarda il modo di vestire, nonché su determinati atti compiuti così come riferito.
La scelta dei due medici coordinatori è stata quasi obbligata da parte dell'amministrazione penitenziaria, in quanto, nei dieci giorni di tempo che ho avuto per organizzare, non un giorno di più, occorreva reperire due medici che fossero di Genova, dal momento che non era possibile contare su medici di altre parti. Per reperire i sanitari è stato fatto un interpello tra le regioni limitrofe a Genova, interpello poi esteso ad altre regioni. Abbiamo avuto grandi difficoltà nel reperire medici disponibili a venire a Genova; a tale proposito sono state interpellate due associazioni di medici. Di tale aspetto si è occupato l'ufficio detenuti e trattamento. Abbiamo avuto garanzie sul fatto che avrebbero esercitato pressioni affinché arrivassero dei medici, ma non ne sono arrivati. Per tale ragione, i medici che abbiamo reperito a Genova sono per la maggior parte giunti sulla base di pressioni di carattere personale esercitate dal sottoscritto, dalla collega Procaccini dell'ufficio detenuti e dal direttore dello stesso ufficio. Analogo discorso vale per quanto concerne gli infermieri. Con ciò il medico ...
FILIPPO MANCUSO. Bastava precettarlo!
ALFONSO SABELLA. Onorevole, mandano il certificato di malattia!
Purtroppo, avevamo anche degli equilibri da rispettare all'interno dell'amministrazione. Comunque, credo che sui


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medici che hanno lavorato a Genova ci sia poco da eccepire sul piano della professionalità: non abbiamo avuto il minimo problema al riguardo. Certo, qualche elemento di sospetto è già emerso nel corso dell'inchiesta che stiamo avviando sul comportamento di un medico in particolare, e solo di uno, almeno fino allo stato attuale.
Per esempio, lei ha trattato l'episodio del piercing, che sarebbe stato strappato: si tratta di un atto di una gravità enorme. D'altro lato, abbiamo acquisito una marea di dichiarazioni secondo cui tutti i piercing venivano tolti direttamente dalla maggior parte degli arrestati, cui venivano fornite a seconda dei casi, pinzette chirurgiche per vincere la resistenza fisica del metallo o la naturale ossidazione dei metalli, oppure venivano tolti con l'aiuto del personale medico. Tuttavia ciò non rientrava tra i compiti di quest'ultimo ma del personale che effettuava le perquisizioni. Nei casi in cui non era possibile estrarre i piercing senza creare danno all'arrestato, si è preferito lasciarli, nonostante fosse vietato dal regolamento per tutta una serie di ragioni che non sto a indicare.
Nonostante le indicazioni al riguardo dell'episodio del piercing, non sappiamo ancora se si sia trattato di un uomo o di una donna. Comunque, ad onor del vero nonostante l'attendibilità della fonte, non abbiamo riscontrato nei referti medici esaminati riferimenti a un piercing strappato dal naso con una certa violenza. È intuibile che un piercing strappato provoca una lacerazione piuttosto grave, pertanto si tratta di un episodio che, indubbiamente merita di essere approfondito, ma è opportuno aspettare più attente verifiche e, soprattutto, gli atti e i dati di cui è in possesso l'autorità giudiziaria, che ovviamente sono di gran lunga più completi dei nostri.
Per quanto riguarda la confusione del comando, i compiti dell'amministrazione penitenziaria sono ben precisi e determinanti.


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Noi non avevamo il dovere di avvisare i familiari dell'avvenuto arresto: questo spetta alla forza di polizia che ha proceduto all'arresto. Noi non avevamo il compito di chiedere all'arrestato se volesse nominare un difensore di fiducia: questo spetta alla forza di polizia che ha proceduto all'arresto. Vi devo dire, per quel che ci riguarda, che per tutti gli arrestati era indicato un difensore d'ufficio o un difensore di fiducia: avevamo soltanto il compito di annotarlo. Certo, se l'arrestato ci dice che vuole cambiare il difensore, noi abbiamo il compito di annotarlo e di comunicarlo, ma non compete a noi chiedere se vuole nominare un difensore di fiducia, perché non siamo noi che procediamo contro di lui.
Per quanto riguarda il medico, la nostra è una visita volta a verificare quanto da me detto. Ovviamente viene eseguita da medici e se c'è una situazione d'emergenza intervengono, come è accaduto con il ragazzo greco cui è stata riscontrata una lesione della milza: è stato lo stesso medico, quello «cattivo», che ha chiamato l'ambulanza, facendola arrivare nel giro di pochi secondi a salvare probabilmente la vita a quel ragazzo: ma questo è un altro discorso.
Riguardo un altro dato, non avevamo il compito di avvisare immediatamente il detenuto delle ragioni del suo arresto, spettava ad altri, dal momento che l'articolo 94 comma 1-bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale prevede che il direttore dell'istituto penitenziario, nel corso del colloquio di primo ingresso, o successivamente (un colloquio di primo ingresso si fa, normalmente, dopo che il detenuto è stato già portato all'interno della struttura penitenziaria ed è stato allocato in cella), deve fare questa ulteriore verifica, chiedendogli: caro detenuto, sei a conoscenza delle ragioni per cui sei arrestato? Se dice sì, perfetto; se dice di no, allora il direttore dell'istituto è tenuto a spiegarlo. Proprio su questo


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obbligo, io avevo emesso, sempre in data 9 luglio un altro ordine di servizio con cui avevo raccomandato ai direttori degli istituti di assegnazione di adempiere immediatamente a questa formalità. Ciò nonostante, gli stessi addetti alla matricola, per come mi è stato riferito - e non ho motivo di dubitarne -, informavano normalmente l'arrestato dandogli lettura degli articoli di legge per cui era detenuto. Ma non era compito loro, perché spettava al direttore dell'istituto penitenziario e, comunque, in un momento successivo. Quindi, anche su questo, si è probabilmente verificata una confusione di ruoli, ma non era un problema che riguardava l'amministrazione penitenziaria.
Per ogni atto compiuto in quella sede, vi posso dire chi era il responsabile, chi erano i soggetti operanti. Per esempio, abbiamo avuto una dichiarazione piuttosto grave nell'ambito dell'attività di inchiesta, per cui si è detto che durante la perquisizione Tizio è stato picchiato: nel giro di un secondo, il tempo esatto di aprire un tabulato, sapevamo chi era l'agente in servizio a quell'ora e in quel punto e chi aveva quei compiti. Questo, obiettivamente, siamo in grado di ricostruirlo perché abbiamo cercato di riprodurre, nel piccolo, il carcere, con tutte le norme che presiedono alla sua organizzazione. Da parte di molti arrestati sono state vissute come violenze prassi che invece sono assolutamente normali in ogni istituto di detenzione. A parte la perquisizione con denudamento e flessione, qualcuno ha detto di essere stato costretto a raccogliere l'immondizia. Purtroppo, mi rendo conto che qualcuno può pensare una cosa del genere, ma il sacco che viene normalmente utilizzato per riporre gli oggetti di pertinenza del detenuto, il cui possesso non viene autorizzato all'interno delle celle, è, per ragioni economiche, un sacco di juta o un sacco


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nero di quelli normalmente in uso per l'immondizia. Ma è diverso dire che si è stati costretti a raccogliere l'immondizia.
Sul discorso delle responsabilità precise e della confusione, su Bolzaneto continuerò a non parlare di confusione per quanto riguarda l'amministrazione penitenziaria perché i compiti erano ben determinanti; ed ogni operatore sapeva quali erano i propri semmai, abbiamo fatto, ogni tanto, qualcosa in più. Il personale femminile ha accompagnato in bagno le arrestate, gestite da polizia e da carabinieri, che non avevano personale femminile. I medici sono intervenuti per curare, assistere e medicare qualche arrestato nella fase precedente all'invio nelle strutture penitenziarie. Non so se abbiate letto sul giornale di quella mano che sarebbe stata suturata in malo modo (non so quanto corrisponda a verità): quello è un soggetto che non è stato mai arrestato, cui è stata suturata la mano perché si presentò in infermeria dove è stata fatta una operazione da pronto soccorso, ma non certo da amministrazione penitenziaria.
Quindi, per quanto riguarda il lavoro dell'amministrazione penitenziaria - non mi stancherò mai di ripeterlo e credo che nessuno riuscirà a dimostrare il contrario -, a Bolzaneto essa aveva una sua organizzazione ben precisa. Momenti di confusione si sono verificati, oggettivamente, in quel luogo, ma con il senno di poi, posso dire che avrei chiesto una struttura totalmente separata: tuttavia, al momento non è stato possibile per una serie di ragioni logistiche.
A Forte San Giuliano eravamo in condizioni di gran lunga peggiori: avevamo un ufficio matricola, una piccola stanza addetta all'infermeria e una camera dove si faceva tutto e gli arrestati stavano nel corridoio perché non avevamo alternative, sia che fossero immatricolati sia che non lo fossero; erano seduti nel corridoio perché la situazione purtroppo era quella


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logistica. Non è stata una scelta dall'amministrazione penitenziaria, che è invece arrivata all'ultimo minuto a cercare di fare il possibile. Quindi, ripeto, se la confusione si è creata a Bolzaneto, è stata determinata dal fatto che nello stesso sito insistevano più strutture. In quel luogo vi erano: l'ufficio della squadra mobile, l'ufficio della DIGOS, le camere di sicurezza della squadra mobile e poi tutti gli uffici dell'amministrazione penitenziaria, matricola, casellario, armeria, infermeria. Quindi, è chiaro che, con il senno di poi, avrei detto di no a quel sito, perché avrei preferito una struttura completamente separata; tuttavia, dal momento che si pensava dovesse essere un'operazione piuttosto rapida, senza attese così lunghe dei detenuti, non ci siamo posti il problema. Se un errore è stato fatto, è stato quello, non certo l'organizzazione dei compiti e dei turni: si poteva forse fare di meglio, ma sostanzialmente quello che è stato fatto non credo abbia causato gravi problemi.
Lei mi ha chiesto se andavo e venivo; a volte mi fermavo un paio d'ore oppure per tre, o mi fermavo un quarto d'ora e andavo via, perché mi recavo anche alla centrale operativa di Pontedecimo. In un paio di circostanze si sono verificate emergenze al carcere di Marassi: abbiamo avuto un assalto, poi un allarme bomba. Insomma, diversi problemi per cui cercavo di essere presente sul posto, dove c'era il personale, anche per essere vicino ai ragazzi che lavoravano: ho visto lavorare gente per 24 ore ininterrottamente senza stancarsi.
Per quanto riguarda le teste sbattute contro il muro, quello è obiettivamente uno degli aspetti su cui l'inchiesta della amministrazione penitenziaria si sta concentrando di più, perché è difficile che possa trovare giustificazione un agente di polizia che fa picchiare contro il muro la testa di un arrestato che si trova lì inerme. Si tratta di un atto di


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vigliaccheria che, come tale, quando sarà definitivamente accertato, da parte dell'amministrazione penitenziaria, sarà perseguito con il dovuto rigore. Fino a questo punto, per quanto posso anticipare dell'inchiesta amministrativa in corso, abbiamo avuto un'indicazione - ma si tratta di una sola indicazione - secondo cui qualche agente avrebbe fatto questa operazione con una certa durezza. Non teste sbattute al muro, ma - afferma il dichiarante - teste appoggiate con forza al muro. Mi rendo conto che si tratta di un dettaglio sottile, ma, ha tenuto a precisare (era un testimone!) «non posso parlare di teste sbattute: ecco, premute con forza». Indubbiamente quello che abbiamo acquisito finora è troppo poco per ritenere assolutamente sicuro questo dato, però posso assicurarvi che è un punto su cui l'amministrazione penitenziaria si muoverà senza guardare in faccia a nessuno e con il massimo rigore, perché sono episodi di gravità tale che vanno perseguiti.
In merito ai contatti del GOM, per quanto mi riguarda ancora oggi, nonostante la nostra inchiesta, l'unico contatto del GOM con i detenuti che abbiamo accertato è quello del personale femminile che è stato impiegato per le perquisizioni e per accompagnare in bagno le arrestate; a meno che non si intenda per personale del GOM quello che era in forza a tale organo, ma si tratta di quattro unità che sono state impiegate all'interno dell'ufficio matricole in quanto bravi matricolisti; tuttavia su tali soggetti non mi pare che nessuno abbia mai riferito alcunché. Tra l'altro essi non portavano neanche il distintivo del GOM. Si tratta, quindi, di quattro unità in forza al GOM e, comunque, utilizzate in compiti burocratici e amministrativi e non di controllo dei detenuti, come nessun'altra unità del GOM.
FILIPPO MANCUSO. Illustre consigliere, non avevo intenzione...


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ALFONSO SABELLA. Non sono consigliere: mi chiamano così anche se cerco di evitarlo, ma è per distinguere i magistrati...
FILIPPO MANCUSO. È che mi aspettavo un consiglio da lei. Come debba interpellarla è irrilevante; non desideravo disturbarla con qualche domanda, però la sua non felice esibizione mi costringe a farlo. Rifletto preliminarmente sul fatto che evenienze simili a quelle che avete affrontato non possono essere valutate sotto alcun aspetto concreto a posteriori in modo realistico. Sono vicende che trascendono la prevedibilità ed anche l'esperienza. Tuttavia, trattandosi di valutare una funzione pubblica alla stregua del contenuto delle attribuzioni che essa comporta, lei - mi deve consentire - si è dato una sorta di «zappa sui piedi». Lei ha cercato di diluire in una genericità di attribuzione quella che, invece, era la sua vera figura istituzionale, nascente dal provvedimento sul quale si è intrattenuto anche il dottor Di Somma che abbiamo ascoltato il 9 agosto; lei è una specie di «dittatore» (il termine è allusivo e non definitorio) di quella situazione in quanto riferibile all'amministrazione penitenziaria e comincia questa dittatura, legittima in questo senso, dall'osservanza delle norme di libertà dei detenuti, di trasparenza del loro trattamento e di regolarità delle loro singole posizioni. Questo lo stabilisce il provvedimento, che non le rileggo.
Lei, quindi, mi forza a disturbarla con tali domande, dicendo, ad esempio, una grave inesattezza in merito ai due siti penitenziari, sulla costituzione dei quali lei non ha avuto parte e sulla cui legittimità ho forti dubbi; un carcere non si può costituire occasionalmente: quelli si chiamano normalmente campi di concentramento. Superando questo aspetto che, quindi, non la riguarda, nell'ambito di questa situazione lei aveva poteri assoluti. Del resto, che lei sia un uomo di


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fiducia della struttura non devo rammentarlo a me stesso; vorrei semplicemente ricordare che lei fu nominato ufficiale di collegamento con la Commissione antimafia proprio da quella struttura. Io, poi, non la vidi, ma può darsi che sia stato un mio difetto di vista. Lei, quindi, è organico a quel mondo; la sua cultura ed i suoi doveri nascono in quel mondo. Non può dirci che, ad esempio, la tutela prevista dalle norme di attuazione del codice di procedura penale da lei citate responsabilizzi soltanto i direttori o, perlomeno, il personale degli istituti penitenziari propriamente detti, perché se il titolo di sito penitenziario equivale a quello di struttura carceraria, quei doveri le competevano e - se è vero ciò che poc'anzi ha rilevato la collega - non solo non li ha osservati o fatti osservare, ma li ha persino ignorati, ritenendo che ne fosse dispensato: ciò è grave.
Aggiungo un'altra considerazione. Posto che la materia è, quindi, sotto questo riguardo, incontrovertibile, può essere, invece, discutibile la possibilità di attuazione, ma non quando si nega di avere un dovere. Posso giustificare l'inadempienza in concreto di un dovere a causa della forza maggiore, ma non l'inadempimento di esso perché se ne ignora il fondamento e la forma. Quindi, lei ha, per così dire, determinato in forma di divieto qualcosa che invece rientrava nei suoi doveri.
Inoltre, anche se ciò non fosse previsto dalla disposizione che ha invocato e di cui le contesto l'inadempienza, è quello il modo di seppellire vivi anche dei colpevoli? È dignitoso? Capisco che nella nostra istituzione è invalsa l'abitudine all'abuso istituzionale e a far passare quest'ultimo come merito - il che conforma una cultura della sopraffazione ed ancora questo paese non si è avveduto di quale male abbia prodotto nella sua civiltà -, ma il trattamento del detenuto colpevole, in espiazione, del patricida e del matricida non può essere


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quello di venire seppellito vivo, anche dopo una sentenza definitiva: questo è il concetto che lei ha valorizzato, sia pure attraverso molti «contorcimenti». Se il fondamento della sua competenza nasce da un atto di investitura così ampio e nell'ambito di questa situazione così determinata lei ha operato in un modo che mi permetto di definire non adeguato, con quale coraggio si lascia nominare componente della commissione che deve indagare anche su di lei? Con che coraggio - e non uso la parola dignità - lei fa parte di una commissione, sul cui lavoro ci ha riferito, che, istituzionalmente investita (anche di questo atto non do lettura), è chiamata ad accertare e, come si dice nella parte finale, anche a sanzionare disciplinarmente comportamenti di cui lei è potenzialmente responsabile? Lei è giudice e parte nello stesso momento. Questo mi ha indotto a pensare, in un momento, per così dire, di sconcerto e forse di indignazione, che un potenziale responsabile di fatti così gravi in partenza - e le auguro che alla fine ne sia assolutamente lasciato indenne - non si periti di dire: io non posso essere il giudice dei miei atti. In qualunque modo lei voglia essere interpellato - la chiamo anche collega nel nome della mia antica professione e della sua attuale -, ciò non è degno, non dico di taluno che, anche in questa fase, ha invocato la sua esperienza di magistrato, ma che abbia rispetto dell'umanità degli altri e delle proprie sensibilità.
ALFONSO SABELLA. Vorrei semplicemente sottolineare che con la mia nota del 9 luglio 2001 avevo appunto segnalato la necessità di adempimento delle prescrizioni di cui all'articolo 94, 1-bis...
Per quanto riguarda il sito penitenziario di Bolzaneto è stato regolarmente istituito con decreto del ministro della giustizia in data 12 luglio 2001, che non ha creato due istituti


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penitenziari, ma istituti utilizzati a fini detentivi quale succursale dell'area sanitaria e dell'area matricola delle case circondariali di Pavia, Voghera, Vercelli e Alessandria, nonché della casa di reclusione di Alessandria. La legge prevede che gli istituti penitenziari vengano istituiti con decreto del Ministero della giustizia, ma in quel caso non si trattava di un istituto penitenziario, bensì di un'area distaccata della matricola e dell'area sanitaria.
MARCO BOATO. Era una fictio iuris!
ALFONSO SABELLA. Si trattava di una fictio iuris proprio per consentire all'amministrazione penitenziaria di immatricolare i detenuti e, quindi, tradurli. Il problema, infatti, era aiutare le forze di polizia nella gestione degli arrestati e non solo in quella. Tale fictio iuris non è addebitabile a me; non so se fosse la migliore soluzione possibile, non so se ve ne fossero altre, non so se fosse il caso di coinvolgere direttamente la Polizia penitenziaria in funzioni di ordine pubblico con il compito di tradurre i detenuti, non so quale potesse essere la soluzione migliore. Io l'ho trovata già predisposta. Obiettivamente ero il «dittatore» ed avevo delle responsabilità.
Mi sono posto il problema se far parte o meno della commissione. Si tratta di una commissione d'inchiesta nominata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Tale dipartimento ed il Ministero della giustizia hanno già preventivamente accertato che non vi sono stati problemi sul piano dell'organizzazione e della direzione, ma che si tratta di individuare singoli episodi di abuso. Nei miei riguardi vi è un'incompatibilità con questa commissione, in realtà, ma non è quella da lei indicata, se mi consente, onorevole Mancuso. Si tratta del fatto che sono profondamente amareggiato dall'individuare qualcuno che abbia commesso certi reati, certi


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abusi, certi illeciti. Vi è anche un problema di risentimento personale in quanto li avevo avvisati e convocati diverse volte dicendo: ragazzi non avete scusanti, mi raccomando, trattiamoli bene, siamo i caschi blu dell'ONU (sono stato attaccato per questa frase ma era per rendere chiara l'idea). La mia incompatibilità deriva dal fatto che probabilmente potrei essere molto più severo di quello che sarei in una situazione normale. Ci sono, tuttavia, altri quattro componenti della commissione che, probabilmente, saranno in grado di frenare i miei eventuali eccessi. Quella è l'unica incompatibilità.
Il punto di partenza del Ministero della giustizia e dell'amministrazione penitenziaria, sulla base dei primi dati emersi, è che l'organizzazione così com'era andava bene, non vi sono stati problemi sul piano dell'organizzazione e della direzione, non sono state date disposizioni volte a massacrare la gente o a violare i diritti individuali. Tali diritti, per quanto riguarda i vertici, sono stati ampiamente rispettati. Mi dispiace ammetterlo, ma probabilmente ci sono stati, per quello che stiamo verificando nel corso dell'inchiesta, singoli comportamenti isolati: finora sono emersi solo ed esclusivamente quelli. Laddove dovessero emergere fatti attribuibili alla direzione ed all'organizzazione, sarà mia cura occuparmene.
Obiettivamente, comunque, mi ero posto questo problema e se lo erano posto anche il capo ed il vicecapo del dipartimento. Il presupposto è stato quello: non vi è un'inchiesta sull'organizzazione, non vi sono stati problemi di confusione o di disorganizzazione; gli unici problemi sono dovuti al fatto che qualche singolo probabilmente - non lo sappiamo ancora - può aver perso la testa ed aver compiuto qualche atto contrario non solo alle norme deontologiche e professionali, ma in taluni casi anche al codice penale.


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MARCO BOATO. Molte cose sono già state dette e chieste e, quindi, non le ripeterò. Non c'è dubbio che su questo punto abbia rilevanza quello che lei sta affermando, cioè che, in riferimento alla caserma Bolzaneto, vi siano due questioni distinte che, però, si intersecano in continuazione (come abbiamo visto fin dal primo intervento del senatore Tomassini). Vi sono problemi di responsabilità della Polizia di Stato in quanto si trattava di una caserma della Polizia di Stato: i carabinieri - come lei ha ricordato -, operavano a Forte San Giuliano, anche se ad un certo punto sono andati di supporto anche loro, se non ricordo male. Vi sono, poi, problemi di responsabilità dell'amministrazione penitenziaria. Da questo punto di vista non voglio fare confusione: diciamo che si è trattato di un'emergenza nell'emergenza.
Il presidente Mancuso ha usato un'espressione molto forte ma, prima di ascoltare lui, a bassa voce, avevo usato un'espressione analoga, anche se tecnicamente impropria: quella, più che una caserma di polizia o un sito penitenziario, aveva aspetti da campo di concentramento, sia pure di durata di ventiquattro ore. Sono, però, convinto che ci siano responsabilità distinte.
Anche se mai siamo abituati a farci questa domanda, ci chiediamo se qualche rappresentante del Genoa social forum non abbia denunciato episodi di violenza che ha visto. Ma io mi chiedo: gli operatori della Polizia penitenziaria sono oppure no ufficiali di Polizia penitenziaria? Addirittura, come ho letto, veniva ostruito il loro accesso, in certi momenti, alle altre stanze di competenza della Polizia. Dato che sono vissuti lì alcuni giorni e penso che qualcosa avranno visto e sentito (per la parte che non riguarda loro: sto distinguendo), sono oppure no ufficiali di Polizia giudiziaria? Se qui possiamo sentir dire che un privato cittadino ha denunciato un episodio di violenza


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di una persona mascherata, che se avesse tentato di identificare magari avrebbe preso anche qualche randellata in testa (non dalla Polizia, in questo caso, ma dall'anarchico o dal black blocer), un ufficiale di Polizia penitenziaria che sta in quella caserma e vede, sente, ascolta, comportamenti di un certo tipo, non ha il diritto, anzi, il dovere di denuncia e di intervento? Si tratta di una questione che le pongo sine ira ac studio, quasi istituzionalmente.
Non voglio ripetere quello che hanno detto la collega Zanotti e altri colleghi, ma una persona non può stare anche 10-12 ore nelle mani della Polizia in certe condizioni. Sta in piedi, con le mani alzate, con la faccia al muro, con le gambe allargate e, poi, quando passa nelle mani della Polizia penitenziaria, sta in una cella senza arredi, senza luce, in piedi, con le mani al muro, con le gambe divaricate, come ce li ha descritti il ministro Castelli in un'intervista, dicendo di aver trovato tutto regolare: ho visto la gente con le mani al muro, con le gambe allargate, con la faccia rivolta al muro, separati e così via, tutto regolare. Se questa è la regolarità di uno Stato di diritto ...; non ho dubbi su quello che lei ha detto circa i caschi blu dell'ONU però... Noi abbiamo fatto i garantisti a proposito di una persona che oggi è nostro collega parlamentare perché gli hanno messo le manette - ed io ho protestato quella volta - ma qui c'è un problema di garanzie, in termini di Stato di diritto, mille volte più grande.
Più che rivolgerle domande, sto facendo considerazioni che chiedo a lei, a sua volta, di svolgere. Dato che cerco di leggere sempre le carte, prima che arrivasse il dottor Di Somma ho letto la sua relazione del 26 luglio. La capisco oggi quando dice: sono più arrabbiato. Ma in base alla relazione del 26 luglio, andava tutto bene. Perfino l'episodio del piercing. Si


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parla di un arrestato visibilmente alterato da alcool o droghe: quando si vuole legittimare qualcosa si dice che qualcuno è alterato da alcool o droghe.
LUCIO MALAN. E se per caso fosse vero?
MARCO BOATO. Appunto, sono d'accordo con te, volevo dire la stessa cosa. Comunque, da questa relazione risulta sostanzialmente che è tutto regolare.
Quindi, vi è la sua prima nota, riferita da la Repubblica, con la quale sostanzialmente lei asserisce che è tutto falso; nell'ulteriore accertamento richiestole, mi pare, dall'allora facente funzioni Mancuso, afferma, sostanzialmente, che è tutto a posto. Devo darle atto, avendolo letto dai documenti (da una sua nota del 31 luglio), di aver sollecitato l'istituzione della Commissione; altrimenti, lei avrebbe avuto l'incarico di indagare anche su se stesso! Oggi lei ha svolto una relazione introduttiva in cui nulla di tutto ciò è emerso; soltanto in forza dei nostri interventi, lei ha cominciato a dire nella prima parte che probabilmente si individuerà qualche eccesso, qualche abuso verificatosi a Bolzaneto. Poi, in risposta a qualche collega, ha parlato di episodi di una gravità enorme sui quali si farà piena luce. Quindi ha detto, anche con tono umanamente drammatico di essersi, scontrato con una realtà diversa da quella che si era rappresentata. Ma lei, quella situazione, l'aveva anche rappresentata nella relazione del 26 luglio all'allora facente funzione direttore del DAP
Ci sono problemi (e lo dico senza animosità) che riguardano la gestione della Polizia di Stato e problemi relativi all'amministrazione penitenziaria che vanno tenuti distinti, ma che si sono svolti contestualmente nella stessa caserma, in stanze contigue, dove, per un'intera giornata, i fermati, in alcuni casi sono stati trattenuti 17,18,19 ore in piedi, con le


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mani alzate, con il «muso» rivolto contro il muro, con le gambe allargate, in una condizione francamente indegna di uno Stato di diritto. Tralascio poi la circostanza che la maggior parte degli arrestati sono già tutti fuori! Ma non si tratta di un compito che la riguarda. Tuttavia, chi viene arrestato, qualunque reato abbia commesso, deve essere trattato con rispetto degno di una persona umana.
ALFONSO SABELLA. Voglio semplicemente far presente che la mia relazione del 26 è una prima relazione immediatamente richiestami dal capo del dipartimento sulla base dell'articolo apparso su La Repubblica. Ho tenuto a dire che sono andato via da Bolzaneto e da Genova, convinto di aver fatto un buon lavoro; sono andato via da Genova il 24; la relazione è del 26: non avevo, pertanto, elementi diversi da quelli portati con me da Genova e da quelli appresi dal quotidiano. Quindi, si tratta di una relazione elaborata, in qualche modo, nel momento in cui sono venuto a conoscenza della denuncia di violenze, asseritamente della circostanza che vengono denunciate violenze commesse da personale di Polizia, anche da personale di Polizia penitenziaria. A proposito di quanto ho letto sul giornale, mi pare fossero allegate tre testimonianze: ricordo, se non vado errato, un certo Luca Sciacca, persona che l'amministrazione penitenziaria non ha mai immatricolato; ricordo altresì un certo De Munno ed un'altra persona di cui non rammento il nome. Tuttavia, nessuno di loro parlava espressamente di polizia penitenziaria; l'unico riferimento...
MARCO BOATO. Lei capisce che quando uno è sottoposto a simili trattamenti, che si tratti di Polizia di Stato o di Polizia penitenziaria, a quell'individuo poco importa. È compito vostro, semmai, individuare...


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ALFONSO SABELLA. Le dirò di più: se è vero quanto è stato scritto, e cioè che in alcuni casi le persone, trattenute per diverse ore in piedi e con le mani appoggiate al muro, sono state denudate e costrette a far flessioni, è chiaro che viene avvertita come una violenza tremenda ciò che si sta subendo. Ma è una violenza in qualche modo necessaria, purtroppo non ne possiamo fare a meno, perché se qualcuno introduce droga in un istituto di pena si possono verificare tragedie come quelle avvenute a Torino Le Vallette. Quindi, da questo punto di vista, non possiamo correre rischi.
Indubbiamente, mi rendo conto della situazione, tant'è vero che, come le ho detto, io stesso mi stupii del fatto che si dovesse adottare tale prassi per quanto riguarda la contenzione degli arrestati. Tuttavia, mi è stato assicurato che sarebbero stati trattenuti solo per pochissimo tempo e solamente fino a che si fosse riempita la cella, perché siffatti avvenimenti si verificavano soprattutto quando, nella stessa camera di sicurezza, si concentravano soggetti con problematiche diverse. Indubbiamente, non era una situazione facile, indubbiamente poteva essere fatto qualcosa di diverso. Se avessimo potuto contare su un sito penitenziario tutto nostro, cioè della polizia penitenziaria, probabilmente tutto ciò non si sarebbe verificato. Purtroppo, si è creata una situazione di emergenza, perché noi, come amministrazione penitenziaria, nulla sapevamo delle problematiche alla base dei vari contrasti interni ai gruppi (i cosiddetti movimenti antagonisti). Non lo sapevamo; ci siamo trovavamo lì, con notizie ricevute all'ultimo minuto. È un po' come avere a che fare con la stidda e la mafia, quindi due clan contrapposti e doverli separare. Per noi era anche così; dico noi ma sto parlando di chi poi realmente aveva la responsabilità dell'ordine del luogo. Sono d'accordo con lei: probabilmente si doveva condurre diversamente


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la gestione degli arrestati, anche da parte dell'amministrazione penitenziaria; però, ripeto, la logistica era tale e talmente difficile che, in quel momento (e devo dire anche adesso) non riuscivo, e non riesco, ad individuare una soluzione diversa o alternativa. Tale inconveniente, forse, lo si è scontato, in maniera un po' eccessiva, sulla pelle degli arrestati. Quindi, le ripeto, me ne vado da Bolzaneto, me ne vado da Genova con la convinzione che l'amministrazione penitenziaria abbia comunque svolto un buon lavoro; l'unico intoppo incontrato è stato quello avvenuto in relazione ad alcuni piantonamenti per problemi interni di personale (relativamente all'ospedale di San Martino) e anche perché la Polizia o i Carabinieri - adesso non ricordo - avevano portato degli arrestati anche al Galliera, ospedale che non avevamo previsto di dover presidiare. Ma quello è stato l'unico intoppo verificatosi.
Alla lettura di queste cose, mi sono stupito molto e, tuttavia, devo dire la verità, ho letto anche tante falsità; le violenze a Forte San Giuliano...
MARCO BOATO. Nessuno di noi ne ha parlato.
ALFONSO SABELLA. Sì, ma l'episodio del piercing, che io cito nella relazione, è avvenuto a Forte San Giuliano; io vi ho assistito personalmente ed ho visto il comandante, il responsabile della sicurezza che ha aiutato il personale intervenuto. Si è trattato, con le pinzette chirurgiche, di rimuovere il piercing a quel ragazzo. Era obiettivamente un anello di dimensioni tali per cui era pericolosissimo portarlo all'interno di un istituto di pena, ma assolutamente - io ho assistito con i miei occhi - non è stata provocata la minima abrasione né fatto alcun male al ragazzo. È stata una operazione svolta in maniera... ma questo è successo a Forte San Giuliano.


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Ho sentito veramente una serie di falsità sulle violenze. Per esempio, le prime testimonianze parlavano di persone che erano state costrette a farsi i bisogni addosso; ho girato nelle camere di sicurezza, almeno in quelle della polizia penitenziaria, a Bolzaneto: odori sgradevoli non ne ho mai sentiti. Avevo interpellato tutto il personale sanitario ma mai avevano trovato traccia di tutto ciò. Di falsità, purtroppo, in tutta questa storia, ne sono state dette tante per cui è anche comprensibile che, in una prima fase, io guardi più alle falsità ,che rilevo immediatamente. Nelle prime testimonianze del giornale la Repubblica si parlava di ciò, ma poi queste notizie sono scomparse dai giornali. Infatti, nessuno più risulta che sia stato costretto a farsi la pipì addosso, almeno in base a quanto si legge adesso. Io, però, sto procedendo in modo molto cauto e, infatti, adesso vi dico che qualche sospetto, qualche dubbio che, in concreto, episodi di violenza possano essersi verificati mi sta sorgedo: è del tutto normale, perché, lavorando, si capisce quale fatto sia verosimile. Tuttavia, finora, parlo di casi che restano a livello di verosimiglianza, perché anche per l'episodio del piercing strappato, in relazione al quale ho il nome ed il cognome di un soggetto attendibile che sarebbe stato testimone, ho una serie di elementi che mi inducono a prendere questo fatto con le «pinze». Ma è un problema che probabilmente l'autorità giudiziaria risolverà prima e meglio di me.
ANTONIO SODA. La prima domanda è quella specifica già posta al dottor Di Somma il 9 agosto scorso e riguarda una lettera a firma del dottor Sabella riguardante i rapporti tra autorità giudiziaria e istituti penitenziari, lettera al cui termine si fa riferimento ad un episodio inquietante, di cui vorremmo conoscere natura e contenuto. L'altra domanda riguarda un chiarimento su ciò che è stato da lei definito «vendetta


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personale»; anche in questo caso vorremmo conoscere natura, contenuto e riferimenti specifici, nonché il tempo che lei ha avuto per organizzare questi due siti succursali sui quali voglio fare una riflessione.
Credo che gran parte della requisitoria dell'onorevole Filippo Mancuso sia stata male indirizzata, perché quello che secondo la stampa è accaduto, quello che emerge dai primi accertamenti in corso e quello che emergerà dall'indagine dell'autorità giudiziaria ritengo sia riconducibile allo sciagurato decreto che porta la firma del ministro guardasigilli.
È vero che il decreto invoca gli articoli 59, 60, 61 e 66 dell'ordinamento penitenziario, ma quest'ultimo prevede l'istituzione di siti penitenziari, non di strutture «mostro». Tutto ciò che emerge dalla relazione ministeriale (la disorganizzazione, la confusione, i tempi - che sono arrivati alle 20 ore - le carenze, le attese, la mancanza delle celle, le soste nei corridoi, i ritardi nella formazione dei processi verbali di arresto per i pochi tradotti, perché sui 291 che sono transitati, 15 furono tradotti da una parte e 33 in un'altra) nasce dall'illusione che si possa istituire un sito penitenziario in una struttura che resta contemporaneamente «sala fermati» e «sala di polizia».
Ieri il questore di Genova ha sostenuto che quei ritardi, quella confusione e quel rallentamento sono derivati anche dal fatto che ad un certo momento le squadre della questura che operavano in quel luogo avevano accumulato tante ore di lavoro (dalle 7 di mattina al giorno dopo), per cui egli ha acconsentito alla richiesta di far smontare quattro squadre.
Tuttavia, la contropartita di tutto ciò è stato l'annullamento totale del diritto dei fermati e dei detenuti, non ad essere


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consegnati, in questo le faccio un rilievo, ad essere tradotti e messi a disposizione dell'autorità giudiziaria allo scadere della ventiquattresima ora.
Infatti, il codice di procedura penale dice «al più presto e non oltre»: per il legislatore al più presto è il termine che indica l'immediatezza e, se ci sono ragioni oggettive e apprezzabili, non possono quest'ultime superare il limite delle 24 ore. Ora l'aver pensato che si potesse garantire i diritti del fermato e del detenuto in una struttura mostruosa, nella quale è accaduto quello che viene descritto nella relazione ministeriale, denota una responsabilità politica di chi ha firmato questo sciagurato decreto.
Collega Mancuso, se è stato istituito un campo di concentramento, ciò è stato opera del ministro Castelli. Condivido l'affermazione del collega Mancuso, cioè che questi tipi di siti penitenziari sono - come affermava anche il collega Boato - fictiones iuris, in realtà campi di concentramento istituiti dal ministro guardasigilli del Governo in carica, che poi assicura che tutto è andato bene: allora credo che il collega Mancuso abbia sbagliato indirizzo.
Per ciò che concerne quelle domande specifiche che prima ho formulato, voglio chiederle se in questi giorni vi siete posti il problema vero delle incombenze delle forze di Polizia, degli agenti e gli ufficiali di Polizia giudiziaria che procedevano all'arresto, e cioè, che in un sito penitenziario vengono svolte le attività di polizia giudiziaria.
Ritengo che fosse immaginabile che se gli arresti arrivavano a ondate avrebbero determinato quelle disfunzioni che si sono poi verificate. Allora chiedo, giacché la responsabilità dell'istituzione politica è del ministro, se a quest'ultimo sia stato fatto presente che lo sviluppo di questa articolazione di una succursale di siti carcerari, con quella frammistione di funzioni,


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avrebbe finito con l'annullare determinate fondamentali garanzie, che non sono del nostro codice, ma appartengono ai diritti fondamentali della Carta dell'ONU.
Infatti, di questo siamo stati rimproverati come paese, di questi fatti più che di altri la stampa internazionale ci ha accusati. Allora una riflessione non è stata fatta dal ministro che allegramente firma un decreto che pensa di istituire un sito penitenziario e, in realtà, istituisce un «mostro» che è fuorilegge, perché la legge non dice che nella stessa struttura devono coesistere i carabinieri, la polizia giudiziaria, il questore, il funzionario di P.S., gli ufficiali di polizia giudiziaria, il direttore penitenziario e via dicendo.
È stata rappresentata al ministro questa realtà così come si determinava ?
Tutto il resto viene da questa sciagurata decisione e su questo punto vorrei che mi si chiarisse come essa sia nata, non dal punto di vista delle esigenze dell'ordine pubblico perché questo l'hanno spiegato il questore, il capo della Polizia, il generale dei Carabinieri, con l'assalto a Marassi, con la sua insicurezza e con la traduzione in altre parti; inoltre le stesse traduzioni sono state modestissime: io ne sono a conoscenza di un numero limitato, anche perché i soggetti venivano scarcerati quasi tutti immediatamente.
ALFONSO SABELLA. Per quanto concerne la lettera in cui faccio riferimento all'episodio inquietante, che all'epoca ho preferito non spiegare - non mi ricordo se sia la lettera diretta anche all'autorità giudiziaria - ricordo che il 19 luglio era stata tratta in arresto, credo dalla Polizia, una ragazza trovata in possesso di armi e di mazze ferrate e la stessa stava per essere condotta a Bolzaneto. Io ero nella sala operativa perché stavamo testando un po' di apparecchiature al carcere di Ponte Decimo e il direttore dell'istituto stesso - ovviamente, su tutta


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questa vicenda c'è una relazione di servizio - mi disse di aver ricevuto una telefonata di un magistrato, di cui non ricordo il nome, che forniva il suo assenso al trasferimento della ragazza ad Alessandria. Fino a quel punto noi avevamo cercato di mantenere riservati gli istituti dove avremmo tradotto gli arrestati. Il direttore del carcere di Ponte Decimo, dottor Comparone, capì che quella non era la voce del magistrato, che egli conosce personalmente, e richiamandolo ne ebbe la conferma dallo stesso. Questo fu un episodio che ci sconsigliò di iniziare le procedure su Bolzaneto e, soprattutto, ritenni opportuno fare una doppia verifica delle comunicazioni che arrivavano dall'autorità giudiziaria.
Ovviamente, si è trattato di un episodio che io tenni nascosto anche al personale, per evitare di alzare la tensione del momento, tuttavia fui costretto ad inoltrare questa nota invitando ad una maggiore cautela, mi pare istituendo un doppio controllo in relazione alle comunicazioni da e per l'autorità giudiziaria. Per quanto riguarda le vendette personali, mi dispiace di aver utilizzato quel termine poiché sono abbastanza impulsivo e poi me ne pento: comunque, ritengo che si tratti di un termine esatto.
Purtroppo, in questa fase, ci sono tutti quelli che hanno ragione dopo, ovviamente, ma questo è assolutamente normale e comprensibile. Il problema è che molti stanno approfittando - anche, purtroppo, all'interno dell'Amministrazione penitenziaria - di questo momento di debolezza, di esposizione dell'amministrazione per consumare tutta una serie di piccole «vendette» personali. Mi riferisco ad esempio (ma non solo) all'articolo pubblicato da Panorama, in edicola in questi giorni, in cui si parla di un falso clamoroso, che è una relazione di servizio datata 20 luglio - quando l'episodio può essere avvenuto solo il 23, perché il 20 non c'erano detenuti al


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carcere di San Martino - in cui un ispettore di polizia penitenziaria approfitta dell'occasione per vendicarsi di un altro ispettore che un anno prima aveva effettuato una perquisizione. Sono piccolezze, ma alla fine, chi non conosce i fatti, le prende per oro colato e l'opinione pubblica si convince di qualcosa che, invece, ha tutt'altra spiegazione.
L'attacco è, secondo me, eccessivo in questa fase, prima di conoscere i dati del professor Ceraudo in danno dei medici. Mi risulta, infatti, che sarebbe indagata una dottoressa (ma lui è l'unico che lo dice e forse è proprio quella dottoressa che qualche tempo fa revocò la tessera dell'AMAPI) che è stata quella che ho chiamato all'ultimo minuto a sostituire il segretario nazionale dell'AMAPI che giunto a Genova, incaricato di andare a Bolzaneto, preferì andarsene per ragioni che poco hanno a che vedere con il giuramento di Ippocrate: mere questioni economiche (erano pochi i soldi). A questo punto, si approfitta del momento di debolezza per gettare fango, perché tanto il costume della mia amministrazione - così rispondo anche alla domanda dell'onorevole Boato, a cui mi ero dimenticato di rispondere - è purtroppo di tacere e far sì che i panni sporchi si lavino in famiglia (salvo poi approfittare dell'occasione).
All'interno dell'Amministrazione penitenziaria - legittimamente o illegittimamente - vi è un gruppo di persone contrario al gruppo operativo mobile, per tutta una serie di motivi come le missioni, il trattamento migliore riservato al personale, un certo atteggiamento che infastidisce (sono problemi di cui attualmente si discute). Tuttavia si approfitta di questo momento per sparare dall'interno dell'amministrazione contro il GOM, per attribuirgli compiti che in questa fase non aveva, e, quindi, per scaricare grosse responsabilità (non è escluso che le abbia, ma non gli si possono addebitare a


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priori). È un momento in cui tutti approfittano per consumare vendette personali. Non voglio entrare in polemica con il sindacato degli ispettori penitenziari, ma tutto ciò mi sembra veramente fuori luogo, su questo escono le notizie Ansa e su questo si creano le convinzioni.
Si è detto che vi sono state poche traduzioni. In realtà, per quel che mi riguarda, a parte i soggetti non immatricolabili in quanto ricoverati in ospedale (e poi eventualmente scarcerati direttamente in ospedale), tutti gli arrestati - 222 a Bolzaneto e 57 a Forte San Giuliano - sono stati tradotti. Quindi, le traduzioni hanno proceduto a pieno ritmo; forse il problema riguardava gruppi di traduzioni, quando, per esempio, si aspettava di riempire un pullman da 16 posti con 16 detenuti prima di partire. Forse da questo potrebbe essere nato l'equivoco.
Per quanto riguarda l'istituzione di siti penitenziari, si tratta ovviamente di una scelta che è stata fatta prima che io ricevessi questo incarico. Fino al 27 giugno non sapevo neanche che ci dovesse essere il G8 in Italia (l'avevo letto sulla stampa, ma non sapevo altro; nei miei ricordi ero rimasto al G7). Il 28 giugno ricevo l'incarico di coordinamento, anche per creare un punto di riferimento. Il ministro della giustizia non ha scelto di istituire una succursale penitenziaria che prevedesse Polizia e Carabinieri tutti insieme. L'amministrazione penitenziaria - poi il ministro della giustizia ha avallato questa scelta - aveva chiesto alla Polizia e ai Carabinieri dei locali dove potere andare a prendere direttamente gli arrestati. Per esempio, il carcere di Forte San Giuliano logisticamente era in una situazione peggiore rispetto a quello di Bolzaneto, ma Bolzaneto aveva le physique du rôle del lager, sarete d'accordo su questo: una struttura lunga, grigia, con le camere di sicurezza, ma sul piano dell'organizzazione era di gran


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lunga superiore a Forte San Giuliano, dove gli arrestati - li ho visti io - erano seduti per terra lungo i corridoi. Il personale era ammassatissimo, tanto che ho disposto per il personale di polizia penitenziaria, che teoricamente doveva prestare servizio all'interno del carcere, di non uscire su quel corridoio; Bolzaneto era oggettivamente migliore. Probabilmente l'amministrazione non si è posta il problema di una commistione che potesse creare situazioni di questo tipo, tanto che a Forte San Giuliano questa commistione è stata molto più forte, ma non si è verificato nulla di tutto ciò. Io non so perché a Bolzaneto sì e a Forte San Giuliano no. Potrei dire perché a Forte San Giuliano c'ero io, mentre a Bolzaneto no, ma non credo che questa possa essere una chiave di lettura.
Bisogna accertare ancora che a Bolzaneto sia realmente accaduto quello che si dice. Per quel che mi riguarda, quando avremo accertato i fatti, chi deve pagare pagherà.
Per quanto riguarda la scelta di istituire un monstrum di questo tipo, il ministro non aveva questo potere, coinvolgendo Polizia e Carabinieri, perché erano cose che non lo riguardavano. Il ministro ha semplicemente creato una fictio giuridica al fine di consentire... - ha ovviamente avallato e condiviso questo piano di intervento.
ANTONIO SODA. Quando avete accertato che era un sito penitenziario e restava caserma e sala fermati e polizia giudiziaria, non vi siete posti il problema della legittimità di questo oggetto? In un carcere non circolano polizia, carabinieri, funzionari, eccetera...
ALFONSO SABELLA. L'amministrazione penitenziaria aveva lì una sua piccola struttura, dove c'era il minimo indispensabile per immatricolare e tradurre, ma che non era coinvolta in tutte le altre operazioni. Il resto della struttura era


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della Polizia: c'era la palestra per il foto-segnalamento, le camere di sicurezza. Probabilmente, le ripeto, con il senno di poi - ma non con il senno del 23 luglio, a vertice concluso, ma col senno del 26, quando venimmo per la prima volta a conoscenza di questi fatti - direi che avremmo dovuto separare le cose, perché quando la struttura è stata solo nostra...
ANTONIO SODA. La legge impone che vi siano siti separati!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei non può sfogare il suo dissenso nei confronti della persona che stiamo ascoltando. La sua domanda è chiarissima, ma credo che uno sfogo ulteriore non serva, neanche alla serenità della persona che stiamo ascoltando.
ALFONSO SABELLA. Giusto per completezza: nelle previsioni, quello non doveva essere un locale di detenzione. Può darsi che il piano fosse sbagliato, che vi fossero mille soluzioni migliori rispetto alla scelta adottata (che comunque è stata una scelta dell'amministrazione), ma quello non doveva essere un luogo di detenzione. Doveva essere piuttosto un luogo di transito per il tempo necessario all'immatricolazione e alle formalità per la traduzione. L'infermeria è sorta dopo, quando si è deciso di non restare scoperti di fronte ad eventuali problemi.
ANTONIO SODA. Dottor Sabella, vorrei che rimanesse agli atti che il decreto stabilisce che quei luoghi sono istituiti e utilizzati a fini detentivi, perché solo in tal modo si legittima il potere del ministro di istituire un sito penitenziario...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Soda, ma noi qui non dobbiamo fare una causa.


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ANTONIO SODA. Io non voglio fare una causa!
PRESIDENTE. Lei ha indicato un documento e le è stato detto cosa ha riscontrato, al riguardo, la persona audita...
ANTONIO SODA. Presidente, ho soltanto replicato quando il dottor Sabella ha affermato: «ma non era a fini detentivi», che il decreto è legittimo in quanto istituisce un sito a fini detentivi!
PRESIDENTE. Il dottor Sabella ha anche spiegato, utilizzando un termine già adoperato dal collega Boato, che si tratta di una fictio iuris.
ALFONSO SABELLA. Non era un area di detenzione; infatti, era stata istituita a fini detentivi quale succursale dell'area sanitaria e dell'aria matricola: gli istituti sono divisi per diverse aree.
ANTONIO SODA. Va bene, ma sempre di istituto penitenziario si tratta!
ALFONSO SABELLA. Ma formalmente doveva esserlo.
PRESIDENTE. Abbiate pazienza, continuerete questa discussione dopo; adesso dobbiamo andare avanti.
ANTONIO DEL PENNINO. La mia domanda si ricollega ad alcune considerazioni fatte in precedenza dal collega Petrini e fa riferimento anche alle risposte che ha dato ed alle precisazioni che ha fatto in relazione a quanto è affermato nella relazione del dottor Montanaro, nella quale si parla di tredici persone che non risultano refertate. Lei ha fatto presente che queste persone potevano risultare non refertate in quanto non erano state arrestate e quindi non erano state


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nemmeno immatricolate. Nella relazione del dottor Montanaro, invece, si parla esplicitamente, per ognuna di queste persone, di «arrestati». Inoltre, lei ha dichiarato che la consegna alla polizia penitenziaria dei singoli arrestati è avvenuta, di norma, alle 22 della domenica. Siccome credo che, al di là delle dichiarazioni di principio o delle affermazioni da comizio, in questa sede dobbiamo cercare di accertare i fatti...
ANTONIO SODA. Non ti autorizzo a dire che sono comizi!
ANTONIO DEL PENNINO. Lo faccio, invece, perché quando fai un'affermazione...
ANTONIO SODA. Sono questioni costituzionali di libertà! Hai capito?
ANTONIO DEL PENNINO. Quando fai un'affermazione di responsabilità rispetto a quello che ha detto Mancuso, allora...
FABRIZIO CICCHITTO. Smettila, Soda!
ANTONIO SODA.È una questione di libertà! E questo vale anche per te (Commenti del deputato Cicchitto)!
ANTONIO DEL PENNINO. Lasciami finire!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, per cortesia!
ANTONIO SODA. Non è un comizio il mio: c'è un problema di costituzionalità e di libertà!
PRESIDENTE. Sì, onorevole Soda, però lei deve far parlare gli altri; parlerà dopo per fatto personale.
ANTONIO SODA. Questa è la prima grande responsabilità politica!


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PRESIDENTE. Ho capito, onorevole Soda, questo è il suo pensiero e noi lo rispettiamo, però deve far finire degli altri.
ANTONIO SODA. E non lo deve definire un comizio! C'è un problema di responsabilità politica!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei non può permettersi di interrompere gli altri!
ANTONIO SODA. Sarei stato zitto.
PRESIDENTE. Ci mancherebbe: lei deve stare zitto!
ANTONIO SODA. Certo che sto zitto, ma invito anche il senatore Del Pennino a non fare provocazioni.
ANTONIO DEL PENNINO. Per cercare di accertare i dati concreti e di verificare le affermazioni contenute in documenti che ci sono stati consegnati rispetto ad altre ipotesi che sono state affacciate in questa seduta, le faccio una domanda precisa alla quale, forse, non è in grado di dare immediatamente risposta; credo, comunque, che, in tal caso, la cortesia del presidente consentirà che ce la possa trasmettere eventualmente in una successiva fase. Nell'indicazione dell'ispettore Montanaro...
PRESIDENTE. Senatore Del Pennino, poiché è quasi scaduto il tempo a sua disposizione, la inviterei a formulare subito la domanda.
ANTONIO DEL PENNINO. ... si indicano i nomi di Jonathan Blair, Kutzkau Anna Julia, Francisco Javier, Mac Callan Daniel, De Munno Alfonso, Sciaccaluga Enrico, Fornasier Evandro, Sesma Adolfo, Llorente Garcia, Kirsten Wagenshein, Lupi Bruno, Ferrazzi Fabrizio e Amodio Massimiliano, i quali,


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ad eccezione di Francisco Javier Samperiz, non figurano refertati (in atti). La mia domanda è la seguente: con riferimento a questi 13 casi, che vengono indicati come non refertati nella relazione dell'ispettore e che sono stati indicati come persone nei cui confronti sarebbero stati consumati atti di violenza, le risulta, invece, con certezza, che vi sono i referti dal momento che nel rapporto se ne parla come persone arrestate? Seconda domanda: a che ora queste persone sono state consegnate alla polizia penitenziaria dai carabinieri o dalla polizia o da chi aveva proceduto all'arresto? Anche questo è un elemento che ci consentirebbe di aggiungere un altro tassello di verità.
ALFONSO SABELLA. Posso fornirvi immediatamente - perché ho con me gli atti, non perché abbia tutti i referti medici - i fascicoli personali, formati per ragioni di ordine sistematico, riferiti ai soggetti che hanno denunciato di avere subito violenze. Sciaccaluga, comunque - vado a memoria - lo ripeto, non mi risulta essere stato arrestato: era uno dei tre che avevano fatto le prime dichiarazioni su la Repubblica, ma non mi risulta che sia stato arrestato; quindi se lì è indicato così, a me non risulta... Ho qui i referti di De Munno, di un arrestato tedesco, Wagenshein, di un'altra ragazza tedesca, Anna Julia Kutzkau, Amodio, Fornasier - di Salemme non aveva chiesto -, Ferrazzi, Lupi, Sesma e Llorente. Vorrei portare ad esempio anche il caso di quella ragazza tedesca a cui è stata sfondata l'arcata dentale superiore: è stato scritto sui giornali che non vi era referto medico; a tale proposito, però, debbo precisare che si è verificata una cosa un po' strana, perché c'era stato uno strano collage: chi aveva messo insieme le carte aveva confuso la Kirsten con un'altra ragazza, per cui non risultava redatto il referto medico, mentre esistono referti per entrambe, redatti sia a Bolzaneto che al momento


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dell'ingresso in istituto. I referti ci sono per tutti i soggetti che ho appena elencato. Ovviamente, si tratta di atti che deteniamo come amministrazione penitenziaria e che presentano aspetti di delicatezza per quanto riguarda la tutela della privacy dei soggetti interessati. Credo, pertanto, che senza il consenso degli interessati in questa fase... Comunque, non ho problemi a consegnarli al Comitato.
MARCO BOATO. Potremmo considerarli riservati.
ALFONSO SABELLA. Ecco, purché vengano mantenuti riservati, appunto. L'unico per cui dispongo di un unico referto - non ho quello redatto dal carcere, ma si tratta di un disguido - è Lupi perché ho formato personalmente il fascicolo ieri sera e non ho avuto il tempo di inserirlo; non sapevo dove andare a cercarlo ed ho soltanto quello redatto al momento dell'arresto.
Per quanto riguarda gli orari di arresto, posso consegnare un tabulato, che credo però sia già stato consegnato dal dottor Di Somma, nel quale sono registrati gli orari di arresto. Credo vi siano delle imprecisioni ma si tratta veramente soltanto di piccoli errori; sto facendo effettuare delle verifiche e sarà mia cura trasmettervene uno senza errori.
Nei fascicoli che vi sono stati consegnati vi sono anche le foto dalle quali si evincono le lesioni riportate. In ogni caso, se occorrono soltanto i referti medici posso lasciarveli e provvedere poi a procurarmi delle nuove fotocopie.
PRESIDENTE. Si tratta di 10 cartelle riferite a 10 soggetti diversi. Prego gli uffici di predisporre la riproduzione. Si tratta di materiale riservato.
GIANCLAUDIO BRESSA. Dottor Sabella, nella sua sintetica relazione lei è arrivato ad una conclusione secondo cui, in


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qualche modo, tutto era andato tranquillamente. Rispondendo alle domande che le sono state poste, però, molti di questi aspetti di tranquillità sono venuti meno. Approfitterei della sua cortesia per avere qualche chiarimento rispetto ad alcune dichiarazioni da lei rilasciate alla stampa, sempre con il beneficio di inventario che la stampa abbia riportato fedelmente ciò che lei ha detto, al fine di avere un quadro più completo.
Il 30 luglio lei rilasciava la seguente dichiarazione: «le violenze ci sono state, i referti medici parlano chiaro ma di certo a commetterli non sono stati gli agenti del DAP». È una nota dell'Ansa riportata da La Stampa del 30 luglio 2001. Sempre il 30 luglio un altro giornale, nella fattispecie l'Unità, riporta: il magistrato Sabella si domanda perché non si parla di Forte San Giuliano e dice: «A Forte San Giuliano i carabinieri prendevano ordini dal capitano del nucleo operativo e dal colonnello Tesser, c'era anche il vicepresidente del Consiglio, Fini e tutta la giornata di sabato è stato lì».
Credo che sarebbe utile, al fine di ottenere un quadro più completo, che lei chiarisse esattamente il senso di queste sue dichiarazioni che, in qualche modo, sembrerebbero non essere perfettamente in linea con le conclusioni di assoluta tranquillità che la sua relazione - anche se sintetica e poi maggiormente approfondita - ci ha dato modo di capire e conoscere.
ALFONSO SABELLA. Premetto che, per quanto riguarda l'intervista a l'Unità, l'indomani ho inviato una lettera in cui ho dichiarato che quell'intervista, obiettivamente, non riproduceva il mio pensiero. Tale lettera, ho poi saputo, anche se non ho avuto il tempo di leggerla, è stata pubblicata dal giornale e mi sono augurato che la giornalista che mi aveva sentito avesse registrato la nostra conversazione perché ha riportato un pensiero completamente diverso dal mio. Al di là


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di ciò, credo che il dato sia, tutto sommato, irrilevante.
Quanto all'altra notizia mi sembra semplicemente un titolo probabilmente volto ....
GIANCLAUDIO BRESSA. Riportava un testo virgolettato...!
ALFONSO SABELLA. Non so se qualcuno ha virgolettato la frase «le violenze ci sono state» ma probabilmente la domanda che mi era stata posta - vado a memoria - era se i manifestanti riportassero lesioni e obiettivamente i manifestanti riportavano delle lesioni; la stragrande maggioranza dei manifestanti giunti a Bolzaneto, ed anche qualcuno che ho visto a Forte San Giuliano, presentava ecchimosi e lesioni piuttosto vistose che non possono sfuggire neanche ad un occhio non esperto e non professionale quale il mio.
Per quanto riguarda l'articolo pubblicato da l'Unità, forse mi è stato chiesto chi c'era e chi non c'era nei vari posti ed io avrò detto chi c'era a Forte San Giuliano. Della visita del vicepresidente del Consiglio aveva parlato l'Ansa: non sono stato io a dirlo, era un fatto su cui erano state pubblicate delle agenzie di stampa.
ERMINIA MAZZONI. Dottor Sabella vorrei farle tre domande rapidissime, vista anche l'ora, e le chiederei la cortesia di rispondere in maniera sintetica e chiara perché, secondo la mia opinione, sono emersi dubbi a seguito di un dibattito un po' troppo ampio che si è svolto in quest'aula.
Vorrei sapere se le strutture di cui si parla - lei lo ha ripetuto nel corso del dibattito e forse in un eccesso di zelo ha aggiunto elementi che poi, almeno per quanto mi riguarda, hanno confuso il risultato finale - erano strutture detentive o meno.


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Mi sembra che lei abbia detto che non si trattava di strutture detentive ma soltanto di strutture vocate all'adempimento delle prime fasi che seguono ad un arresto.
La seconda questione che vorrei chiarire è se lei ritenga che, in base alla sua esperienza, in un caso simile, a fronte di eventi di questo genere, una struttura di primo accoglimento, come mi sembra siano le strutture di cui si parla, sia necessaria per tradurre i soggetti arrestati verso le strutture penitenziarie oppure si poteva evitare l'individuazione di tali siti per lo svolgimento di questi adempimenti?
L'ultima domanda: vista che si è fatta una questione di tempistica, visto che il ministro Castelli ha emanato questo provvedimento solo il 12 luglio, vorrei sapere se, secondo lei, si tratti di una fantasia del ministro Castelli, che poteva essere evitata, o se sarebbe stato necessario provvedere già prima, in tempi precedenti, nella fase organizzativa di una simile manifestazione, ad individuare dei siti ed a strutturarli organicamente con i tempi e le modalità giuste per poter svolgere questi adempimenti.
ALFONSO SABELLA. Devo rispondere che si trattava di una struttura detentiva senza aree destinate alla detenzione, perché, sostanzialmente, di questo si tratta: formalmente era una struttura detentiva ma ivi erano stati istituiti, semplicemente, un ufficio matricola ed un infermeria. Dunque questa è la risposta: struttura detentiva senza aree destinate alla detenzione. Poi, in realtà, qualche momento di detenzione - anche se non si trattava di vera e propria detenzione - c'è stato ma non avrebbe dovuto esserci, per lo meno così lungo.
Col senno di poi, ci chiediamo se sia stata o meno la scelta migliore. Questo sinceramente non saprei dirlo. Non sono state scelte adottate da me e quindi difenderle o meno sembrerebbe poco corretto da parte mia. Mi chiedo però - se è vero quanto


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riportato dai giornali circa le violenze che sarebbero state commesse all'interno di queste strutture - se sarebbe cambiato qualcosa se non ci fosse stata la polizia penitenziaria. Questa è una domanda che forse dovremmo porci.
Per quanto riguarda la decisione di adottare questa soluzione, cioè di ricorrere all'utilizzo di un sito penitenziario, debbo ribadire ciò che ho detto all'inizio: noi, come amministrazione - per quanto ho saputo, poiché io non ho partecipato a questa prima fase - siamo stati interessati abbastanza tardi (credo si tratti dei primi di giugno). In quel momento vi è stato un susseguirsi di opinioni ed interpretazioni sul da farsi; lo scopo era di partecipare alle operazioni del G8 per agevolare le forze di polizia nella traduzione degli arrestati. In realtà l'amministrazione penitenziaria è entrata nella vicenda soltanto perché all'inizio si parlava di consentire la realizzazione della cittadella del movimento antagonista delle tute bianche e dei no global in generale accanto al carcere di Marassi, cosa che sarebbe stata altamente deleteria. Questo discorso, per quanto ho saputo (non mi risulta direttamente) è stato fatto presente da Paolo Mancuso, all'epoca capo del dipartimento facente funzioni, al Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica e da qui è nato, in qualche modo, il coinvolgimento dell'amministrazione penitenziaria. Si è cercato di trovare una soluzione che consentisse di assumere formalmente i detenuti e di agevolare le forze di polizia traducendoli. Il problema era il seguente: la polizia penitenziaria non può tradurre detenuti che non siano ancora tali, che, cioè, non siano stati immatricolati. Pertanto è stata fatta questa scelta. Si è parlato anche di mettere una nave al largo e di portare i detenuti lì per poi tradurli in carcere. Le idee sono state molte, ma alla fine si è pensato che questa fosse la soluzione più equilibrata possibile anche


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perché, per quanto riguardava l'amministrazione penitenziaria, queste operazioni avrebbero dovuto durare pochissime ore e concludersi nel tempo necessario a registrare i dati anagrafici, effettuare la visita medica di primo ingresso e la traduzione.
Comunque ripeto la domanda: se a Bolzaneto non ci fosse stata la polizia penitenziaria, sarebbe cambiato qualcosa? Questo è ciò che dobbiamo chiederci con la premessa che è necessario accertare ciò che realmente è accaduto, perché di falsi palesi ne abbiamo letti molti.
IDA DENTAMARO. Dottor Sabella, le chiedo di dirci tutto quello che sa relativamente alla visita del ministro Castelli a Bolzaneto, ogni dettaglio a sua conoscenza. Questa visita è stata preannunciata e da chi? Come è stata organizzata? Come si è svolta? Il ministro con chi ha parlato? E se ha parlato, che cosa ha detto? Su questa visita e sulla visita del vicepresidente del Consiglio dei ministri Fini a Forte San Giuliano vorrei sapere tutto.
Lei ritiene che queste visite siano da considerarsi normali in circostanze così delicate? Ci sono dei precedenti? Mi pare di ricordare - anche questa è una domanda - che la visita del ministro Castelli è avvenuta qualche momento o un'ora prima - ce lo dica lei con più precisione - che arrivassero gli arrestati della scuola Diaz, sostanzialmente nottetempo.
ALFONSO SABELLA. Per quanto riguarda la visita del ministro Castelli, posso dire che il sabato in tarda serata abbiamo ricevuto una telefonata con la quale il ministro rappresentava la volontà di portare la sua solidarietà al personale del Marassi che il giorno precedente aveva subito un assalto da parte di alcuni manifestanti.


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L'appuntamento era stato fissato a mezzanotte davanti al carcere di Marassi; il ministro lo ha visitato - non sono in grado di sapere da dove arrivasse -, ha anche avuto modo di incontrare del personale, che gli ha esposto alcune lamentele ed ha fatto un giro per Genova. Noi l'abbiamo informato che in quel momento era impegnato del personale di polizia penitenziaria che non lavorava da tanto tempo: era un problema di equilibrio. C'era il personale di Marassi che era intervenuto per contrastare l'assalto al carcere e comunque aveva lavorato rispettando i turni di servizio di sei od otto ore, a seconda dei casi. A Bolzaneto c'era invece personale di polizia penitenziaria che ormai stava lavorando da dodici, quattordici, sedici, diciotto ore. È stata quindi segnalata al ministro l'opportunità di dare un segno di solidarietà al personale.
IDA DENTAMARO. Da chi?
ALFONSO SABELLA. Da me! Confesso, l'ho fatto io. Il ministro ha aderito alla proposta ed ha fatto un giro per Genova; voleva approfittare di questa occasione per vedere un po' che cosa era successo alla città: credo che questa fosse una legittima curiosità. Intorno all'1,30 è arrivato a Marassi, siamo arrivati praticamente insieme...
MARCO BOATO. A Bolzaneto!
ALFONSO SABELLA. Sì, scusate, a Bolzaneto. Di una visita preannunciata del ministro non sono a conoscenza; posso semplicemente dirvi che ricordo che i medici non avevano avuto nemmeno il tempo di togliersi i guanti; qualcuno di loro c'è rimasto male perché non è riuscito nemmeno a stringere


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la mano al ministro. Questo è quanto ricordo della visita del ministro Castelli. Posso anche dire che in quel momento a Bolzaneto le camere di sicurezza venivano controllate dai carabinieri. Il ministro non era stato addirittura riconosciuto, tant'è vero che quando è stato chiesto il permesso al funzionario della...
GIANCLAUDIO BRESSA. Non è stato immatricolato (Si ride)?
ALFONSO SABELLA. No, non è stato immatricolato... Il ministro voleva visitare un po' il sito e vedendo dei ragazzi con le mani appoggiate al muro ci ha chiesto perché si trovassero in quella posizione. Dall'ispettore responsabile gli è stato spiegato il perché fosse stata effettuata quella scelta.
Quando il ministro ha espresso la volontà di visitare la seconda parte della struttura, i carabinieri gli si sono fatti incontro e soltanto dopo essersi assicurati della sua identità lo hanno fatto passare. Comunque nella seconda parte della struttura abbiamo percorso solo tre o quattro metri. Questo è ciò che io ricordo della visita...
MARCO BOATO. Si è rivolto anche ai detenuti?
ALFONSO SABELLA. No, ha visto un arrestato in matricola.
MARCO BOATO. Ho detto se ha parlato, si è rivolto in qualche modo ai detenuti?
ALFONSO SABELLA. Credo che abbia scambiato una battuta con l'arrestato che in quel momento stavano immatricolando ma non ne ricordo il tenore, forse qualcosa del tipo: «Come mai sei venuto a Genova, che cosa sei venuto a fare?» Niente di particolarmente rilevante.


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IDA DENTAMARO. Le chiedevo se ha parlato con gli agenti e, a proposito della Diaz...
ALFONSO SABELLA. Con gli agenti ha parlato.
IDA DENTAMARO. A che ora sono arrivati gli arrestati della scuola Diaz?
ALFONSO SABELLA. Non lo so perché ero andato via, per cui noi non abbiamo un dato ufficiale relativo all'arrivo degli arrestati a Bolzaneto. I ragazzi che erano presenti mi hanno detto che sarebbero arrivati dalle tre in poi, dalle due e mezza in poi. Questo è quanto è avvenuto. Su Bolzaneto non abbiamo in nessun caso un dato ufficiale relativo all'arrivo degli arrestati. Siamo in possesso del dato ufficiale relativo all'ora di relazione e notifica del verbale di arresto e all'ora di consegna all'amministrazione penitenziaria.
IDA DENTAMARO. Ho chiesto anche del vicepresidente del Consiglio Fini e se vi sono dei precedenti...
ALFONSO SABELLA. Credo che tutti i ministri abbiano diversi precedenti di visita all'interno degli istituti penitenziari. Ecco, non c'erano precedenti relativi ad un sito penitenziario, quindi non ci sono precedenti di visite di ministri...
IDA DENTAMARO. Le circostanze non erano quelle di una visita ordinaria.
ALFONSO SABELLA. Il ministro era venuto in visita a Marassi; devo dire la verità: sono stato proprio io ad invitarlo anche sollecitato dai generali Ricci e Mattiello. Ho pensato di dare un po' di soddisfazione al personale che stava lavorando lì, così ho chiamato il ministro.


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Per quanto riguarda il vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, ricordo d'averlo visto all'interno della sala operativa dei carabinieri di Forte San Giuliano.
IDA DENTAMARO. Ma non in quella struttura.
ALFONSO SABELLA. È entrato per recarsi in mensa, dove ricordo di averlo visto mangiare assieme ad i carabinieri. Si passava da un androne da cui verso sinistra si andava alla struttura - per così dire, ma si trattava di tre o quattro stanzette -, mentre verso destra ci si recava in mensa. Nella sala operativa l'ho notato durante il pomeriggio; tra l'altro, devo dire la verità, era un momento in cui da Forte San Giuliano non si poteva né entrare né uscire perché c'erano manifestazioni sia sotto che sopra.
IDA DENTAMARO. Non nella zona riservata alle aree di competenza dell'amministrazione penitenziaria?
ALFONSO SABELLA. Niente assolutamente, io non l'ho nemmeno salutato.
GRAZIELLA MASCIA. Molte cose sono già state dette, le risposte hanno chiarito anche alcuni aspetti. C'è un punto che secondo me rimane aperto; lei insiste nel dire: «La relazione è nostra, l'indagine è nostra»; comunque gli accertamenti definiranno le responsabilità individuali. Credo che ognuno di noi sia interessato anche a questo, ma sia interessato più ad altro e cioè a capire perché siano successi questi fatti. Anche se non ci fossero stati abusi individuali, rimane il fatto che quella struttura, di per sé, avrebbe prodotto degli abusi perché le condizioni erano tali per cui le ore erano quelle di cui abbiamo discusso.


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Io sono andata a guardare l'elenco degli arrestati che ci è stato fornito dal dottor Di Somma - uno dei tanti: questo naturalmente riguarda gli avvenimenti alla scuola Diaz - nel quale si dice che uno di essi è arrivato alle 3 di notte, è stato preso in consegna alle 22,05 del giorno dopo - cioè dalla domenica -, il 23, alle 10,30, è andato all'ospedale Sampierdarena e poi al carcere di Pavia. È andato all'ospedale il lunedì, quindi penso che i dati siano da analizzare, oltre naturalmente agli abusi e le denunce che sono state fatte. Il problema è capire cos'è che non va.
Il ministro Castelli ha firmato un decreto per la costituzione di questi siti, che siti non erano; siccome il dottor Di Somma, quando è stato audito, ci ha detto che avevate discusso di questo piano pensando a cinquecento, mille arresti, mi chiedo come si faccia a ritenere che cinquecento, mille arresti - che la cosa riguardasse voi o gli altri funzionari che erano lì dentro - potessero essere velocemente agiti in una struttura come questa. Penso che questa sia la responsabilità di fondo e ognuno dovrà rispondere della propria, fermo restando quello che diceva il collega Boato, e cioè che se lì si fossero verificati abusi da parte di altri livelli istituzionali voi, nel caso ne foste stati testimoni, avreste avuto il dovere di segnalarli. Qualche accenno è stato fatto. Comunque ancora non ho capito chi ha la responsabilità di questo piano, le chiedo quindi di aiutarmi.
Se vogliamo completare il quadro delle persone che sono state arrestate - ho letto che la Guardia di Finanza li ha trattenuti anche alla Fiera del mare prima di portarli a Bolzaneto, facendo subire loro un iter infinito, durato ore ed ore - le chiedo anche se può aiutarci a ricostruire l'iter di tutti gli arrestati. Ho letto l'elenco che ci è stato fornito che, come lei già anticipava, è assolutamente impreciso sugli orari (non


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so se l'elenco è giusto ma è l'unico che ho trovato nelle carte secretate che ci sono state lasciate), perché se sono persone che ho visto a San Martino, sono state segnalate, come Galliera. Le chiederei una verifica e la possibilità della ricostruzione di un iter completo di tutte le persone arrestate.
ALFONSO SABELLA. Si riferisce a questo elenco?
GRAZIELLA MASCIA. Sì.
ALFONSO SABELLA. Se è un tabulato predisposto fuori dell'amministrazione penitenziaria dovrebbe essere uguale. C'è qualche piccola imprecisione ma non ci sono grandi errori, potrebbero esserci 1 o 2 dati sbagliati, ma andrebbe rivisto. Questo tabulato è tratto ovviamente da tutta la documentazione.
GRAZIELLA MASCIA. È l'unico che avete?
ALFONSO SABELLA. Ne ho un altro, che sostanzialmente riprende gli stessi dati. Per quanto riguarda questa scelta, non so dire chi l'abbia adottata. So semplicemente che era stata fatta la scelta del sito penitenziario e di agire in un determinato modo; ripeto, non so se sia la scelta migliore o peggiore. Il discorso però è che, nella normalità l'arrestato, quando viene trattenuto dalle forze di polizia, prima di essere portato in istituto, può - anche se la legge dice ...
GRAZIELLA MASCIA. È la condizione in sé...
ALFONSO SABELLA. La condizione è quella normale della camera di sicurezza di una questura o di un commissariato, non cambia molto: è resa diversa dalla presenza di un maggior numero di persone, ma è la normale situazione delle camere


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di sicurezza che si trovano in tutte le questure, i commissariati, le caserme dei Carabinieri di tutto il mondo (Commenti del deputato Mascia)
PRESIDENTE. Onorevole Mascia, ho la sensazione che, in qualche occasione, si voglia fare salotto: lei ha rivolto delle domande a cui si stanno fornendo risposte con le quali si può non essere d'accordo; ascolti però quello che si dice e non intervenga!
ALFONSO SABELLA. Era un problema nostro, dell'amministrazione penitenziaria, perché purtroppo, c'era solamente una camera di sicurezza (per un certo periodo erano due, poi una sola). Non conosco le ragioni per le quali la Polizia aveva sistemato gli arrestati in quel modo, non so nemmeno se ve ne fossero (ci saranno sicuramente). Posso però rispondere per quanto riguarda l'amministrazione penitenziaria: ho ricevuto la prova del nove dal blitz alla scuola Diaz, quando gli arrestati sono stati consegnati all'amministrazione penitenziaria; quando nella struttura di Bolzaneto ha operato solo ed esclusivamente la polizia penitenziaria, non mi risulta che siano state denunciate violenze, percosse, alcun abuso; non risulta nemmeno ai giornali. I tempi di traduzione, purtroppo, si sono allungati: in quelle condizioni si è verificato ciò ma non a scapito degli arrestati, in quella fase. Il ritardo nei tempi di traduzione si è verificato soltanto in un caso: un gruppo di arrestati è stato consegnato intorno alle 3 di notte della domenica.
PIERLUIGI PETRINI. Della notte o del mattino?
ALFONSO SABELLA. Alle 3 di domenica mattina, la notte tra sabato e domenica: sono stati portati alle 14,10 ad


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Alessandra San Michele. Sinceramente, si tratta di un ritardo piuttosto consistente, quasi dieci ore. Vorremmo cercare di capire la ragione per cui si è verificato questo grave ritardo nelle traduzioni. Oggi non lo so, ce ne siamo accorti leggendo i tabulati, ho chiesto alcune relazioni e riceveremo delle risposte. Per quanto ci riguarda, questo è l'unico intoppo che abbiamo trovato. Per il resto, le traduzioni si sono svolte nell'arco delle 4 ore, tempi assolutamente fisiologici: anche all'interno di uno stesso istituto di pena, quando gli arrestati arrivano per essere immatricolati non sono tenuti in condizioni diverse da quelle di Bolzaneto, perché presso l'ufficio matricola ci sono le stanze «nuovi giunti» dove, proprio per evitare che possano essere occultati oggetti, non c'è assolutamente nulla, sono spoglie, non hanno passeggio, non hanno aria, sono celle piccolissime. Quando gli arrestati in un carcere sono numerosi e ci sono tre o quattro celle (a volte una sola), lo spazio non basta. Gli arrestati purtroppo, per ragioni di sicurezza, vengono tenuti in maniera tale da assicurare una possibilità di controllo maggiore: queste sono violenze che bisognerebbe evitare a tutti i costi ma che molto spesso non si riesce, purtroppo, ad evitare per la difficoltà del lavoro nel penitenziario. L'ambiente del penitenziario è difficile: ho svolto la professione di magistrato per anni e la prima volta che sono entrato in un carcere appartenente all'amministrazione penitenziaria mi sono trovato in un mondo di cui non conoscevo l'esistenza.
Non credo che sia stata sbagliata l'idea, perché tutto sommato l'ufficio matricola ha funzionato come un normale ufficio matricola di un istituto penitenziario, dove per immatricolare 93 detenuti ci sarebbe voluto molto più tempo di quanto ne è stato impiegato a Bolzaneto; infatti a Bolzaneto c'erano tre terminali, che lavoravano a pieno ritmo, ed una


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valigetta informatica. Per le procedure di immatricolazione, quindi, si lavorava con tempi, tutto sommato, più rapidi di quelli dei normali istituti, perché avevamo potuto pagare lo straordinario al personale, mentre di notte in una matricola normale avremmo trovato una unità di personale al lavoro. In quel caso invece 11 unità lavoravano a pieno ritmo, 24 ore su 24. Sostanzialmente, in realtà, il grande ritardo che viene denunciato non si è verificato: il problema è che si somma il ritardo della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza ai tempi dell'amministrazione penitenziaria; per questo a Bolzaneto ci si ferma 24 ore invece di stare 12 ore nella camera di sicurezza del commissariato e 12 ore nella cella «nuovi giunti» del carcere. Sostanzialmente dunque, se si valuta con concretezza per capire cosa sarebbe successo in una situazione diversa, ci accorgiamo che, tutto sommato, non si sono arrecati grandi disagi, rispetto a quelli degli arrestati in condizioni normali.
Probabilmente, si è creata una situazione di confusione, che ha favorito eccessi di qualche funzionario, di qualche agente poco corretto, poco ligio ai suoi doveri, che ha approfittato di una situazione in cui era difficile capire se il detenuto era stato arrestato dalla Polizia di Stato, dalla Polizia penitenziaria, se era già stato fermato o arrestato, per appagare qualche strana soddisfazione.
Obiettivamente, ho ascoltato anche tante falsità: prima di credere che un fatto che viene riferito risponde al vero, vorrei procedere con i piedi di piombo, perché ho letto e visto tanto. Per una ragione di correttezza istituzionale, non abbiamo chiesto gli atti all'autorità giudiziaria, perché aspettiamo che completi il suo lavoro: appena avrà terminato, chiederemo la trasmissione di tutti gli atti che possono essere utili per capire


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quello che è successo, per quanto riguarda la nostra amministrazione, e procederemo ad accertare le singole responsabilità.
È indubbio, per quel poco che abbiamo potuto accertare, che si tratti di singole responsabilità: niente di più e niente di altro. Ad esempio, un infermiere ha raccontato, legittimamente (purtroppo non mi ha riferito niente e dovrà spiegarmene meglio il motivo), episodi di una certa gravità: egli ha però escluso, ad esempio, di aver mai ascoltato inni, cori, canti di carattere fascista; tutti i giornali danno per scontato che ciò sia avvenuto a Bolzaneto. Fino a quando non si proveranno alcuni elementi con assoluta certezza, sapendo almeno da chi proviene una certa dichiarazione, con il timbro dell'autorità giudiziaria o comunque di un pubblico ufficio, mi guarderò bene dal ritenere provati e fondati certi episodi che leggo sui giornali.
Per quanto ho potuto vedere con i miei occhi, avvenimenti riportati dai giornali sono radicalmente falsi: lo potrò testimoniare in qualunque sede mi verrà richiesto. Ci sono elementi verosimili e nel valutarli sarà necessaria una certa cautela, almeno da parte l'amministrazione penitenziaria: indubbiamente ci sarà bisogno del massimo rigore, ma anche di cautela, fino a quando non abbiano il crisma dell'ufficialità.
SAURO TURRONI. Vorrei due chiarimenti dal dottor Sabella.
A me pare, ma potrei essermi sbagliato, di aver inteso il dottore dire che l'amministrazione non era a conoscenza di quali locali sarebbero stati poi consegnati. Diceva: a noi servono dei locali per poter svolgere queste attività. Quindi solo successivamente si sarebbe saputo che, in realtà, si trattava di locali nei quali vi erano anche Carabinieri e Polizia.


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Vedo che lei scuote la testa; forse ho inteso male, ma leggendo il decreto del ministro, vedo che c'erano delle note in cui il comando provinciale di Genova, la legione carabinieri Liguria e la questura di Genova mettevano a disposizione alcuni locali della caserma del reparto mobile della Polizia di Stato di Genova Bolzaneto e la caserma dei Carabinieri. Se ho inteso male me ne rammarico, ma se lei si è espresso male, la pregherei di chiarire questo aspetto. Anche perché nel decreto è scritto chiaramente che i locali della Polizia e dei Carabinieri sono utilizzati a fini detentivi. Questa definizione connota già come del tutto illegittimo il decreto decreto firmato dal ministro ed è sorprendente che l'amministrazione - perché lei ha rivendicato all'amministrazione la proposta del testo - abbia fatto commettere al ministro un errore del genere, ammesso che egli non ne fosse già convinto.
Vorrei quindi tale chiarimento perché, vede, l'italiano non è una lingua che non soggiace a regole. Si dice che le strutture sono utilizzate a fini detentivi, ma quali? L'utilizzo, la destinazione, la ragione per cui si impiegano quegli immobili è il fine detentivo, che regge e sostanzia questo decreto che, ripeto, è illegittimo e il ministro ha sbagliato ad emetterlo.
La seconda questione che vorrei sottoporle è la seguente. Lei ha detto, rispondendo alla domanda della collega Dentamaro a proposito della presenza del ministro, di averlo invitato lei e di avere, quindi, partecipato insieme con lui alla visita a Bolzaneto. Ebbene, il ministro dice che c'erano una decina di uomini all'interno della struttura, tutti a gambe larghe e la faccia contro il muro, mentre dall'altra parte c'era una donna ed in mezzo un poliziotto. Il ministro dice anche che, avendo chiesto per quale motivo l'agente di polizia stesse al centro, gli avevano risposto che garantiva che i maschi non aggredissero la ragazza. Allora, vorrei sapere se è normale che in una


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struttura detentiva, perché tale è quell'edificio, la gente stia in piedi con le mani appoggiate al muro e a gambe larghe. Inoltre, il ministro dice ancora - e visto che lei lo accompagnava, vorrei chiederle un chiarimento al riguardo - di essere rimasto lì per un quarto d'ora, venti minuti: il tempo sufficiente a vedere le sbarre di ferro sequestrate, mazze terrificanti, caschi, elmetti, maschere antigas. Le chiedo: c'erano effettivamente questi oggetti all'interno di Bolzaneto? Vorrei saperlo, perché se quella era una struttura detentiva... il dottore Sabella ha appena detto che il ministro ha fatto due o tre metri dall'altra parte (Commenti del dottor Sabella).
Egli ha anche detto che i Carabinieri non lo volevano fare entrare, si è inoltrato per due o tre metri, ha salutato e se ne è andato. Ebbene, qui c'è scritto che il ministro ha visto tutti questi oggetti, mazze terrificanti, sbarre di ferro e così via. Questi attrezzi erano conservati all'interno della struttura di Bolzaneto? C'erano o erano dalla parte dei Carabinieri? Dove erano?
È forse la solita panzana raccontata dai giornalisti, come tante altre che abbiamo ascoltato?
ALFONSO SABELLA. No, questa non è una panzana, perché io c'ero: so quindi per certo che il ministro ha visto effettivamente questi oggetti. Del resto, se lo ha dichiarato, dovrebbe essere però per forza di cose.
Questi attrezzi erano conservati nel locale docce. La struttura di Bolzaneto era così costituita: entrando c'erano sulla destra due stanze, credo della DIGOS, sulla sinistra due ulteriori stanze della squadra mobile, o viceversa; adesso non ricordo bene. Subito dopo l'androne c'erano un bagno sulla destra e il locale docce sulla sinistra, che era stato utilizzato dalla Polizia di Stato come locale in cui stivare il materiale sequestrato ai manifestanti arrestati. Proseguendo, sulla destra


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c'era l'infermeria e sulla sinistra la matricola sulla sinistra. C'era poi la cella di pertinenza della Polizia penitenziaria ed un altro locale che serviva come sua armeria, cioè come locale di deposito delle attrezzature degli automezzi. Ancora oltre, quindi nella seconda parte della struttura, c'erano le sei camere di sicurezza, di pertinenza della Polizia di Stato e per certi periodi controllate anche dai Carabinieri. Quando parlo di questa parte, parlo di questa seconda parte della struttura, che si trova oltrepassando le stanze della Polizia penitenziaria.
Mentre il materiale sequestrato era tenuto in questo locale docce, che si trova prima (quindi in una parte che sia il ministro sia chiunque del personale di Polizia penitenziaria attraversava), anche se tale materiale era chiuso in una stanza con tanto di sigillo apposto alla porta e fu la cortesia di un funzionario che lo fece vedere al ministro per (Interruzione del senatore Turroni). Non mi ricordo: forse è stato prima che il ministro tornasse indietro; non ricordo se sia stato prima o dopo. Sinceramente non lo so.
Per quanto riguarda, poi, le altre dichiarazioni del ministro, effettivamente egli si è trattenuto 15-20 minuti, non di più; non mi pare di aver letto nulla di difforme. Sarà probabilmente una coloritura giornalistica il fatto che gli uomini non aggredissero le donne, ma in realtà l'obiettivo era quello di realizzare la separazione netta tra uomini e donne, tanto è vero che c'era un agente all'interno della cella.
Quindi, obiettivamente si era venuta a creare una situazione un po' difficile, determinatasi a seguito di una valutazione, di base forse errata. Il problema risiedeva nel fatto che la Polizia di Stato ha operato una serie di arresti di soggetti di vari gruppi; aveva quindi bisogno di un numero di camere di sicurezza probabilmente maggiore di quelle che aveva originariamente preventivato per separare questi soggetti.


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Questa almeno è stata la spiegazione fornita al nostro comandante da parte di un funzionario della DIGOS, il quale disse che avevano bisogno di più camere di sicurezza per separarli. Quindi, all'amministrazione penitenziaria che li doveva trattenere pochissimo tempo venne lasciata questa cella - perché transitavano in matricola, andavano in infermeria, venivano soggetti a perquisizione e quindi erano praticamente già sui furgoni - che in situazione normale sarebbe stata sufficiente, mentre in questo caso abbiamo dovuto tenere insieme uomini e donne. Si è trattato di una situazione assolutamente anomala per il poliziotto penitenziario, che si è trovato all'interno della stessa cella a controllare uomini e donne. Quindi, non solo gli uomini erano stati fatti mettere addossati alla parete e la donna dall'altro lato, ma era stato messo anche un agente in mezzo, proprio per evitare commistioni, che sono vietate.
SAURO TURRONI. Vorrei chiedere un chiarimento. Lei parla di una seconda parte; un poliziotto che entrava nella struttura per portare la persona arrestata, lo portava giù in fondo, attraversava il luogo dove vi trovavate voi, poi tornava indietro?
ALFONSO SABELLA. Esattamente.
LUCIO MALAN. Lei ci ha detto che il sito di Bolzaneto è stato istituito con decreto ministeriale del 12 luglio, anche se in precedenza, però, ha parlato del 27 giugno. A quanto le risulta, per quanto riguarda il DAP, quando è stato deciso di istituire il centro di accoglienza di Bolzaneto?
ALFONSO SABELLA. Con certezza, non so dirle quando sia stati deciso. Si parla comunque di Bolzaneto e di Forte San Giuliano sempre insieme.


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Provo a cercare in un carteggio che interessa l'ufficio detenuti e trattamento, che ha reputato idonea anche questa soluzione: credo che risalga ad una settimana prima. Ho trovato una nota interna del nostro dipartimento risalente al 12 giugno 2001; presumibilmente, quindi, già in quella data era stata presa la decisione. Il 21 giugno esisteva un piano operativo chiaramente delineato ed io sono stato nominato il 28 giugno.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Alfonso Sabella per l'audizione, che dichiaro conclusa.
Ricordo che il Comitato è convocato domani, giovedì 30 agosto 2001, alle 9,30.
La seduta termina alle 21,05.